Migranti, un passo in avanti verso una "Norimberga libica"

In Libia una lunga schiera di crimini contro l’umanità che sono costati la vita a decine di migliaia di civili

Migranti, un passo in avanti verso una "Norimberga libica"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Novembre 2022 - 17.24


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Una “Norimberga libica”. Che inchiodi alle loro responsabili quanti si sono macchiati di crimini contro l’umanità che sono costati la vita a decine di migliaia di civili. Globalist l’ha invocata in centinaia di articoli, documentando le atrocità compiute in undici anni dai signori della guerra interni e dai loro sponsor internazionali. Tra quest’ultimi c’è l’Italia.

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Un passo verso la “Norimberga libica”

A darne conto, con la consueta perizia giornalistica e coraggio intellettuale che lo contraddistinguono da sempre, è Nello Scavo. Che su Avvenire scrive: “Ci sono anche esponenti politici italiani ed europei tra i soggetti su cui la Corte penale internazionale potrebbe avviare un’inchiesta per “crimini internazionali”, commessi durante le operazioni di intercettazione nel Mediterraneo centrale e nei campi di prigionia in Libia.

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Integrando una denuncia che era stata presentata un anno fa dalla Corte penale, il Centro europeo per i diritti Umani e Costituzionali (European Center for Constitutional and Human Rights, Ecchr) ha fornito agli investigatori nuovi elementi per ricostruire la filiera degli «atroci crimini commessi contro migranti, rifugiati e richiedenti asilo nel contesto libico». Alcune settimane fa proprio da Tripoli il procuratore internazionale Karim Khan aveva annunciato la richiesta di mandati di cattura internazionali nei confronti di soggetti accusati di crimini di guerra e contro i diritti umani. La nuova denuncia estende la portata della precedente comunicazione alla Corte penale (Cpi) giudicata del novembre del 2021 e firmata da Ecchr insieme alla Federazione Internazionale dei Diritti Umani (Fidh), dall’organizzazione libica degli “Avvocati per la giustizia” (Lfjl). Venivano ricostruite «le responsabilità per presunti crimini contro l’umanità commessi nei confronti dei migranti nei vari campi di detenzione in territorio libico e il loro sfruttamento sistematico», spiega Chantal Meloni, docente associato di Diritto penale internazionale all’Università Statale di Milano e consigliere legale senior di Ecchr.

Il centro europeo per i diritti umani e costituzionali chiede di indagare sulla responsabilità penale individuale «di funzionari di alto livello degli Stati membri dell’Ue e delle agenzie dell’Ue in merito a molteplici e gravi privazioni della libertà personale». Tra i presunti coautori figurano esponenti politici ed ex ministri, come «gli ex ministri dell’Interno italiani, Marco Minniti e Matteo Salvini, l’attuale e l’ex primo ministro di Malta, Robert Abela e Joseph Muscat, l’ex Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, l’ex direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, nonché membri dei Centri di Coordinamento del Soccorso Marittimo italiano e maltese e funzionari di Eunavfor Med e del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae)». Secondo l’esposto le condotte contestate potrebbero venire qualificate dalla procura internazionale sotto vari profili, compreso il reato di favoreggiamento nelle attività volte a intercettare migranti e rifugiati in mare per poi riportarli in Libia. Nelle 180 pagine consegnate all’Aia vengono introdotti ulteriori “elementi fattuali e giuridici sulle operazioni con cui migranti e rifugiati vengono intercettati i mare e riportati il Libia.  La denuncia – chiarisce la professoressa Meloni – giunge alla conclusione che le operazioni con le quali i migranti vengono intercettati nel Mediterraneo e riportati in Libia, spesso dalla cosiddetta. Guardia Costiera Libica con il coordinamento di attori europei, costituiscono di per sé crimini contro l’umanità».

In altre parole, quelle svolte in mare non sono operazioni di soccorso, ma «crimini contro l’umanità sotto forma di grave privazione della libertà personale» secondo lo Statuto di Roma, l’atto fondativo della Corte penale dell’Aia.

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Vengono esaminati 12 casi di intercettazione in mare e successiva reclusione nei campi di prigionia libici dal 2018 al 2021. In tutti gli episodi esaminati emerge anche da documenti ufficiali la la cooperazione tra le agenzie dell’Unione europea (in particolare la Commissione europea, Eunavformed e Frontex) e gli Stati membri (tra cui Italia e Malta) con gli attori libici, sia a livello politico che operativo, nella piena consapevolezza che le persone verranno poi ricondotte contro la loro volontà in strutture di reclusione nelle quali vengono commessi quelli che le Nazioni Unite più volte hanno definito «orrori indicibili».

Dal 2016 le agenzie dell’Ue e gli Stati membri hanno potenziato lo sviluppo delle capacità e le attività di supporto alle varie agenzie libiche «fornendo finanziamenti, motovedette, attrezzature e formazione, nonché partecipando direttamente a singole operazioni di intercettazione in mare, ad esempio fornendo informazioni sulla posizione delle imbarcazioni in pericolo», si legge nell’esposto.

«Il trattamento disumano e le condizioni di detenzione di migranti e rifugiati in Libia sono ben noti da molti anni. La Libia non è un luogo sicuro per migranti e rifugiati. Il diritto marittimo internazionale prevede che le persone soccorse in mare debbano essere sbarcate in un luogo sicuro. Nessuno dovrebbe essere riportato in Libia», afferma Andreas Schueller, direttore del programma sui crimini internazionali di Ecchr. 

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Oltre ad ottenere documentazione ufficiale, il Centro europeo per i diritti umani e costituzionali ha esaminato le informazioni provenienti da svariate altre fonti, tra cui Initiative Watch the Med – Alarm Phone, Open Arms, Border Forensics, Frag den Staat e Human Rights Watch, «oltre a diversi giornalisti d’inchiesta che hanno fornito informazioni cruciali sulla collaborazione tra gli attori libici e i funzionari delle agenzie dell’Ue e degli Stati membri e sulla complessa rete di attori coinvolti congiuntamente negli aspetti relativi alla gestione delle frontiere». Ulteriori informazioni sono state raccolte e analizzate «da rapporti pubblici attendibili e da dati pubblicamente accessibili».

Tra le figure segnalate alla procura vi sono anche «l’ex primo ministro del Governo di accordo nazionale libico (Gna), il ministro degli Esteri, il ministro degli Interni, il vice primo Ministro, l’ex e l’attuale ministro della Difesa, l’ex e l’attuale Capo della direzione per la lotta alla migrazione illegale (Dcim)», oltre membri di milizie e gruppi armati che operano formalmente sotto le autorità libiche, e l’equipaggio delle navi mercantili libiche coinvolte nelle intercettazioni illegali”.

Così Scavo.

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Il ministro esternalizzatore

”Prenderemo contatti, attraverso i canali diplomatici, con i Paesi di partenza dei migranti per negoziare i termini di possibili accordi”. Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rispondendo a Corriere Tv su quale sia la prossima mossa in tema di immigrazione. Durante il Consiglio straordinario sui migranti a Bruxelles si è ”convenuto sull’idea che governare i flussi non significa alzare muri, che sarebbero inefficaci, ma creare una compensazione tra i processi di governo dei flussi come i canali di ingresso regolare, i corridoi umanitari, il dialogo con i paesi di origine e di transito e il richiedere qualcosa per porre fine a questa sregolatezza”, ha poi sottolineato.

”La settimana scorsa c’è stato un incontro importante con i ministri interessati per cominciare a porre le basi di un prossimo decreto flussi fatto da questo governo. Ci stiamo già lavorando, non escludo che a breve si possa arrivare a una conclusione”, ha detto ancora Piantedosi sottolineando che “l’ultimo  degli interessi del ministro che si deve occupare della tutela dell’ordine pubblico è gettare benzina sul fuoco anzi l’interesse è che ci sia acqua sul fuoco”.

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Elezioni vo cercando…

Ma su cosa sia la Libia, il titolare del Viminale difetta di conoscenze. E allora proviamo umilmente a ragguagliarlo. Il primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun) della Libia, Abdulhamid Dabaiba, ha annunciato di essere pronto a tenere elezioni entro due mesi, ma non ha ancora deciso se candidarsi alla presidenza della Repubblica. In un’intervista all’emittente radiofonica tunisina “Mosaique Fm”, il politico e imprenditore di Misurata che guida l’esecutivo libico riconosciuto dall’Onu ha spiegato che la sua candidatura alle elezioni presidenziali non è certa. “La decisione non appartiene solo a me”, ha detto Dabaiba, spiegando di voler consultarsi con la sua famiglia prima di fare qualsiasi annuncio al riguardo. Il primo ministro ha sollecitato l’approvazione quanto prima di una costituzione e di leggi elettorali in Libia: “Noi siamo pronti e il ministero dell’Interno può proteggere il voto”, ha detto il premier nominato dal Foro di dialogo politico libico nel febbraio 2021. Dabaiba ha detto che esiste “un solo governo in Libia” in grado di gestire tutto il territorio libico, i comuni, i servizi sicurezza e di intelligence.

Il potere in Libia continua a essere conteso da due coalizioni rivali: da una parte il Governo di unità nazionale del premier ad interim Dabaiba con sede a Tripoli, riconosciuto al livello internazionale ma sfiduciato dal Parlamento dell’est; dall’altra il Governo di stabilità nazionale designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, già ministro dell’Interno di Tripoli, basato a Sirte. Le elezioni in Libia avrebbero dovuto tenersi il 24 dicembre 2021, ma sono state rimandate “sine die” per le divergenze sulle candidature e sulle leggi elettorali. Lo stesso Dababia aveva annunciato la sua intenzione di concorrere per la presidenza della Repubblica, insieme al generale Khalifa Haftar e a Saif al Islam Gheddafi, secondogenito del defunto dittatore Muhammar Gheddafi.

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Spartizione in fieri

Continuando così la Libia prima o poi si spaccherà. A pensarlo è Abdoulaye Bathily, l’inviato delle Nazioni Unite per la Libia che ha avvertito il Consiglio di Sicurezza che il paese nord africano è ormai a rischio di spartizione, dopo che è passato quasi un anno dal rinvio delle elezioni che si sarebbe dovute tenere il 24 dicembre del 2021.

Bathily ha affermato che alcuni attori istituzionali stanno attivamente ostacolando il progresso verso le elezioni: “La genuina volontà politica di questi attori deve essere messa alla prova contro la realtà, mentre ci avviciniamo al 24 dicembre, il primo anniversario del rinvio delle elezioni e il 7° anniversario della firma dell’accordo politico libico”, ha detto Bathily condividendo la dichiarazione dei libici preoccupati per i ritardi delle tanto attese elezioni in un briefing al Consiglio di sicurezza.

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“L’ulteriore prolungamento del periodo di transizione renderà il Paese ancora più vulnerabile all’instabilità politica, economica e di sicurezza e potrebbe mettere il Paese a rischio di spartizione”.

L’inviato del Segretario Generale Guterres in Libia ha esortato i leader libici a lavorare con determinazione per tenere le elezioni il prima possibile.

Bathily ha anche incoraggiato il Consiglio di 15 membri “a inviare un messaggio inequivocabile agli ostruzionisti che le loro azioni non rimarranno senza conseguenze”.

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Omicidi, torture, schiavitù

I migranti detenuti in Libia sono vittime di atroci abusi, in particolare le donne che vengono violentate in cambio di cibo e acqua. La denuncia arriva dalle Nazioni Unite che hanno redatto un nuovo rapporto sullo stato dei migranti detenuti in Libia.  Gli investigatori dell’Onu spiegano che i migranti che cercano di raggiungere l’Europa hanno subito violenze sessuali da parte dei trafficanti di esseri umani, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie rimaste nei paesi di origine. “L’Onu ha fondati motivi per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro i migranti in Libia”. Il rapporto si basa su numerose testimonianze rese dagli stessi detenuti. Migliaia di migranti sono detenuti nei centri gestiti dalla Direzione per la lotta all’Immigrazione illegale (Dcim), in strutture controllate da gruppi armati non statali o tenuti prigionieri dagli stessi trafficanti.

Detenuti in modo “arbitrario e sistematico”, sono vittime di “omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani”, si legge nel rapporto presentato a Ginevra. Le donne migranti, anche minori, sono soggette a violenza sessuale e affermano di essere state “costrette a fare sesso in cambio di cibo o altri prodotti essenziali”. Tra le vittime di violenza sessuale figurano anche molti uomini. Gli autori del rapporto, inoltre, spiegano che proprio per il rischio “noto” di violenze sessuali, alcune “donne e ragazze migranti si sono premunite attraverso impianti contraccettivi prima di intraprendere il viaggio verso la Libia per evitare gravidanze indesiderate”. Una donna migrante, tenuta prigioniera ad Ajdabiya, ha raccontato che i suoi rapitori le chiedevano sesso in cambio di acqua, acqua di cui aveva bisogno per il suo bambino malato di sei mesi.

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La missione conoscitiva, avviata nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha il compito di documentare gli abusi commessi in Libia dal 2016. Gli investigatori hanno assicurato che crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia dal 2016, anche nelle carceri e contro i migranti. Tuttavia, l’elenco degli autori di queste atrocità è rimasto riservato per troppo tempo. Ora, però, i primi nomi escono fuori. Un passo in avanti verso la “Norimberga libica”.

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