Abu Mazen alle Nazioni Unite: un j'accuse ai tanti traditori della causa palestinese

Abu Mazen, il discorso di chi si sente tradito dalla comunità internazionale. Tradito dai fratelli-coltelli arabi che ufficialmente si schierano a sostegno della “causa palestinese” ma che nella realtà stringono accordi e fanno affari con Israele.

Abu Mazen alle Nazioni Unite: un j'accuse ai tanti traditori della causa palestinese
Abu Mazen
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Settembre 2022 - 18.52


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Il discorso di un leader anziano, malato, che sa di non avere più molto tempo davanti a sé e che quello che pronuncerà potrebbe essere il suo ultimo discorso dal palco delle Nazioni Unite. Il discorso di Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il discorso di chi si sente tradito dalla comunità internazionale. Tradito dai fratelli-coltelli arabi che ufficialmente si schierano a sostegno della “causa palestinese” ma che nella realtà stringono accordi e fanno affari con Israele. Il suo è stato il discorso della rabbia e del disincanto. Sentimenti condivisi da ogni palestinese che vive in quella che lo storico israeliano Ilan Pappé, nel suo ultimo libro, ha definito “La Prigione più grande del mondo?

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Una lettura interessante.

Jack Khoury è assieme ad Amira Hass il giornalista israeliano che meglio conosce ogni risvolto della politica palestinese.

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“Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu Mazen – è l’analisi di Khoury su Haaretz –  parlando all’Assemblea Generale Onu, ha accusato Israele di prendere di mira “i nostri siti sacri, musulmani e cristiani”.

“Sono un regime di Apartheid, e stanno facendo questo alla nostra gente davanti alla comunità internazionale”, ha aggiunto.

“E’ chiaro che Israele ha deciso di non essere nostro partner nel processo di pace e sta continuando a distruggere la soluzione dei due stati. Non crede nella pace ma vuole imporre lo status quo con la forza”, ha proseguito Abu Mazen. “Non abbiamo più un partner israeliano con cui confrontarci Israele ha scelto, non noi”, ha aggiunto, dopo che ieri il premier israeliano Yair Lapid aveva detto nella stessa aula di essere a favore della soluzione dei due Stati. Il rappresentante di Israele è uscito dalla sala dell’Assemblea Generale Onu ad un certo punto del discorso, lasciando il banco del suo paese vuoto. il leader palestinese ha proseguito accusando un cecchino israeliano di aver ucciso deliberatamente la giornalista americano-palestinese Shireen Abu Akleh. Abu Mazen ha accusato anche le Nazioni Unite di impedire che Israele sia ritenuto responsabile “per i massacri che ha commesso”. “Andremo alla Corte penale internazionale, siamo gli unici in questo pianeta a vivere sotto occupazione”, ha continuato. “Chi protegge Israele dall’essere ritenuto responsabile? L’Onu, e in particolare i più potenti all’Onu. Perché c’è questo doppio standard quando si tratta di Israele?”, ha incalzato

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Il discorso del presidente palestinese Mahmoud Abbas all’Assemblea generale delle Nazioni Unite della scorsa settimana è stato molto emotivo. Il leader palestinese, che è stato presente a tutti i principali crocevia della storia palestinese – dalla Nakba del 1948, alla sconfitta del 1967, agli accordi di Oslo del 1993 – è salito sul podio dell’Assemblea generale e ha chiesto al mondo, ancora e ancora, di porre fine all’occupazione.


Abbas era lucido e concentrato, ma il suo discorso nascondeva evidenti segni di invecchiamento, come il respiro pesante, oltre all’agitazione e al cinismo tipici delle persone anziane che si sono stancate di ripetersi in continuazione. Chiunque avesse avuto familiarità con i discorsi di Abbas negli ultimi 17 anni avrebbe facilmente individuato il diverso tono della voce dell’87enne. Le sue parole tradiscono la sensazione che si tratti di un uomo non più sicuro di trovarsi sullo stesso podio tra un anno.


Per questo ha scelto di presentare una panoramica generale della questione palestinese, facendo appello al cuore dei palestinesi come leader che difende i loro interessi nazionali. Allo stesso tempo si è rivolto agli altri leader arabi e alla comunità internazionale nel suo complesso, sottolineando che i palestinesi non accetteranno direttive da chiunque offra soluzioni che vadano contro questi stessi interessi nazionali – che si chiami Yasser Arafat, Mahmoud Abbas o chiunque prenda il suo posto. Nel suo discorso, il presidente palestinese ha citato la risoluzione 181 dell’Onu relativa al piano di spartizione del 1947, gli eventi della Nakba e le realtà attuali dell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, insieme alle conseguenze degli accordi di Oslo. L’indagine storica ha riguardato ogni aspetto importante della narrazione palestinese, tra cui la questione dei rifugiati, la risoluzione 194 sul diritto al ritorno dei palestinesi, la questione dei prigionieri politici palestinesi e gli obblighi dell’Autorità palestinese nei loro confronti e, naturalmente, Gerusalemme e i luoghi santi. Abbas non ha mancato di menzionare l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh a Jenin lo scorso maggio. L’Ufficio del Presidente a Ramallah ha sottolineato che la menzione della Nakba nel discorso non è stata casuale. L’anno prossimo Israele celebrerà i 75 anni di indipendenza e in Palestina commemoreremo la Nakba, hanno detto gli assistenti di Abbas. Se non volete parlare del 1967, allora parliamo del 1948. Se non volete due Stati, allora lasciate che ci sia un solo Stato.

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Tuttavia, nonostante la sua voce arrabbiata e disperata, Abbas non ha rilasciato alcuna dichiarazione che possa cambiare le carte in tavola. Oltre ad annunciare che la Palestina cercherà di entrare a far parte delle organizzazioni internazionali come membro a pieno titolo, ha ripetuto le sue minacce di annullare il riconoscimento palestinese di Israele, ma non ha menzionato una tempistica specifica. Abbas ha mantenuto la linea anche per quanto riguarda il suo impegno alla lotta non violenta. “Siamo vostri partner”, ha detto ai membri presenti all’Assemblea. “Non ricorreremo alla violenza e lotteremo contro il terrorismo”. Ha aggiunto che la Palestina chiederà responsabilità e giustizia alla Corte penale internazionale e ad altre organizzazioni delle Nazioni Unite. Il discorso di Abbas non conteneva annunci politici sorprendenti o innovativi. Il palestinese medio di Gaza o della Cisgiordania – o anche di un campo profughi e della diaspora – non avrebbe sentito nulla che non sapesse già, ma piuttosto una descrizione della desolante realtà cristallizzata nei mali dell’occupazione e dell’apartheid.


Certo, verso la fine del suo discorso, Abbas ha adottato un tono conciliante e ha parlato positivamente delle dichiarazioni del presidente americano Biden e del primo ministro israeliano Yair Lapid riguardo alla soluzione dei due Stati, ma sa fin troppo bene che i palestinesi sono stanchi di dichiarazioni vuote e desiderano azioni concrete. Per quanto riguarda Abbas, non c’è bisogno di un nuovo piano di pace o di ulteriori percorsi e mappe stradali. Tutto è già sul tavolo e ciò che serve è che Israele, e la comunità internazionale guidata dagli Stati Uniti, prendano la decisione strategica di smettere di limitarsi a gestire il conflitto e di porvi fine per sempre”.
Così Khoury.

Il fatto è che né Israele né la comunità internazionale guidata dagli Stati Uniti hanno manifestato la volontà a cui l’analista di Haaretz faceva appello. E di questo non ha certo colpa il vecchio presidente palestinese. 

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