Palestina, nel silenzio complice nasce lo Stato dei coloni

Lo Stato d'Israele e tutte le sue entità hanno investito molti sforzi per incoraggiare gli ebrei a stabilirsi nel cuore dei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est.

Palestina, nel silenzio complice nasce lo Stato dei coloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Dicembre 2021 - 15.12


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Nel silenzio complice di una informazione mainstream e nell’inerzia collusa della comunità internazionale, in Palestina è nato lo Stato dei coloni. Molto più e molto peggio di un regime di apartheid. 

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La denuncia di Haaretz

A darne conto è l’editoriale di Haaretz, quotidiano progressista di Tel Aviv.

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“Lo Stato d’Israele e tutte le sue entità hanno investito molti sforzi per incoraggiare gli ebrei a stabilirsi nel cuore dei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est. Una delle agenzie più creative e senza restrizioni in questo sforzo combinato è stato il dipartimento dell’Amministratore Generale presso il Ministero della Giustizia. L’Amministratore Generale, che è responsabile della gestione delle proprietà e dei fondi di individui la cui identità è sconosciuta, così come di quelli che non sono in grado di gestire da soli i loro beni, è diventato un braccio esecutivo delle organizzazioni dei coloni.

Dagli anni ’80, l’Amministratore Generale ha assistito i coloni nel sequestrare le case a Silwan, Sheikh Jarrah e altrove. Nel 2018, Haaretz ha rivelato che il portafoglio di Gerusalemme Est vi era gestito da Hananel Gurfinkel, un attivista di destra che ha anche fondato un’organizzazione non profit per aumentare la presenza ebraica a Gerusalemme. Sotto la sua direzione, l’ufficio dell’amministratore generale ha intensificato gli sforzi per sfrattare le famiglie palestinesi e per assistere le organizzazioni di coloni. La settimana scorsa, è stato rivelato che l’amministratore generale ha lavorato per stabilire Givat Hashaked, un nuovo quartiere con 470 unità abitative, vicino a Beit Safafa a Gerusalemme. Il quartiere palestinese di Beit Safafa ha una grave carenza di alloggi e di terreni da sviluppare. Tuttavia, Givat Hashaked è destinato ad essere un quartiere ebraico “tagliato fuori dai quartieri esistenti”, come dicono i documenti di pianificazione. Lunedì, Nir Hasson ha rivelato su Haaretz che oltre a Givat Hashaked, l’amministratore generale sta promuovendo la costruzione di cinque complessi abitativi per ebrei nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est o adiacenti ad essi. Due di essi sono in zone di attrito a Gerusalemme Est – Sheikh Jarrah e vicino alla Porta di Damasco. Gli altri sono pianificati per Beit Hanina, Sur Baher e un altro complesso a Beit Safafa – tutti quartieri palestinesi affollati che hanno disperatamente bisogno di spazio per lo sviluppo e di nuove abitazioni. A Sheikh Jarrah, il piano include anche lo sfratto delle famiglie palestinesi che vivono lì da decenni. Questa attività di sviluppo è molto insolita nel contesto delle operazioni dell’amministratore generale nelle altre regioni del paese, e si aggiunge all’altra grande assistenza che il dipartimento ha fornito alle organizzazioni che lavorano per aumentare la presenza ebraica a Gerusalemme Est. Queste attività si basano su una legge discriminatoria che permette solo agli ebrei di chiedere la restituzione delle loro proprietà abbandonate nel 1948.

L’obiettivo principale del movimento di insediamento a Gerusalemme Est è quello di bloccare qualsiasi prospettiva di un futuro accordo diplomatico con i palestinesi. E nel frattempo, gli insediamenti servono come un ulteriore strumento per opprimere e umiliare i residenti palestinesi della città. Essi danneggiano il tessuto delle relazioni tra i residenti palestinesi e lo stato, esacerbano le tensioni e contribuiscono ad aumentare il livello di violenza. L’amministratore generale deve smettere di promuovere la costruzione ebraica a Gerusalemme Est e considerare come le proprietà che gestisce possano essere utilizzate per una corretta pianificazione e per facilitare la vita dei residenti palestinesi della città. E il ministro della Giustizia Gideon Sa’ar deve istruire il dipartimento dell’Amministratore Generale a concentrarsi sui poteri che gli sono stati conferiti dalla legge e non servire come un braccio delle organizzazioni dei coloni”.

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Così Haaretz

La denuncia di Lynk

Lo scorso 12 agosto, Michael Lynk, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione del diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, si è rivolto alla comunità internazionale affinché riconosca gli insediamenti israeliani come crimini di guerra alla luce dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Quando lo Statuto venne adottato nel 1998, venne allo stesso modo riconosciuto che gli insediamenti israeliani violano il divieto assoluto per una potenza occupante di trasferire parte della propria popolazione civile in un territorio occupato.
Il Relatore ha affermato che per Israele gli insediamenti hanno due funzioni principali: garantire che i territori occupati rimangano sotto il controllo costante e perpetuo di Israele ed assicurare che non vi sarà mai uno Stato palestinese. Ha inoltre aggiunto, rivolgendosi al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, che gli insediamenti sono il motore dell’occupazione israeliana che dura ormai da 54 anni, la più lunga nel mondo moderno”. Ad oggi si contano circa 300 insediamenti a Gerusalemme Est occupata e in Cisgiordania, con più di 680.000 coloni israeliani.
Lynk ha descritto l’illegalità degli insediamenti israeliani come una delle questioni meno controverse nel diritto internazionale e nella diplomazia moderni. Tale illegalità è stata confermata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dall’Assemblea Generale, dal Consiglio dei Diritti Umani, dalla Corte Internazionale di Giustizia, dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, dalle Alte Parti Contraenti la Quarta Convenzione di Ginevra e da molte altre organizzazioni regionali e internazionali che si occupano di diritti umani.
Il Relatore ha parlato anche di tragico paradosso in relazione alla situazione in cui gli insediamenti israeliani sono chiaramente proibiti dal diritto internazionale ma la comunità internazionale è estremamente riluttante nel porre in essere le sue stesse leggi. Anche l’ex Segretario Generale Ban Ki-Moon è intervenuto dicendo che ciò che ha permesso a Israele di ignorare le risoluzioni Onu è stato, ed è tuttora, l’assenza di responsabilità giuridica internazionale.

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Lo “Stato” dei coloni

Attualmente, secondo B’Tselem, il Centro israeliano d’informazione sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati (Tpo) dal 1967 sono stati realizzati  duecentottanta insediamenti nella Cisgiordania, che hanno frammentato la popolazione palestinese in centosessantacinque isole territoriali non contigue. Ai 280 insediamenti vanno aggiunti 119 avamposti. Il numero dei coloni sfiora gli 800mila 42 per cento della West Bank controllato. L’86 per cento di Gerusalemme Est “colonizzata”. Uno Stato nello Stato. Dominato da una destra militante, fortemente aggressiva, ideologicamente motivata dalla convinzione di essere espressione dei nuovi eroi di Eretz Israel, i pionieri della Grande Israele. Quella che si svela è una verità spiazzante: oggi in Terrasanta, due “Stati” esistono già: c’è lo Stato ufficiale, quello d’Israele, e lo “Stato di fatto”, consolidatosi in questi ultimi cinquant’anni: lo “Stato” dei coloni in Giudea e Samaria (i nomi biblici della West Bank).

Lo “Stato di Giudea e Samaria” è armato e si difende e spesso si fa giustizia da sé contro i “terroristi palestinesi” che, in questa visione manichea, coincidono con l’intera popolazione della Cisgiordania. Molti attacchi contro i palestinesi sono stati registrati nelle aree di Ramallah e Nablus (Cisgiordania occupata). In particolare, nella zona vicina agli avamposti della Valle Shiloh e in quella in prossimità degli insediamenti israeliani di Yitzhar (Nablus) e Amona (Ramallah), quest’ultimo da poco evacuato dal governo israeliano. Nel villaggio di Yasuf (governatorato di Salfit), i residenti palestinesi si sono svegliati con i pneumatici di 24 auto bucati e alcune scritte razziste in ebraico (“Morte agli arabi” tra le più diffuse) lasciate sulle loro abitazioni. Sono i cosiddetti “price-tag” (tag mechir in ebraico) ovvero gli atti di ritorsione (il “prezzo da pagare”) compiuti dagli attivisti di destra e coloni israeliani contro i palestinesi in risposta ad un attacco da parte di quest’ultimi.

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Citando ufficiali della difesa,Haaretz scrive che gli attivisti di destra più estremisti sono “i giovani delle colline”, molti dei quali vivono negli avamposti illegali della Cisgiordania e il cui numero è stimato intorno alle trecento unità. Un dato interessante è che la maggior parte dei responsabili delle violenze è giovanissima (tra i quindici e i sedici anni). Nel 1997, a un anno dal primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro, c’erano circa 150.000 coloni in Cisgiordania. Due decenni dopo il numero dei coloni è vicino ai 600.000, esclusi i quartieri di Gerusalemme est oltre la Linea Verde. Questi dati non includono i coloni che vivevano negli avamposti illegali (complessivamente si superano i 750.000). 

Leggete con attenzione questo scritto, pubblicato dal Jerusalem Post, giornale israeliano vicino alla destra, e rilanciato in Italia da Globalist, perché l’autore è uno che l’apartheid sudafricano lo ha conosciuto da vicino: l’ex ambasciatore israeliano in Sudafrica Ilan Baruch

“Nel giro di un paio d’anni – scrive Baruch –  l’annessione dei territori si tè trasformato da una visione distorta propria di frange minoritarie della  destra israeliana alla politica dichiarata del governo israeliano. La sconcertante decisione di Blue e White e del Labor di unirsi al governo di Netanyahu ha alimentato l’illusione dell’opinione pubblica che una tale mossa fosse possibile. Molti di noi scrollavano le spalle e dicevano: “’n realtà, perché no?’Così, senza comprendere appieno le implicazioni per il nostro futuro, la destra israeliana, con Netanyahu al timone, ha ‘commercializzato’ uno dei maggiori pericoli per lo Stato di Israele come ‘una conquista legittima’ senza dire all’opinione pubblica che una tale dichiarazione unilaterale di annessione e la legislazione ad essa collegata avrebbero installato un regime di apartheid in Israele”.

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Ma l’idea dell’annessione non nasce oggi: “Questa idea è stata impianta – annota Ilan, fondatore del  Zulat Institute for Equality and Human Rights – il primo giorno dell’occupazione, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Già alla fine del 1967 il governo israeliano aveva annesso Gerusalemme est e i suoi dintorni con molti villaggi palestinesi. Il territorio fu annesso ma la popolazione – un terzo della popolazione della città – rimase priva dei diritti civili fondamentali, dando origine al primo caso di discriminazione etnica istituzionalizzata. Non si chiamava ancoraapartheid, anche se il regime dell’apartheid in Sudafrica era all’apice dell’epoca e le relazioni diplomatiche tra i due Paesi erano quasi scontate. È da notare che la parola ‘apartheid’ suscita ripugnanza morale in tutto il mondo perché ricorda un deplorevole regime criminale e disumano, mentre tra molti israeliani suscita sbadiglio e negazione. Tuttavia, la realtà è chiara: l’annessione riciclata equivale all’apartheid. È triste vedere come la lavanderia faccia gli straordinari in Israele.

Secondo la Convenzione di Roma, che funge da fonte di autorità per il Tribunale penale internazionale dell’Aia, l’apartheid è un crimine contro l’umanità. Il regime di occupazione israeliana in Cisgiordania è definito temporaneo, e quindi la comunità internazionale distingue tra il regime militare nei territori occupati e la democrazia nello Stato di Israele, nonostante la responsabilità di quest’ultimo per la situazione in Cisgiordania controllata dall’esercito, che ha chiare caratteristiche dell’apartheid.

La sostituzione dell’occupazione militare con l’annessione, o la sinonima ‘applicazione’ della legge e della giurisdizione israeliana” nei territori occupati, dovrebbe far capire al mondo che in Israele esiste un regime di apartheid oppressivo, con tutto ciò che questo implica.

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È doloroso che pochi di noi sappiano cosa è accaduto nel temibile regime di apartheid del Sudafrica, quanto fosse buio, e quali istituzioni siano state create e quali leggi siano state promulgate per permettere alla minoranza bianca di godere di un’alta qualità di vita, a spese di una violenta e corrotta oppressione della maggioranza nera. La somiglianza tra l’allora Sudafrica e l’attuale Israele è straziante: un sesto della popolazione sudafricana era bianca (un tasso di 5:1), mentre in Cisgiordania i coloni sono un sesto e i palestinesi sono cinque-sesti della popolazione (un tasso di 1:5). Eppure noi neghiamo la realtà e scrolliamo le spalle alle sue conseguenze: L’apartheid è già qui!

Le persone giocano con parole edulcorate e la chiamano ‘annessione’, ma si avvicina il momento in cui le istituzioni israeliane, compresa la Knesset e il governo, saranno chiamate a  promulgare leggi che si applicheranno anche ai territori occupati. In altre parole, un unico regime potrà presto governare dal fiume Giordano al Mediterraneo senza ricorrere alla Corte Suprema per fermarlo. Questa situazione trasformerà Israele in un regime di apartheid… Nell’ambito del passaggio dalla periferia al mainstream, un numero crescente di voci ha cominciato a farsi sentire nella politica israeliana e nei media – in gran parte provenienti dal centro-sinistra – per cui le implicazioni non sono disastrose, se in gioco c’è solo un’annessione parziale dei blocchi di insediamenti o della Valle del Giordano. Tuttavia, qualsiasi annessione di territorio che non faccia parte dei negoziati con i palestinesi – sia essa grande, parziale, minima o anche simbolica – è in contrasto con il diritto internazionale e con l’ordine del secondo dopoguerra creato per evitare che si ripeta.

L’annessione è un’annessione, e non vi è alcuna differenza fondamentale, costituzionale, politica o di sicurezza sulla scena internazionale per quanto riguarda le possibilità di stabilire uno Stato palestinese o le nostre relazioni con i Paesi arabi, in particolare con la Giordania.

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Prima lo capiamo, meglio è: un mucchio di parole ‘lavate’ non cambierà il fatto che siamo sull’orlo di uno Stato di Israele che sta per diventare un vero e proprio regime di apartheid, una mossa che inciderà seriamente sulla nostra forza morale, sulla nostra posizione internazionale e sulla sicurezza nazionale. In Sudafrica, i bianchi hanno goduto di pieni privilegi e i neri sono stati privati di ogni diritto e futuro; in Cisgiordania, invece, sono i coloni che godono di privilegi unici e i palestinesi che non hanno diritti e futuro, al punto che alcuni fantasticano addirittura di deportarli in Giordania”.

Così Ilan Baruch..

E tutto questo in un silenzio che sa di morte. 

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