Processo Regeni, quella verità inconfessabile

Una storia fatta di continui depistaggi, di incessanti provocazioni, di collaborazioni millantate, di vergognosi tentativi di infangare l’immagine di Giulio Regeni.

Una manifestazione per la verità sulla morte di Regeni
Una manifestazione per la verità sulla morte di Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Ottobre 2021 - 18.32


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In quell’aula bunker di Rebibbia ieri sera si è scritta una verità. Politica, non giudiziaria. Una verità che sta nella storia di un assassinio di Stato che ha avuto come vittima un giovane cittadino italiano. Una storia fatta di continui depistaggi, di incessanti provocazioni, di collaborazioni millantate, di vergognosi tentativi di infangare l’immagine di Giulio Regeni. Storia di poderosi schiaffi in faccia che l’Italia, intesa anzitutto come governo, parlamento e, in seconda battuta, anche dell’opinione pubblica e di una stampa mainstream, ha subito senza colpo.ferire. La verità scritta ieri dai giudici del Tribunale di Roma è che quando hai a che fare con un regime autoritario, sanguinario, che fa della tortura la normalità, che ha più desaparecidos di quanti “collezionati” dalla giunta fascista dei generali argentini. Quando hai a che fare con gente che conosce solo il linguaggio della forza, o ti acconci ad utilizzarlo oppure ti consegni inerme al presidente-carceriere. Ed è quello che l’Italia ha fatto. Ed è francamente ridicolo vantare, come certi politici hanno fatto, la decisione in extremis della presidenza del Consiglio di costituirsi parte civile in un processo durato un’udienza.

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Presa in giro

Ben altro coraggio avrebbe richiesto, preteso, la vicenda Regeni. Il coraggio dimostrato da Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, e dalla sorella Irene. Coraggio che i “Don Abbondio” succedutisi a Palazzo Chigi e alla Farnesina non hanno mai mostrato. Il coraggio di non fare affari con quel regime omicida, di non vendergli armi. Il coraggio diplomatico di richiamare in patria il nostro Ambasciatore dopo che Il Cairo aveva annunciato di non aver intenzione alcune di indicare gli indirizzi, gli indirizzi!, degli imputati, a cui recapitare l’ordinanza. Niente di tutto questo è stato fatto. Solo chiacchiere, false indignazioni, solidarietà pelose che non sono riuscite a nascondere la verità: l’Italia si è consegnata ad Abdel Fattah al-Sisi. Colui che in una riunione con i suoi simili europei, quelli del gruppo Visegrad, Orban per tutti, ha proclamato che chiedere all’Egitto il rispetto dei diritti umani è un atto dittatoriale, una inaccettabile ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano.

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Per molto meno, Slobodan Milosevic è stato processato dalla Corte dell’Aia.

Ultimo atto

La notizia è nota, ma è importante ritornarci.  I giudici, dopo una camera di consiglio durata oltre cinque ore, hanno annullato l’atto con cui il Gup ha disposto il rinvio a giudizio degli imputati nel maggio scorso. Si riparte quindi dall’udienza preliminare. Il nodo sulla presenza del generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif si annunciava complesso. A parere della corte d’Assise di Roma “il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato agli imputati comunque non presenti all’udienza preliminare mediante consegna di copia dell’atto ai difensori di ufficio nominati, sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento”.

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Legale della famiglia: “Battuta di arresto, ma non ci arrendiamo” 

“Riteniamo importante che il governo italiano abbia deciso di costituirsi parte civile. Prendiamo atto con amarezza della decisione della Corte che premia la prepotenza egiziana. È una battuta di arresto, ma non ci arrendiamo. Pretendiamo dalla nostra giustizia che chi ha torturato e ucciso Giulio non resti impunito. Chiedo a tutti voi di rendere noti i nomi dei 4 imputati e ribaditelo, così che non possano dire che non sapevano”. Così l’avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, lasciando l’aula bunker di Rebibbia al termine dell’udienza. Presenti accanto alla Ballerini anche Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio e Irene, la sorella.

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Fonti procura: “Sorpresa e amarezza per decisione”

 La decisione dei giudici è stata accolta a piazzale Clodio con “sorpresa e amarezza”. Fonti della procura hanno affermato che “il tentativo di impedire che il processo si celebrasse non collaborando è andato a buon fine malgrado un lavoro intenso di oltre cinque anni che ha permesso l’identificazione dei presunti autori dei fatti”. Le fonti giudiziarie “si augurano che riprendano con rinnovata determinazione le azioni, a tutti i livelli, per ottenere l’elezione di domicilio degli imputati così che il Gup cui la corte d’Assise ha rimesso gli atti possa riavviare il processo al più presto”.

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Giudici: “Imputati non raggiunti da alcun atto ufficiale” 

 Gli 007 egiziani “non sono stati raggiunti da alcun atto ufficiale”. E’ un passaggio dell’ordinanza dei giudici della III corte d’Assise che ha annullato il rinvio a giudizio disposto dal Gup a maggio. “Le richieste inoltrate tramite rogatoria all’autorità giudiziaria egiziana contenenti l’invito a fornire indicazioni sulle compiute generalità anagrafiche e sugli attuali ‘residenza o domicilio’ utili per acquisire formale elezione di domicilio non hanno avuto alcun esito”, scrivono i giudici. “L’acclarata inerzia dello Stato egiziano a fronte di tali richieste del ministero della Giustizia italiano, certamente pervenute presso l’omologa autorità egiziana, seguite da reiterati solleciti per via giudiziaria e diplomatica nonché da appelli di risonanza internazionale, effettuato dalle massime autorità dello Stato italiano, ha determinato l’impossibilità di notificare agli imputati, presso un indirizzo determinato, tutti gli atti del procedimento a partire dall’avviso di conclusione delle indagini. Gli imputati, dunque, non sono stati raggiunti da alcun atto ufficiale”, aggiungono i giudici.

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Nel corso del suo intervento il pm Sergio Colaiocco aveva sottolineato che i quattro 007 si “sono sottratti volontariamente dal processo mettendo in atto, in qualità di agenti della National Securety, una serie di depistaggi per “rallentare” l’indagine della Procura di Roma in modo tale da insabbiare la verità su quanto avvenuto tra il dicembre del 2015 e il febbraio del 2016. Colaiocco ha parlato di “un’azione complessiva dei quattro imputati, e alcuni loro colleghi, compiuta dal 2016 e durata fino a poco fa, per bloccare, rallentare le indagini ed evitare che il processo avesse luogo in Italia. Da parte loro per 5 anni c’è stata una volontaria sottrazione, vogliono fuggire dal processo. Sono finti inconsapevoli”, ha detto il rappresentante dell’accusa che ha poi elencato 13 circostanze con cui gli 007 hanno ostacolato il corso delle indagini.

 

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“Qui non abbiamo una prova regina una intercettazione telefonica. Ma ci sono almeno 13 elementi – ha affermato Colaiocco – che dal 2016 a oggi, se messi insieme, fanno emergere che gli agenti si sono volontariamente sottratti al processo. La domanda è: perché gli imputati non sono presenti qui in questa aula, sono inconsapevoli o finti inconsapevoli? L’imputato ha diritto ad avere tutte le notifiche del processo ma anche il dovere di eleggere il proprio domicilio. L’Egitto su questo punto non ha mai risposto. In generale su 64 rogatorie inviate al Cairo, 39 non hanno avuto risposta”.

 

E poi l’ammissione: “Abbiamo fatto quanto umanamente possibile per fare questo processo e sono convinto che oggi i quattro imputati sappiano che qui si sta celebrando la prima udienza. “Dopo cinque anni e mezzo di faticosa battaglia vogliamo un processo. Ma che sia regolare, siamo qui per proteggere la verità”, hanno detto gli avvocati Alessandra Bellerini e Francesco Romeo, legali della famiglia di Regeni.

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Gli avvocati hanno fatto riferimento ai “depistaggi clamorosi” messi in atto dalla National Security e dagli imputati. Dal finto movente omosessuale, all’uccisione della banda di rapinatori fino ad arrivare al film sulla vicenda di Regeni, andato in onda sui media egiziani e comparso anche sui social network, “evidentemente diffamatorio tanto che i genitori di Giulio hanno presentato una denuncia-querela alla Procura di Roma”.

 

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Ballerini ha ricordato che a Giulio furono “fratturati denti e ossa. Incise lettere sul corpo”. Tutto ciò è avvenuto “in un luogo di tortura della National Security. Giulio muore non per le torture ma per torsione del collo, perché qualcuno decide che doveva morire. In questi anni abbiamo subito pressioni e i nostri consulenti in Egitto sono stati arrestati e torturati”. 

Repressione infinita

La comunità egiziana per i diritti umani sta soffrendo un “annientamento” da parte del governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi: più di 100 importanti organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo lanciano l’allarme in una lettera ai ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.  

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I gruppi hanno invitato i governi a guidare e sostenere la creazione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione sulla situazione dei diritti umani in continuo deterioramento in Egitto. L’istituzione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione rappresenterebbe un passo importante per incrementare la visibilità sulle violazioni e sui crimini commessi, fornire rimedi giuridici ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime, scoraggiare ulteriori abusi e stabilire sistemi per la definizione delle responsabilità.

“I governi del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbero dichiarare al governo egiziano che gli abusi sono e saranno monitorati e segnalati e che gli egiziani che con coraggio affrontano l’oppressione quotidianamente non sono soli nella loro lotta”, afferma John Fisher, Direttore di Ginevra dell’Human Rights Watch.

Dieci anni dopo la rivolta nazionale egiziana del 2011 che ha destituito il presidente Hosni Mubarak, gli egiziani vivono sotto un governo repressivo che soffoca ogni forma di dissenso e di espressione pacifica. Le ultime settimane hanno dimostrato che l’azione collettiva è possibile e può avere un impatto. “Solo attraverso un’azione internazionale sostenuta e impegnata possiamo garantire la sopravvivenza del movimento egiziano per i diritti umani nel prossimo futuro”, scrivono i gruppi nella loro lettera.

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Secondo i gruppi che hanno aderito alla lettera, la lotta per i diritti umani in Egitto è in “un momento critico”. L’inazione dei partner egiziani e degli Stati membri del Consiglio dei diritti umani ha incoraggiato il governo egiziano “nei suoi sforzi per mettere a tacere il dissenso e schiacciare la società civile indipendente”.

I recenti arresti e le indagini scioccanti condotti nei confronti di alti funzionari dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) e il congelamento dei loro beni attraverso procedimenti di fronte al tribunale penale – in un vero e proprio circuito del terrore – rappresentano un “attacco aberrante e inaccettabile” contro una delle più importanti organizzazioni per i diritti umani nel paese, hanno detto i gruppi. Questi fatti dimostrano la determinazione del governo egiziano a intensificare i suoi attacchi continui, diffusi e sistematici contro i difensori dei diritti umani e lo spazio civico.

Dopo la destituzione dell’ex presidente Mohammed Morsi dal potere nel luglio 2013, le autorità egiziane hanno intrapreso una repressione sempre più brutale nei confronti dei difensori dei diritti umani e dei diritti civili e politici più in generale. Migliaia di egiziani, tra cui centinaia di difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, artisti e politici, sono stati detenuti arbitrariamente, spesso con accuse penali abusive o attraverso processi iniqui.

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Le forze di sicurezza egiziane li hanno sistematicamente sottoposti a maltrattamenti e torture. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno avvertito che condizioni di detenzione catastrofiche hanno messo in pericolo la vita e la salute dei detenuti. Altri attivisti pacifici sono stati fatti sparire con la forza. Quello che è successo ad alcuni di loro non è mai stato rivelato.

“Il popolo egiziano ha vissuto in passato sotto governi dispotici, ma gli attuali livelli di repressione in Egitto non hanno precedenti nella sua storia moderna”, rimarca Bahey El-din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies. “Le conseguenze sono potenzialmente terribili sia per i diritti umani che per la stabilità del Paese”. Nell’agosto 2020 il signor Hassan è stato condannato a 15 anni di carcere in contumacia da un tribunale per terrorismo in relazione al suo lavoro di difesa dei diritti umani nel paese.

In un contesto così severamente repressivo, molte organizzazioni per i diritti umani sono state costrette a chiudere, ridimensionare le loro operazioni, operare dall’estero o lavorare sotto il costante rischio di arresti e molestie.

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Il governo in genere invoca l’”antiterrorismo” per giustificare questi abusi e per criminalizzare la libertà di associazione e di espressione. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno messo in guardia dall’uso da parte dell’Egitto di “circuiti terroristici” dei tribunali penali per prendere di mira i difensori dei diritti umani, mettere a tacere il dissenso e rinchiudere gli attivisti durante la pandemia Covid-19.

Di fronte a questi ripetuti avvertimenti, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha la responsabilità di agire e garantire un solido monitoraggio e controllo internazionale sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, hanno affermato i gruppi.

“La sopravvivenza del movimento per i diritti umani in conflitto in Egitto è in gioco”, ha detto Kevin Whelan, rappresentante di Amnesty International alle Nazioni Unite a Ginevra. “I membri della comunità internazionale hanno la responsabilità di sostenere gli sforzi per istituire un meccanismo di monitoraggio e segnalazione presso il Consiglio dei diritti umani sulla situazione in Egitto, dando il chiaro segnale che il disprezzo dell’Egitto per i diritti umani non sarà più ignorato e tollerato”.

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Nulla è stato fatto per impedire questo scempio di legalità. E la verità sancita ieri a Roma ne è conferma

 

 

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