Quei corpi senza vita in Libia gridano giustizia: c'è una Corte a l'Aia per quei criminali e i loro protettori
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Quei corpi senza vita in Libia gridano giustizia: c'è una Corte a l'Aia per quei criminali e i loro protettori

A l’Aia, se esistesse Giustizia, dovrebbero essere ascoltati i sopravvissuti ai lager, alle traversate del deserto, ai disperati viaggi sulle carrette del mare.

Bambino morto sulla spiaggia di Zuwara, Libia
Bambino morto sulla spiaggia di Zuwara, Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Ottobre 2021 - 18.08


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Una “Norimberga” libica. A l’Aia, dove ha sede la Corte penale internazionale (Cpi). E’ la Corte che giudica autori e mandanti di crimini di guerra e contro l’umanità. Quei crimini che in Libia vengono perpetrati da anni contro civili indifesi: torturati, stuprati, venduti come schiavi, fatti affogare nel Mediterraneo. 

A l’Aia, se esistesse Giustizia, dovrebbero essere ascoltati i sopravvissuti ai lager, alle traversate del deserto, ai disperati viaggi sulle carrette del mare. E dovrebbero essere proiettati video che testimoniano l’orrore e inchiodano i responsabili.

Ogni traversata è una storia a sé. C’è chi riesce a sbarcare in Europa, chi muore inseguendo un sogno che non si avvera. L’ultima tragedia nel Mediterraneo è documentata dalla Guardia costiera libica che ha recuperato una barca di legno, rotta, con a bordo 140 migranti e 15 cadaveri. Un video mostra i cadaveri adagiati sul ponte della barca e alcuni uomini che ne estraggono altri da due boccaporti. “Sono annegati” conferma l’Unhcr, nel naufragio di cui ha dato notizia Alarm Phone: “Recuperati i corpi di 15 persone quando 2 imbarcazioni sono arrivate alla base navale di Tripoli”, ha confermato l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati su Twitter. I migranti erano partiti da Zuara e Al Khoms la notte prima.  Una tragedia che si aggiunge a numerosi naufragi avvenuti nel Mediterraneo. Il recente bollettino pubblicato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) racconta una tragedia continua: sulla “rotta mediterranea centrale”, quella che dalla Libia porta all’Italia, quest’anno sono morte 474 persone e 689 disperse a fronte dei 381 decessi e 597 persone scomparse nell’anno 2020. I migranti riportati in Libia fino al 9 ottobre sono stati 26.314, calcola ancora l’Oim, ricordando che nei 12 mesi dell’anno scorso erano stati 11.891. 

Corte penale internazionale: breve storia

È un tribunale internazionale a carattere permanente, con sede all’Aia, competente a giudicare individui che, come organi statali o come semplici privati, abbiano commesso gravi crimini di rilevanza internazionale, previsti nello Statuto della Corte, ossia il trattato istitutivo adottato dalla Conferenza diplomatica di Roma il 17 luglio 1998, ed entrato in vigore il 1° luglio 2002. 

La Corte è competente a giudicare il crimine di genocidio, altri crimini contro l’umanità e crimini di guerra (Crimini internazionali). Essa è altresì competente per il crimine di aggressione (Aggressione. Diritto internazionale), ma la giurisdizione rispetto ad esso verrà esercitata solo dopo l’entrata in vigore di un emendamento allo Statuto, relativo alla definizione di aggressione e alle condizioni di esercizio della giurisdizione stessa. Sono invece esclusi dalla competenza della Corte i cosiddetti treaty crimes (Terrorismo. Diritto internazionale), fattispecie criminose la cui repressione è prevista da trattati internazionali ma non nel diritto consuetudinario.  In base al principio di complementarità, la giurisdizione della Corte rispetto ai crimini menzionati nello Statuto può esercitarsi solo quando lo Stato che ha giurisdizione sul caso non abbia la volontà o la capacità di perseguire il crimine mediante i propri tribunali. La giurisdizione della Corte non ha carattere universale; la Corte pertanto non può procedere nei confronti di cittadini di Stati non aderenti allo Statuto o di situazioni verificatesi sul territorio di tali Stati, salvo il loro consenso. La giurisdizione della Corte è però automatica per i crimini previsti nello Statuto, se lo Stato sul cui territorio sono stati commessi o di cui il presunto responsabile è cittadino sono parti allo Statuto. In caso contrario, occorre che uno di tali Stati o entrambi accettino la giurisdizione della Corte con dichiarazioni ad hoc. Il consenso dello Stato non è necessario quando il caso è sottoposto alla Corte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unitein base al cap. VII della Carta dell’Onu. 

Quale sede più appropriata per una “Norimberga” libica?

Aguzzini in divisa

Probabili crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia: è quanto emerge dal primo documento reso pubblico nei giorni scorsi  a Ginevra dalla Commissione di inchiesta indipendente voluta a giugno 2020 dal Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite (Unhcr). “Vi sono fondati motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra e che le violenze perpetrate nelle carceri e contro i migranti possono costituire crimini contro l’umanità”, si legge nel comunicato odierno.

Violazioni del diritto internazionale

“Le nostre indagini hanno stabilito che tutte le parti in conflitto, compresi Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario”, afferma Mohamed Auajjar, presidente della missione conoscitiva. “Alcune hanno anche commesso crimini di guerra”, ha aggiunto. La Commissione ha quindi identificato individui e gruppi – sia libici che attori stranieri – che potrebbero essere responsabili delle violazioni, degli abusi e dei crimini commessi nel Paese nordafricano dal 2016 ed ha elaborato un elenco “confidenziale” che rimarrà tale fino a quando non si “presenterà la necessità della sua pubblicazione o condivisione con altri meccanismi pertinenti”, ha spiegato l’Onu.

Abusi “organizzati” in mare e nelle carceri

La Commissione di Fact Finding stabilita dal Consiglio Onu sui Diritti umani aveva il mandato di documentare presunte violazioni e abusi dall’inizio del 2016. La missione tra l’altro ha esaminato la situazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Sono vittime di “abusi in mare, nei centri di detenzione e per mano dei trafficanti”, denuncia Chaloka Beyani, membro della Commissione, che parla di “violazioni su vasta scala commesse da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione, il che suggerisce crimini contro l’umanità”. 

L’appello al Governo

Alla denuncia si unisce nel rapporto anche un appello. Con il recente insediamento del Governo di unità nazionale, infatti, la Libia è entrata in una fase di dialogo nazionale e di unificazione delle istituzioni statali. Il rapporto dunque contiene anche un’esortazione alla politica ad intensificare gli sforzi per chiedere conto ai responsabili delle violazioni. Intanto continua il flusso di chi cerca di lasciare la Libia per ricostruirsi un futuro. Circa 500 persone sono state fatte sbarcare in una raffineria di Azzawiya, dopo essere state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica su un’imbarcazione di legno. È quanto riferisce su Twitter l’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr) in Libia, precisando che “del gruppo fanno parte persone provenienti da Somalia, Sudan, Bangladesh, Siria” cui si è già fornita assistenza.

L’Onu è estremamente preoccupata per le notizie di uccisioni e uso eccessivo della forza contro migranti e richiedenti asilo a Gargaresh, oggetto di un raid da parte delle forze di polizia del governo libico che ha portato all’arresto di almeno 4000 persone. “Un migrante è stato ucciso e almeno altri 15 feriti, 6 in modo grave, quando le autorità di sicurezza libiche hanno compiuto raid contro case e rifugi temporanei di fortuna a Gargaresh, una zona di Tripoli densamente popolata da migranti e richiedenti asilo”, scrive in una nota l’assistente del segretario generale residente dell’Onu e coordinatore umanitario per la Libia, Georgette Gagnon. “Pur rispettando pienamente la sovranità dello Stato e sostenendo il suo dovere di mantenere la legge e l’ordine e di proteggere la sicurezza della loro popolazione, l’Onu invita le autorità statali a rispettare in ogni momento i diritti umani e la dignità di tutte le persone, compresi i migranti e richiedenti asilo”, si legge ancora. Secondo i rapporti di funzionari della Direzione per la lotta alla migrazione illegale, almeno 4.000 persone, tra cui donne e bambini, sono state arrestate durante l’operazione di sicurezza. Migranti disarmati sono stati molestati nelle loro case, picchiati e fucilati. Le Nazioni Unite hanno ricevuto segnalazioni di un giovane migrante ucciso da colpi di arma da fuoco. Altri cinque migranti hanno riportato ferite da arma da fuoco; due di loro sono in gravi condizioni in terapia intensiva. Ha inoltre ricevuto segnalazioni secondo cui le comunicazioni erano state interrotte con individui incapaci di comunicare, accedere alle informazioni e chiedere assistenza. La maggior parte di queste persone arrestate sono ora detenute arbitrariamente, anche in strutture di detenzione gestite dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale, sotto il ministero dell’Interno”.

No all’eccessivo uso della forza nel contrasto all’immigrazione

“Le Nazioni Unite ribadiscono che l’uso eccessivo e ingiustificato della forza letale da parte delle forze di sicurezza e di polizia durante le operazioni di contrasto costituisce una violazione del diritto nazionale e internazionale”. Chiediamo alle autorità libiche di indagare sui rapporti sull’uso letale ed eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza contro i migranti nelle operazioni dei giorni scorsi”. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente condannato le condizioni disumane nei centri di detenzione della Libia in cui migranti e rifugiati sono detenuti in strutture gravemente sovraffollate con limitazioni all’accesso all’assistenza umanitaria salvavita”. “In linea con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e le conclusioni di Berlino, ribadiamo il nostro appello alle autorità libiche affinché pongano fine e prevengano arresti e detenzioni arbitrarie e rilascino immediatamente le persone più vulnerabili, in particolare donne e bambini”. In questo contesto, sollecitiamo nuovamente il governo a consentire immediatamente la ripresa dell’evacuazione umanitaria volontaria operata dall’Oim e dell’Unhcr e dei voli di ritorno e delle partenze di migliaia di migranti e richiedenti asilo in Libia verso destinazioni al di fuori del paese”. “Le Nazioni Unite sono pienamente pronte a collaborare con il governo libico e le autorità competenti per rafforzare la governance della migrazione, garantendo nel contempo il pieno rispetto dei diritti umani internazionali, del diritto umanitario e dei rifugiati”.

Elezioni, mission impossible

Interessante in proposito è l’accurato report per Ispi di Federica Saini Fasanotti, Senior associate research fellow Medio Oriente e Nord Africa.

Negli ultimi tre mesi i fatti sembrano aver portato la Libia nuovamente in un vicolo cieco. Le tensioni tra il Governo di unità nazionale (Gnu) di Tripoli, ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite, e la Camera dei rappresentanti (HoR) di Tobruk stanno aumentando, complice anche la rinnovata presenza del maresciallo di campo Khalifa Haftar, spoiler del processo di pace che peraltro, al momento, non ha ancora voluto riconoscere il Gnu. Rimangono sul campo, esattamente come prima e incuranti di qualunque richiesta da parte della missione in Libia dell’Onu (Unsmil) e degli stessi libici – primo fra tutti il ministro degli Affari Esteri libico Najla Mangoush – Turchia, Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, oltre a mercenari provenienti dalle aeree subsahariane del Sudan e del Ciad. La loro presenza non fa che incrementare le frizioni fra i due schieramenti locali (Gnu e HoR), non lasciando prevedere nulla di buono riguardo alle prossime ipotetiche elezioni che dovrebbero tenersi il 24 dicembre di quest’anno. A riprova di ciò, il 21 settembre 2021 il Gnu è stato sfiduciato dall’HoR con 89 voti su 113, aggiungendo un’ulteriore problema ad una situazione già estremamente delicata.

Nonostante le risoluzioni 2570 e 2751 adottate lo scorso aprile dalle Nazioni Unite per cercare di affrontare i problemi legati al processo elettorale e al non avvenuto ritiro delle milizie straniere sul territorio, non ci sono stati cambiamenti positivi, come dimostrato dalle crescenti tensioni tra il Gnu e l’HoR

Il Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf) in questi mesi ha perso buona parte del proprio smalto, scosso da continui disaccordi soprattutto riguardo alla sostanza della futura Costituzione, fondamentale per il buon funzionamento del processo elettorale. Ancora, infatti, non si è deciso ufficialmente se le elezioni saranno dirette o indirette e, qualora si riuscissero a tenere le presidenziali, se i candidati possano avere doppia nazionalità. Questo è un punto rilevante, in quanto alcuni personaggi di spicco dell’arena politica libica hanno passaporto americano (Haftar e l’attuale presidente dell’Alto Consiglio di Stato, Mohamed El Menfi) o canadese (Ali Aref Nayed, ex ambasciatore libico negli Emirati Arabi Uniti). Nonostante ciò, lo scorso 18 agosto l’HoR ha deciso, senza consultare l’Alto Consiglio di Stato che esse avverranno per voto diretto.

Per quanto concerne le discussioni in merito a una nuova Carta costituzionale, il Presidente dell’HoR, Aguila Saleh, ha ultimamente affermato che la Libia possiede già una Dichiarazione costituzionale – la Transitional Constitutional Declaration (Tcd) del 2011 – atta a fare le veci di una Costituzione vera e propria, che definisce quindi le istituzioni della nazione, la divisione dei poteri, i diritti dei cittadini e così via. È evidente che se questi contrasti non verranno sanati il prima possibile, sarà impossibile che le elezioni si tengano. Oltre a ciò, non va dimenticato che le diverse fazioni miliziane libiche sono super-armate e questo potrebbe essere un problema enorme, qualora ci fossero denunce di brogli o disaccordi sugli eletti…”. 

“Un tema fondamentale in Libia  – rimarca ancora l’analista dell’Ispi – è quello legato alla sicurezza, a causa di truppe straniere operative su territorio libico e migliaia di miliziani libici in lotta per la spartizione del potere. Sono loro a costituire la più grande minaccia per la messa in opera di numerose riforme e, quindi, per una stabilizzazione duratura. A esse vanno poi aggiunte cellule di varia provenienza dell’estremismo jihadista, da al-Qaeda a Isis, che non hanno mai cessato di operare. Le sfide, in sostanza, rimangono esattamente quelle che si è trovato davanti il Gna: per questo i cittadini libici assistono ormai disillusi, dopo dieci anni di guerre civili, al fallimento della propria classe politica, tra un blackout elettrico e l’altro, sopportando anche continui tagli alla distribuzione idrica, tra le macerie e la sporcizia delle grandi città. In questo scenario desolante, la pandemia da Covid ovviamente non si è fermata: al 30 agosto si contavano 2.000 nuovi casi in più con 19 decessi, nonostante l’avvio di una campagna vaccinale più seria e sistematica”.

Che in questo scenario si possano immaginare elezioni libere, sicure, democratiche, per di più in tempi ravvicinati (24 dicembre 2021). più che una mission impossible, è una farsa buona per evitare una Norimberga libica. 

 

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