A San Marino l'aborto è sempre reato: finalmente un referendum per uscire dall'oscurantismo
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A San Marino l'aborto è sempre reato: finalmente un referendum per uscire dall'oscurantismo

Nella repubblica del Titano c'è ancora in vigore una legge del 1865 che che vieta l'interruzione di gravidanza. Domenica alle urne per abrogare quella norma

Referendum per l'aborto legale a San Marino
Referendum per l'aborto legale a San Marino
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Claudio Visani Modifica articolo

24 Settembre 2021 - 16.26


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L’ultimo miglio per l’uscita di San Marino dal medioevo e l’approdo tra le democrazie avanzate dell’Occidente è il referendum sull’interruzione volontaria della gravidanza. La più antica Repubblica del mondo è oggi, assieme a Malta e al principato di Andorra, l’unico Stato in Europa dove l’aborto è ancora totalmente illegale, anche in caso di stupro, gravi malformazioni del feto e pericolo di vita per la donna.

Un reato regolato sul Titano da due diversi articoli del codice penale risalenti al 1865 che prevedono dai sei mesi ai tre anni di carcere.

Una pena in realtà mai applicate finora, ma solo perché le sanmarinesi  vanno ad abortire altrove, a spese loro, mentre sul Monte tutti si voltano dall’altra parte facendo finta di niente. Domenica questa ipocrisia potrebbe finire.

Trentamila e rotti elettori saranno infatti chiamati a votare sì o no al referendum promosso da una agguerrita associazione  di donne che ha raccolto le firme per andare al voto per depenalizzare l’aborto. E che spera, con la vittoria, di ottenere poi una legge sulla falsariga della 194 che in Italia regola dal 1978 la materia.

Il quesito referendario è il seguente: “Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?”. Il referendum punta dunque a tutelare due principi: la libertà di scelta della donna e, dopo la dodicesima settimana, la possibilità dell’aborto terapeutico. Ma l’esito non è scontato. Perché a San Marino la gente è strana e la Repubblica di più. C’è un elettorato conservatore attento soprattutto a tutelare lo status quo, i molti privilegi dei residenti (fiscali e non solo), i caratteri di una società per tanti versi ancora declinata al maschile. E c’è una Chiesa assai poco francescana (anche nel senso di Papa Francesco) e ancora molto influente. 

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Un percorso accidentato come lo è stato quello sui diritti delle coppie omosessuali. Fino al 2004, che è anche l’anno in cui è cominciata questa battaglia delle donne per la legalizzazione dell’aborto, l’omosessualità a San Marino era ancora reato. E non per una legge del secolo scorso, ma del 1974, l’anno del referendum sul divorzio in Italia. Un reato punibile con la reclusione da tre a dodici mesi, anche se pure in questo caso non risulta che sia mai stata applicata. Nel 2004 quella norma venne abrogata. Ma ci vollero altri otto anni prima che il Consiglio Grande (il Parlamento del Titano) concedesse alle coppie dello stesso sesso, ma solo se straniere, la possibilità di richiedere il permesso di soggiorno e la residenza a San Marino, riconoscendo così, timidamente, il loro diritto a convivere. Una decisione che venne aspramente contrastata dal vescovo di allora, monsignor Luigi Negri, che la definì “contro l’uomo e contro la Chiesa”. Guarda caso, due anni dopo, nel 2014, venne bocciata con i voti della coalizione di governo di cui faceva parte anche il Pd sanmarinese, l’istanza per il riconoscimento dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero.

Nel 2017 il matrimonio venne poi riconosciuto, ma esclusivamente tra coppie straniere e “al fine di incoraggiare il turismo”. Poi l’aria culturale e politica è cambiata e l’anno dopo, nel novembre 2018, il Consiglio Grande ha approvato con 40 voti a favore e solo 4 contrari una legge sulle unioni civili che recita: “L’unione civile è il contratto mediante il quale è regolata una comunità di tipo familiare composta da due individui maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune”. Così il 25 febbraio 2019 Marco e Emanuele hanno potuto passare alla cronaca per essere stata la prima coppia omosessuale unita civilmente sul Monte. 

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San Marino è sempre stato così, un’altalena continua tra antico e moderno, uno Stato che a volte sembra  vivere fuori dal tempo e altre volte all’avanguardia. In passato c’erano state altre clamorose violazioni dei diritti civili. Una che negli anni Novanta fece molto rumore fu quella per vietare il diritto di residenza e cittadinanza alle donne straniere con meno di cinquant’anni che si sposavano con anziani signori sanmarinesi.

 Sostanzialmente una norma anti-badanti dell’Est che però colpiva anche gli anziani sanmarinesi. Ora il clima culturale e politico è cambiato. Sui diritti civili, anche quelli Lgbt, si sono fatti molti passi avanti. Tanto che recentemente è stata inserita nella costituzione della Repubblica una legge contro ogni discriminazione di razza e di sesso. Per questo c’è un certo ottimismo sull’esito referendario di domenica. Gli oppositori però sono agguerriti, stanno conducendo una campagna per la vita con manifesti e slogan così beceri che ricordano certi film, romanzi e anche certe manifestazioni dell’America trumpiana. 

In questa altalena dei diritti, fa un certo effetto pensare che la legge sul divorzio a San Martino arrivò trent’anni prima di quella italiana. “Merito” della Guerra Fredda. Dalla Liberazione al 1957 la Repubblica del Titano fu infatti ininterrottamente governata, anche dopo la sconfitta del fronte popolare del 1948 in Italia, da una coalizione social-comunista.  Una anomalia assoluta, l’énclave del comunismo in Occidente. Un pugno in un occhio per gli Stati Uniti. Tanto che per cancellare quell’eresia la Casa Bianca e la Cia organizzarono un “colpetto di Stato”, con la collaborazione attiva del Governo italiano guidato da Adone Zoli (che era di Predappio come Lui) e della Dc di Amintore Fanfani e Vittorio Scelba. Negli anni del socialcomunismo San Marino, pur tra molta propaganda e demagogia, era stata elevata a Repubblica del lavoro e dei diritti. E tra i diritti c’era quello al divorzio. Gli annullamenti matrimoniali erano consentiti da una legge. E il Tribunale di Torino aveva poi stabilito la validità giuridica di quegli annullamenti anche in Italia. Nel 1953, inoltre, fu approvata la legge che istituiva anche i matrimoni civili, fino ad allora vietati. Norme entrambe assai indigeste alla Chiesa, che spalleggiata dalla Dc scatenò una vera e propria crociata contro il governo sanmarinese. Questa campagna, unitamente al blocco dei confini deciso dal governo italiano per far chiudere il Casinò di Stato che i “rossi” avevano aperto per finanziarsi, accelerò i tempi del colpo di Stato per insediare un governo democristiano sul Monte. 

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Sta di fatto che all’inizio degli anni Cinquanta c’era un gran traffico di italiani che andavano a divorziare a San Marino, anche di personaggi illustri. Tra questi ultimi, l’allora segretario del Pci, Luigi Longo, che per qualche tempo attirò la curiosità dei militanti bazzicando tra il Titano e Rimini, finché non si seppe che sul Monte aveva ottenuto lo scioglimento del suo matrimonio con Teresa Noce. Ma il caso più divertente riguardò Eduardo De Filippo, che lassù sciolse la sua unione con Dorothy, l’americana che aveva sposato nel 1928. Molti anni dopo, all’inizio degli anni Ottanta, già molto malato, quando non recitava più e si reggeva in piedi a fatica con l’aiuto di un bastone, Eduardo volle ugualmente partecipare a una cerimonia in suo onore al Teatro Titano. Raggiunto a fatica il microfono sul palco, si rivolse agli astanti dicendo accorato: “Vedete, sono alla fine della mia vita, ma qui ho voluto esserci perché San Marino mi ha ridato la libertà: nel 1952 mi ha liberato da quella vipera di mia moglie”.  

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