E alla fine siamo andati via, le sentite le urla delle donne che abbandoniamo dentro i burqa?

E' davvero finita. Non per noi. Noi torniamo nel caldo delle nostre case. Ma per loro, quelli e quelle che avevano creduto di essere esseri umani come noi.

Afghanistan
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

31 Agosto 2021 - 11.42


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Alla fine è finita davvero.
20 anni gattopardeschi, cambiare tutto per non cambiare nulla.
Il generale Battisti ieri ha ammesso un piccolo errore della Nato: “Gli afghani sono da sempre considerati i combattenti più temibili dell’Asia centrale. Ma abbiamo voluto applicare i nostri cliché di combattimento che puntano sullo scontro frontale. E il risultato è che abbiamo letteralmente fatto disimparare agli afghani a combattere”.
Afghanistan significa la tomba degli imperi. Qui nessuno vince. Nessuno sottomette l’Afghanistan, qui si muore o si scappa sconfitti. Come le truppe occidentali oggi e quelle sovietiche ieri.
Per la mia generazione l’11 settembre è stato lo spartiacque tra il mondo rassicurante, quello dove tutto ciò che poteva accadere era sostanzialmente prevedibile, e l’ignoto, l’impossibile da immaginare.
Chi lo avrebbe mai immaginato un virus che blocca in casa 7 miliardi di individui. Ma soprattutto, chi lo avrebbe mai immaginato un attacco straniero in terra americana. New York che diventa terreno di scontro bellico?
In qualche modo chi è nato negli anni 80 era già preparato all’inimmaginabile della pandemia, o della crisi economica del 2007. Aveva visto gli americani piegati su loro stessi, vittime per la prima volta. Non poteva esserci nulla di più traumatico dopo quel 2011.
Ogni generazione ha il suo Vietnam, questo è il nostro.
Pearl Harbor non fu nulla a confronto dei broker che si lanciavano dalle Torri gemelle per non bruciare vivi.
Durante questa guerra, sono uscita dall’adolescenza, ho capito cosa volevo fare da grande, sono diventata grande. Ho imparato a gestire attacchi di panico, a liberarmi di rapporti nocivi, a comprendere con estrema precisione cosa voglio e non voglio. Mi sono tuffata in mari profondi e bellissimi ma anche in pozzanghere illusorie schiantandomi e spezzandomi l’osso del collo per poi risorgere ancora una volta senza smettere di fidarmi di un progetto o di una persona. Ho fatto la scelta più importante della mia vita: restare in Sardegna. Sono una donna, prima ero solo una bambina. Sono più zoppa, sono diventata femminista. Ho imparato a non giudicare. Che la vita non è bianco e nero e dobbiamo essere indulgenti con i nostri grigi. Perdonarmi.
Sono passati 20 anni e penso a una coetanea afghana che ha passato 20 anni credendo di poter essere una Persona e ora l’abbiamo lasciata sola con questo gruppo di diavoli che la considerano meno di un sasso. Sono nata in Occidente, è questo il nostro peccato originario, essere i carnefici della Storia, quelli fortunati che illudono il mondo di poter raggiungere il nostro benessere per poi rifarli precipitare nell’oscurantismo. Siamo gli schiavisti, i razzisti, quel G7 che comanda su popoli che neppure sappiamo collocare in una cartina.
E’ davvero finita. Non per noi. Noi torniamo nel caldo delle nostre case. Ma per loro, quelli e quelle che avevano creduto di essere esseri umani e che il principio illuminista del “nasciamo tutti uguali” fosse vero. Invece sono solo belle parole per sentirci meno in colpa.
La Storia non ci perdonerà. Ma nessuno arriva a questo punto della storia. La mia coetanea afghana morirà nell’oblio. Nel buio più buio del suo burka.
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