Convenzione sui Rifugiati: settant'anni dopo, aria fetida in Europa
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Convenzione sui Rifugiati: settant'anni dopo, aria fetida in Europa

L’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, è sempre più preoccupata per la strumentalizzazione dei rifugiati e dei migranti da parte degli Stati, apparentemente per scopi politici. Ecco perché

Rifugiati in Siria
Rifugiati in Siria
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Luglio 2021 - 16.34


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Migranti, tira brutta aria in Europa. Aria mefitica, “securista”. Aria di strumentalizzazione politica, di narrazioni che violentano la realtà e alimentano paure, insicurezze, folate di xenofobia. 

L’allarme dell’Unhcr

A darne conto, con una nota ufficiale, è anche l’Unhcr.

“L’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, è sempre più preoccupata per la strumentalizzazione dei rifugiati e dei migranti da parte degli Stati, apparentemente per scopi politici.

Le persone non sono, e non dovrebbero mai essere, pedine in dinamiche geopolitiche. Quando gli Stati incoraggiano il flusso di persone nei paesi vicini, creano gravi rischi e aumentano il trauma e la sofferenza di coloro che sono costretti a fuggire. Questo genera ulteriori rischiosi spostamenti, espone le persone a un potenziale sfruttamento e può mettere a dura prova la capacità di accoglienza di altri stati. L’aumento di questa tendenza – in Europa e altrove – desta grande preoccupazione.

Il diritto di ogni individuo di accedere al territorio e chiedere asilo è una pietra miliare del diritto internazionale dei rifugiati.

L’Unhcr invita tutti gli stati a guardare oltre gli interessi politici di parte, a valutare la validità delle richieste di asilo attraverso procedure eque ed efficienti all’arrivo, e a garantire una protezione significativa a tutti coloro che ne hanno bisogno.

Questa fondamentale responsabilità di protezione può essere condivisa tra gli stati in uno spirito di solidarietà, ma non dovrebbe mai essere trasferita unilateralmente, esternalizzata o manipolata per scopi politici”.

La Convenzione sui Rifugiati, settant’anni dopo

Oggi ricorre il 70° anniversario della Convenzione del 1951 sui Rifugiati, un trattato internazionale fondamentale. L’Unhcr, afferma che “rinnovare l’impegno nello spirito e nei principi fondamentali della Convenzione non è mai stato tanto urgente quanto oggi.
‘La Convenzione continua a tutelare i diritti dei rifugiati nel mondo”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
‘Grazie alla Convenzione, sono stati salvati milioni di vite umane. A settant’anni dalla sua stesura, è di fondamentale importanza che la comunità internazionale difenda i principi in essa enunciati”.
L’Alto Commissario ha espresso forte apprensione per i recenti tentativi avanzati da alcuni governi volti a disattendere o eludere i principi della Convenzione, dalle espulsioni e dai respingimenti di rifugiati e richiedenti asilo presso le frontiere terrestri e marittime, alle proposte di trasferirli forzatamente in Paesi terzi per prenderne in carico le domande di protezione internazionale senza adeguate tutele giuridiche.
A 70 anni dal giorno in cui la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati fu presentata agli Stati affinché ne divenissero firmatari, Filippo Grandi ha affermato che il trattato costituì una componente fondamentale del diritto internazionale in materia di diritti umani e che continua a essere rilevante oggi così come quando fu redatto e concordato.
‘Il linguaggio della Convenzione è chiaro in merito ai diritti dei rifugiati e continua a essere applicabile nel contesto di sfide ed emergenze contemporanee che non hanno precedenti, quali la pandemia di Covid-19’ ha dichiarato Grandi.
Sia la Convenzione del 1951 sui Rifugiati sia il più recente Global Compact sui Rifugiati chiedono che attraverso la cooperazione internazionale si trovino soluzioni per chi è costretto a fuggire.
Grandi ha sottolineato quanto sia necessario che la comunità internazionale difenda i principi chiave in materia di protezione dei rifugiati enunciati dalla Convenzione, tra i quali il diritto di fuggire da ogni forma di persecuzione e a non essere costretti a fare ritorno verso situazioni che espongano ad abusi o pericoli.
Il 70° anniversario della Convenzione sui Rifugiati ricorre dopo soli pochi mesi che l’Unhcr  stessa ha celebrato i settant’anni da quando è stata designata come organizzazione incaricata del mandato di proteggere le persone costrette a fuggire.

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Storia di sofferenza e di riscatto

Queste storie sono state raccolte dagli operatori del Numero Verde per richiedenti asilo e rifugiati 8905570, gestito dall’Arci

Come mi chiamo? Mi chiamo Souleye

Quanti anni ho? Il 25 novembre compio 20 anni

Da dove vengo? Sono senegalese.

Qual è la mia storia? Ho avuto problemi di famiglia con mio zio. Non ho mai conosciuto mio padre. Mia madre mi ha lasciato, anche a causa del fatto che era cristiana. Ero stato abbandonato dai miei e dopo 15 anni – durante i quali ero stato cresciuto da una famiglia (musulmana) a cui mi ero affezionato – è arrivato mio zio pretendendo di portarmi via. Mio zio ha litigato con questa famiglia ed io, per evitare che venisse fatto loro del male in quanto mi sentivo in colpa, ho deciso di fuggire in Italia. Inoltre mio zio voleva farmi entrare in una setta attiva nel Sud del Senegal (a Keidou) dove era previsto un rito di iniziazione molto cruento che volevo assolutamente evitare. Ero ancora un ragazzino quando sono arrivato in Italia (minorenne).

Sono un testimone o vittima delle violenze/torture in Libia. Ora vi racconto.

In Libia sono stato in carcere a Saba per più di due mesi ed ho subito torture. Ci picchiavano spesso e ci lasciavano senza mangiare. Il primo giorno in Libia ci hanno portato in una grande magazzino. Il giorno dopo ci hanno trasferito in prigione dove siamo rimasti un mese a pane e acqua con circa cento persone. Dopo un mese di torture di vario tipo siamo stati mandati in un altro carcere, peggiore del primo. Quando un giorno è venuta una macchina che portava del cibo in carcere, dalla fame abbiamo sfondato i cancelli e siamo fuggiti via per il deserto. A noi poco importava di essere presi a pistolettate dalle guardie in quanto eravamo sul punto di morire di fame.

Souleye ha ottenuto la protezione umanitaria ed è ospite del progetto Sprar gestito dall’Arci di Foggia

Come mi chiamo?  Karim

Quanti anni ho? 32

Da dove vengo? Dal Senegal, più precisamente dalla Casamance

Qual è la mia storia?

Da quando sono nato mi manca il respiro. Il giorno in cui ho compiuto 10 anni il mio Paese è entrato in guerra con sé stesso. Nella regione in cui vivevo, a Casamance, è iniziato un conflitto tra i militari del Governo e quelli legati al partito dell’opposizione. A partire da quel giorno la violenza non ha mai più lasciato le strade e le piazze della mia città provocando migliaia di morti e sfollati. Mi mancava il respiro. Sono cresciuto e  da adolescente,  correndo per tornare verso casa dalla mia famiglia, mi sentivo di svenire. I miei genitori pensavano fosse per la condizione che vivevamo, per quello che accadeva ogni giorno intorno a noi. Un giorno sono riusciti a portarmi da un dottore. Gli ospedali, in quel periodo, erano pieni di persone ferite a causa dal conflitto. Mi mancava il respiro e quel giorno ho capito il perché. Sono nato senza il diaframma, il muscolo che permette di respirare ed espirare correttamente. Avrei dovuto sottopormi a terapie, curarmi, essere seguito da un dottore ma nel mio Paese il sistema sanitario non garantiva queste cure, nessuno era in grado di aiutarmi. Intanto il conflitto continuava e tutti noi, anche chi non era parte di un gruppo politico o militare, avrebbe dovuto armarsi e combattere. Io non volevo. Così, col tempo, mettendo da parte dei soldi ho deciso di iniziare il viaggio per scappare dal mio Paese, alla ricerca di protezione, di pace e una vita dignitosa.  Dal Senegal, passando dall’Algeria, sono arrivato in Libia.

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Continuava a mancarmi il respiro. Da lì sono partito, insieme ad altri, per arrivare in Italia.

Arrivato in Italia ho cercato un posto dove potessero curarmi. Non avevo più soldi con me, ero solo e non sapevo cosa mi sarebbe accaduto. Mi sono presentato presso un Ospedale: da quel momento sono diventato un caso studio per i medici. Ricoverato, sono stato sottoposto a terapie e a un intervento per una parziale ricostruzione. Il personale medico continuava a non capire come avessi fatto a sopravvivere tutti quegli anni senza respiro.

Sono stati loro ad informarmi dei miei diritti e ad aiutarmi a chiedere asilo. Mi è tornato il respiro.

Perché la Commissione Territoriale mi ha riconosciuto la protezione umanitaria?

Perché ha riconosciuto la necessità che venissi sottoposto a terapie mediche considerando la mia condizione caratterizzata da gravi motivi umanitari.

Perché mi ha riconosciuto il diritto alla salute – obbligo sia costituzionale (art.32) che internazionale – e quindi a cure mediche e terapeutiche che altrimenti non avrei potuto ricevere in Senegal.

Cosa mi succederà domani?

Devo chiedere il rinnovo. La maggior parte dei lavori che mi sono stati offerti non posso svolgerli a causa delle mie condizioni di salute. Lavoro come interprete con contratti di collaborazione a progetto. Ho paura che mi venga tolto il diritto ad avere un permesso di soggiorno. Rientrare in Senegal mi leverebbe il respiro”.

Come mi chiamo?  Desmond

Quanti anni ho? 30

Da dove vengo? Dalla Nigeria, più precisamente dall’Edo State

Qual è la mia storia?

Ho lasciato la Nigeria nel 2008 dopo aver subito delle torture a causa dell’appartenenza religiosa di mio padre. Questi infatti era un componente della setta degli Ogboni e dopo la sua morte avrei dovuto prendere il suo posto. A causa del mio rifiuto e di quello di mia madre, siamo stati rapiti e torturati. All’età di 17 anni sono stato appeso con le mani legate e bastonato ripetutamente alle anche e alle ginocchia. Quando siamo riusciti a scappare mia madre ha usato tutti i nostri risparmi per acquistare un visto per uscire dalla Nigeria. L’unico disponibile era quello per la Siria. La mia volontà era quella di trovare protezione in un Paese dell’Unione Europea dove poter curare le mie gambe. Così dalla Siria sono arrivato in Turchia. Dalla Turchia, nonostante le mie gambe a stento mi reggessero in piedi, ho intrapreso la rotta balcanica. Sono arrivato in Italia a dicembre 2015. Ho chiesto subito asilo. Le mie gambe non mi reggevano più in piedi.

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In Italia sono stato seguito da un Centro di Riabilitazione per Vittime di Tortura e di trattamenti inumani e degradanti. È stata quindi diagnosticata una ‘Severa Artrosi bilaterale d’anca con impotenza funzionale sia articolare che muscolare agli arti inferiori’ a causa delle violenze subite e del ritardo delle cure necessarie. Dopo questa diagnosi sono stato sottoposto a due interventi chirurgici che mi hanno permesso, dopo mesi di riabilitazione, di tornare a camminare senza l’ausilio di stampelle.

Perché la Commissione Territoriale mi ha riconosciuto la protezione umanitaria?

Perché ha riconosciuto la necessità che venissi sottoposto a terapie mediche a causa della mia condizione caratterizzata da gravi motivi umanitari.

Perché mi ha riconosciuto il diritto alla salute – obbligo sia costituzionale (art.32) che internazionale – e quindi a cure mediche e terapeutiche che altrimenti non avrei potuto ricevere in Nigeria.

Cosa mi succederà domani?

Ho chiesto il rinnovo del permesso per protezione umanitaria. Ho paura che dopo la circolare di ieri mi venga tolto il diritto di restare in Italia. Lavoro come addetto alle pulizie di bagni pubblici con contratti di prestazione occasionale: non ho ancora i requisiti per convertire il permesso. Devo continuare a fare riabilitazione e forse dovrò affrontare una nuova operazione. Rientrare in Nigeria sarebbe per me come spezzarmi nuovamente le gambe.

Come mi chiamo? Mi chiamo Meleka

Quanti anni ho? 19 anni e tre mesi.

Da dove vengo? Egitto.

Qual è la mia storia? 

Io sono cristiano coopto e, per motivi religiosi, anche in considerazione della attuale situazione in Egitto, sono stato perseguitato da alcuni integralisti musulmani. Infatti nella zona dove vivevo la maggioranza della popolazione era musulmana. Sono stato picchiato e minacciato di morte più volte.

Perché la Commissione Territoriale mi ha riconosciuto la protezione umanitaria?

Io ricordo che durante l’audizione in commissione ho mostrato sia il crocifisso che ho tatuato sul braccio e la ferita che mi è stata inferta da un vicino di casa musulmano che voleva uccidermi. Mi aspettavo di ottenere l’asilo politico ma la protezione umanitaria va bene lo stesso. Ricordo che sempre durante il colloquio in commissione mi hanno chiesto di recitare la preghiera coopta e di mostrare la carta di identità e il certificato di nascita dove c’è scritto che sono cristiano.

Meleka ha ottenuto la protezione umanitaria ed è ospite del progetto Sprar gestito da Arci Foggia.

Storie di sofferenze indicibili e di una voglia di futuro insopprimibile. Meleka, Desmond , Karim, Souleye, e le tante i tanti come loro, sono una ricchezza e non una minaccia per una Europa che non ha definitivamente abdicato ai suoi valori e principi fondativi.

 

 

 

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