Ma nel "governo del cambiamento" di Israele c'è anche la sinistra?

Nell'esecutivo guidato da Naftali Bennett, formato da 8 partiti, tra i quali il Labor e Meretz, la sinistra pacifista israeliana. Una “maggioranza-macedonia”

Lapid e Bennett
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Luglio 2021 - 10.56


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Toc, toc.. Scusate il disturbo, ma nel “governo del cambiamento” ci sono anche ministri della sinistra? L’interrogativo sorge spontaneo dopo i primi atti dell’esecutivo guidato da Naftali Bennett, formato da 8 partiti, tra i quali il Labor e Meretz, la sinistra pacifista israeliana. Una “maggioranza-macedonia”, unita soprattutto dalla volontà di porre fine all’era-Netanyahu. Ora, però, il “cambiamento” va declinato e su questo si misura l’esistenza in vita della sinistra.

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Cambia il premier, ma i coloni continuano a dettar legge

A darne conto è un editoriale di Haaretz, il giornale progressista di Tel Aviv: “Ci si chiede cosa pensa la ministra dei Trasporti  Merav Michaeli, presidente dei laburisti, dell’affermazione della ministra  degli Interni Ayelet Shaked che il piano concordato tra il governo e i coloni dell’avamposto di Evyatar è ‘un risultato importante nell’insediamento della Terra di Israele’.

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Ci si chiede nientemeno che cosa pensa il presidente di Meretz, il ministro della salute Nitzan Horowitz, dell’accoglienza del leader dei coloni Daniella Weiss per il risultato raggiunto e della sua dichiarazione: 0Chi avrebbe immaginato che questo governo avrebbe trovato il modo nobile di discutere senza fare il braccio di ferro, ma piuttosto con l’apprezzamento per i costruttori della terra’. È difficile sapere cosa pensano perché per il desiderio di tenere insieme la coalizione, un silenzio inquietante è caduto sulla sinistra riguardo ad azioni distruttive come l’accordo Evyatar. Sembra che mentre la destra può fare quello che vuole e legittimare un avamposto illegale, la sinistra ha preso a cuore il cliché che questo è un governo complesso in cui ‘non tutti i desideri ideologici della sinistra saranno soddisfatti’.

Una resa

L’accordo tra il governo e i coloni non è un compromesso, è una resa. I trasgressori di Evyatar dovrebbero infatti lasciare l’avamposto entro la fine della settimana, ma le circa 40 case che vi sono state costruite rimarranno, sarà costruita una base dell’esercito e lo stato esaminerà lo stato della terra. Se risulterà che l’avamposto può essere legalizzato, i residenti di Evyatar torneranno in queste case. Questa è una chiara vittoria della destra dei coloni, che ricorda il modo in cui Sebastia è stata colonizzata a suo tempo. La creazione dell’attuale governo era necessaria per sostituire l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu. Ma è molto lontano da quell’obiettivo il concedere un’ampia autorizzazione a mosse estreme che danneggiano i palestinesi e approfondiscono l’occupazione. Il primo ministro Naftali Bennett era una volta il direttore generale del Consiglio degli insediamenti di Yesha, e il suo collega Shaked è un estremista di destra che sostiene la continuazione e l’espansione dell’occupazione. La loro posizione è nota, e probabilmente non c’è un divario ideologico tra loro e i coloni di Evyatar. Ma questa è precisamente la ragione per cui ci sono rappresentanti di partiti di sinistra in questo governo, come Labor e Meretz. Il loro ruolo è quello di bilanciare la destra ideologica, a parole e nei fatti. In caso contrario, la loro presenza nel governo è solo una foglia di fico il cui ruolo è quello di nascondere un governo di destra.

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È inaccettabile che coloro che presumono di rappresentare la sinistra nel governo rinuncino in anticipo alla lotta e lascino il ministro della difesa Benny Gantz e l’establishment della sicurezza da soli al fronte. Anche il ministro degli Esteri Yair Lapid preferisce tendere una mano pubblica alla pace nella sua visita negli Emirati Arabi Uniti, ma allo stesso tempo tace su Evyatar. Tranne che per il parlamentare di Meretz Mossi Raz, è tranquillo a sinistra. Invece di occuparsi della temperatura dell’aria condizionata sui treni, Michaeli e i suoi colleghi dovrebbero svegliarsi prima di perdere completamente il treno”, così conclude Haaretz.

Il vuoto a sinistra

La risposta tarda ad arrivare. E il silenzio a sinistra si fa sempre più assordante. A tal proposito, è di grande interesse l’analisi di Amos Harel, firma di punta di Haaretz: “Dopo un altro giorno di discussioni, martedì sera i coloni dell’avamposto illegale di Evyatar hanno accettato la formulazione di un compromesso con il governo israeliano che riflette la maggior parte delle loro ambizioni – annota Harel -. Come parte della proposta, i coloni hanno rinunciato alla richiesta che avevano sollevato durante i negoziati di stabilire una yeshiva nell’avamposto già in agosto, al fine di mantenere una presenza civile continua nel sito anche dopo l’evacuazione. Ora è stato concordato che la yeshiva sarà stabilita solo dopo che lo stato avrà determinato lo status legale della terra.

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I coloni hanno rinunciato a questa richiesta grazie all’insistenza del ministro della difesa Benny Gantz. Gantz ha sempre voluto evacuare la comunità senza compromessi – con la forza, se necessario. Era riluttante a soddisfare la richiesta dei coloni per quanto riguarda l’istituzione accelerata della yeshiva. Nel frattempo, una base militare sarà invece stabilita lì. Sullo sfondo c’è una questione più profonda – rimarca Harel -.  Il ministero della Difesa si aspettava che i coloni presentassero una petizione all’Alta Corte di Giustizia contro lo sfratto e che perdessero. Questo avrebbe dato al governo un maggiore potere contrattuale. Ma un membro del gabinetto che ha parlato con i leader dei coloni si è assicurato di dire loro che non c’era bisogno di presentare una petizione alla corte, poiché si poteva raggiungere un accordo che avrebbe protetto i loro interessi. Gantz ha guardato alla sua destra e alla sua sinistra, e ha scoperto di essere solo. Il primo ministro Naftali Bennett e i ministri Ayelet Shaked e Zeev Elkin avevano negoziato energicamente con i coloni su diversi canali contemporaneamente. E i membri dell’ala sinistra del governo hanno taciuto. Così è stato raggiunto un compromesso senza che il ministro della Difesa o l’esercito fossero informati in tempo reale sui colloqui.

Gantz ha cercato di fissare delle linee rosse, già all’inizio del governo Bennett-Lapid, nel quale è una specie di quinta ruota. Ha cercato di impedire che i coloni creino dei fatti sul terreno appropriandosi di terreni il cui status giuridico è in dubbio, senza alcun permesso da parte dello stato o dell’amministrazione civile di Israele in Cisgiordania.

Gantz ha anche cercato di impedire la capitolazione dell’ala sinistra all’ala destra del governo. Ma in realtà, sembra che la sinistra si sia già piegata, e la destra ha stabilito la propria linea rossa contro gli sgomberi forzati, il che metterebbe Bennett in una situazione scomoda con ciò che resta della sua base elettorale. A parte, forse, la nuova epidemia di coronavirus, non c’è probabilmente una questione in cui il governo abbia investito più tempo nelle sue prime due settimane di mandato che l’evacuazione di Evyatar. 

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All’esercito non piace il compromesso, che sfida le raccomandazioni originali del suo Comando Centrale e del Coordinatore delle Attività del Governo nei Territori. Entrambi volevano un’evacuazione completa e rapida dell’avamposto, che è stato stabilito nel cuore di un gruppo di villaggi palestinesi a sud di Nablus.

Ma gli alti ufficiali dell’esercito non hanno visitato la scena martedì mattina, e comprendono bene l’equilibrio delle forze lì. Nel momento in cui il primo ministro sosterrà il compromesso, l’esercito saluterà e lo porterà a termine.

Finora, la creazione dell’avamposto non ha ottenuto molta attenzione al di là dell’opposizione dei villaggi vicini e dei benefici che l’Autorità Palestinese sta cercando di trarne. L’amministrazione Biden non ha mostrato molto interesse, e i nostri nuovi amici negli Emirati Arabi Uniti hanno preferito partecipare all’inaugurazione dell’ambasciata israeliana ad Abu Dhabi martedì piuttosto che fare un’immersione profonda nelle leggi sull’uso del territorio nei territori. Gantz è stato così lasciato a condurre un’azione di retroguardia le cui possibilità di successo non sembrano molto alte, a meno che i coloni non adottino posizioni più estreme e facciano saltare l’accordo.

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Ciò di cui il nuovo governo ha bisogno prima di tutto è la pace industriale. Se per ottenerla è necessario accettare la creazione di un nuovo grande avamposto e il continuo disagio del ministro della difesa, gli altri partiti della coalizione di governo possono apparentemente conviverci benissimo”, conclude Harel. 

Del “governo del cambiamento” fa parte Tamar Zandberg, leader di Meretz, la sinistra pacifista israeliana, neo ministra della Protezione ambientale. Sul tema della pace così si è espressa in una recente conversazione con chi scrive: “Quando parlo di subalternità alla narrazione della destra, mi riferisco anche a questo. Come se la pace fosse altra cosa rispetto ai problemi di tutti i giorni, una sorta di bene di lusso per i ricchi borghesi di Tel Aviv. Qui sta un nostro limite. Non aver fatto intendere che pace e giustizia sociale sono le due facce di una stessa medaglia. Perché raggiungere una pace giusta con i palestinesi significa destinare una parte importante del nostro bilancio statale dalla difesa all’istruzione, alla sanità pubblica, alla ricerca. Riconosco un nostro limite, grave, ma questo non significa che questa idea di pace sia tramontata. La pace non è, come la destra ripete, un cedimento al terrorismo e. a chi vorrebbe buttare a mare gli ebrei e cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente. La pace è uno dei pilastri su cui rifondare la nostra democrazia. Se questo significa ‘testimonianza’, ne vado fiera”.  

Ora, però, questa “testimonianza” è parte del governo. Farla pesare è un obbligo. Morale, oltre che politico. Se non si vuole infliggere l’ennesimo tradimento ad un elettorato di sinistra che non si accontenta, giustamente, di aver defenestra “Re Bibi” se poi si continua a fare una politica “alla Netanyahu” senza Netanyahu. “Il cambiamento deve essere riempito di contenuti – dice a Globalist Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, figlia di uno dei miti d’Israele, il generale Moshe Dayan -. Sappiamo bene che a tenere insieme gli otto partiti è l’aver praticato lo slogan ‘tutti, tranne Bibi’. Ora, però, occorre evitare che la politica del governo sia tutta orientata a destra. In questo senso, l’atteggiamento da tenere nei confronti dei coloni e delle loro frange più estreme, è un banco di prova per le forze di centro e di sinistra che sono al governo. Cedere sulla colonizzazione – conclude Yael Dayan – significa rinunciare ad esistere. Sarebbe un suicidio politico per una sinistra che prova a rialzare la testa”.

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