Patrick Zaki, il silenzio degli ignavi. E il loro capo è alla Farnesina
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Patrick Zaki, il silenzio degli ignavi. E il loro capo è alla Farnesina

Il silenzio è calato di nuovo su quel giovane “italiano” rinchiuso in un carcere di massima sicurezza egiziano. Condannato, senza processo, ad un “ergastolo” amministrativo. Patrick Zaki non fa più notizia

Patrick Zaki
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Maggio 2021 - 17.26


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Il silenzio è calato di nuovo su quel giovane “italiano” rinchiuso in un carcere di massima sicurezza egiziano. Condannato, senza processo, ad un “ergastolo” amministrativo. Patrick Zaki non fa più notizia, se mai l’ha fatta per la stampa mainstream.

Un “silenzio” che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha “elevato” a strumento diplomatico. Il silenzio degli ignavi. 

“Ergastolo” amministrativo

“Dall’ultima udienza, i 45 giorni di carcere preventivo per Patrick Zaki sono ampiamente scaduti. Ora veniamo a sapere che almeno fino alla fine di maggio non ci sarà una data. Questo è un ulteriore aspetto illegale in una vicenda che è illegale di per sé: scadono i tempi e nessun giudice pensa a una nuova data, e va avanti così da 15 mesi e mezzo. Questa strategia del silenzio per non far capire cosa succede è funzionale al regime egiziano”. Così commenta all’agenzia Dire Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, organizzazione che monitora il caso dello studente egiziano di Bologna incarcerato da febbraio 2020 per sedizione. Per Noury, tale “strategia del silenzio” è “preoccupante”, così come allarmante “è che sembra che stia prendendo piede anche nelle istituzioni italiane: si dice o si fa qualcosa ogni 45 giorni, e poi si tace e si aspetta la successiva udienza”. A proposito di Italia, il portavoce di Amnesty avverte ancora: “È passato oltre un mese da quando il parlamento ha impegnato il governo sulla questione della cittadinanza e sulla questione del negoziato per attivare la Convenzione Onu contro la tortura. Vorremmo sapere cosa è stato fatto finora”

L’imbarazzante Ministro

Tutte le iniziative sono meritorie, ma più aumenta la portata mediatica del caso e più l’Egitto reagisce irrigidendosi. Non ci illudiamo che dall’altra parte otteniamo un risultato facendo così”, “dobbiamo liberare subito Patrick Zaki e farlo tornare dalla sua famiglia”. Così, l’8 maggio scorso, il titolare della Farnesina a proposito della situazione dello studente egiziano dell’Università di Bologna detenuto dal 7 febbraio del 2020 al Cairo con accuse legate alla sua attività politica e giornalistica. “Per quelli che abbiamo portato a casa in questi anni – ha aggiunto Di Maio – la notizia è stata data quando hanno messo piede in Italia”.  

“Se non fosse stato per la mobilitazione della società civile e per il sostegno dei mezzi d’informazione in questi 15 mesi, la drammatica situazione di Patrick Zaki avrebbe rischiato di finire dimenticata. Il silenzio è proprio ciò che aiuta governi repressivi a continuare a commettere violazioni dei diritti umani”, aveva ribattuto Noury. “Qui non stiamo parlando di un sequestro compiuto da un gruppo armato con cui negoziare in silenzio – aveva aggiunto il portavoce di Amnesty Italia –  ma di un prigioniero di coscienza in carcere da 15 mesi e privato di ogni suo diritto dalle autorità di uno stato amico dell’Italia col quale sarebbe necessario alzare la voce e non abbassarla””.  “Tutti vogliamo la libertà di Patrick Zaki – ha scritto da parte sua su Twitter il deputato Pd Filippo Sensi – Tutti.   Nessuno ha la verità in tasca. Nessuno. Vale per me. Vale per il ministro degli Esteri che dice di abbassare i toni su Zaki.  Sappia che il Parlamento ha fatto e continuerà a fare la sua parte. La faccia anche il governo”

Grandi manovre

Scrive Antonio Mazzeo su Il Manifesto: “Non conosce limiti il cinismo e l’ipocrisia delle autorità politiche di governo e delle forze armate italiane. Mentre si invoca verità e giustizia sull’efferato omicidio del ricercatore Giulio Regeni e si assicura l’opinione pubblica di aver ‘congelato’ la cooperazione militare con l’Egitto del dittatore-generale al-Sisi, la Marina da guerra italiana non trova di meglio che inviare ad Alessandria d’Egitto uno dei suoi ‘gioielli’, la fregata missilistica  ‘Carlo Margottini’ per condurre un’esercitazione a fuoco con un’unità della Marina egiziana fresca di consegna da parte di Fincantieri S.p.A.

Secondo quanto pubblicato giovedì 20 maggio da Arabnews, le fregata egiziana ‘Al-Galala’ e la ‘Carlo Margottini’ hanno preso parte congiuntamente ad un’esercitazione ‘dopo la loro visita al porto di Alessandria’. Citando una nota emessa dal Ministero della difesa del Cairo, si spiega che l’addestramento ‘ha incluso un differente numero di attività, compreso il modo per affrontare ostilità atipiche durante la partenza da un porto’. ‘Le due unità – prosegue la nota – hanno affrontato un rapido avvicinamento con lanci di trappole esplosive e hanno effettuato un’operazione d’intercettazione marittima su una nave sospetta. Esse hanno svolto inoltre diverse attività di navigazione che hanno evidenziato l’abilità del rispettivo personale di bordo nello svolgere i compiti con accuratezza ed efficienza’”. Così Mazzeo

Fregate vendesi

 “La vendita di queste navi configura problemi e violazioni che abbiamo segnalato da tempo – sottolinea Francesco Vignarca di Rete italiana pace e disarmo – cui nelle ultime settimane si è aggiunta anche l’evidenza di una perdita economica non indifferente”. 

La coppia di navi è infatti costata allo Stato italiano – che ora attende i rimpiazzi – circa 1,2 miliardi di euro compresi gli interessi pagati sui mutui, ma secondo le organizzazioni “l’accordo di rivendita avrebbe un valore di soli 990 milioni di euro, senza contare i costi di smantellamento dei sistemi di standard Nato già installati”. L’Egitto, ricorda Rete pace e disarmo, “è stato il primo paese per destinazione di autorizzazione militari nel corso del 2019, con un controvalore di oltre 870 milioni di euro determinati in particolare dalla vendita di decine di elicotteri militari prodotti dalla Leonardo SpA”.

“La fornitura delle Fremm – commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente armi leggere (Opal) – non è mai stata sottoposta all’esame delle Camere. Un passaggio fondamentale richiesto dalla normativa vigente, la legge 185 del 1990, e oggi ancor più necessario in considerazione delle trattative in corso con l’Egitto per altre fregate, pattugliatori, caccia multiruolo e aerei addestratori che consoliderebbero la posizione del regime di al-Sisi come principale acquirente di sistemi militari italiani”. 

Desaparecidos

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi. 

L’inferno all’ombra delle Piramidi

Le autorità egiziane tengono i detenuti minorenni insieme agli adulti, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani. In alcuni casi, sono imprigionati in celle sovraffollate e non ricevono cibo in quantità sufficiente. Almeno due minorenni sono stati sottoposti a lunghi periodi di isolamento. Un quadro agghiacciante è quello che emerge da un recente rapporto di Amnesty International. Le autorità egiziane hanno sottoposto minorenni a orribili violazioni dei diritti umani come la tortura, la detenzione in isolamento per lunghi periodi di tempo e la sparizione forzata per periodi anche di sette mesi, dimostrando in questo modo un disprezzo assolutamente vergognoso per i diritti dei minori”, denuncia Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International. “Risulta particolarmente oltraggioso il fatto che l’Egitto, firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, violi così clamorosamente i diritti dei minori”, sottolinea Bounaim.

Minorenni sono stati inoltre processati in modo iniquo, talvolta in corte marzialeinterrogati in assenza di avvocati e tutori legali e incriminati sulla base di “confessioni” estorte con la tortura dopo aver passato fino a quattro anni in detenzione preventiva. Almeno tre minorenni sono stati condannati a morte al termine di processi irregolari di massa: due condanne sono state poi commutate, la terza è sotto appello.

Sulla base del diritto internazionale, il carcere dev’essere solo l’ultima opzione per i minorenniSia la legge egiziana che le norme internazionali prevedono che i minorenni debbano essere processati da tribunali minorili. Tuttavia, in Egitto ragazzi dai 15 anni in su vengono processati insieme agli adulti, a volte persino in corte marziale e nei tribunali per la sicurezza dello Stato. Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza.  Dal 2014 sono state emesse oltre 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite.  La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.  La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive” conclude Bounaim.

E in questo inferno in terra è imprigionato Patrick Zaki. Nel silenzio della vergogna. Il silenzio degli ignavi.

 

 

 

 

 

 

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