In Turchia il presidente talebano Erdogan impone il patriarcato islamista.

Il governo turco ha annunciato che si ritirerà dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica,

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Marzo 2021 - 11.56


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Il “Sultano” talebano all’attacco delle donne. In nome di un patriarcato islamista da dittatura della sharia. 

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Il governo turco   ha annunciato che si ritirerà dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, un accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrato in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. L’accordo è noto come Convenzione di Istanbul, perché fu ratificato nella città turca, e la Turchia fu il primo paese a firmarlo.

Patriarcato islamista

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Il presidente Recep Tayyip Erdogan, lo stesso che nel 2011 firmò la Convenzione, ha reso ufficiale il ritiro con un decreto presidenziale, e secondo alcuni analisti la decisione è stata dettata dalla volontà di ingraziarsi la base più conservatrice del suo elettorato. Negli anni successivi alla ratifica, Erdogan aveva citato spesso la Convenzione come dimostrazione dei presunti avanzamenti della Turchia nell’ambito della parità di genere. In anni più recenti, mentre lo stile di governo di Erdogan diventava sempre più autoritario, le cose sono però cambiate: il presidente ha cominciato a dare ascolto ai gruppi islamici più conservatori, di cui fanno parte anche molti esponenti di rilievo dell’AKP, il suo partito, secondo cui la Convenzione di Istanbul sarebbe contraria alle norme dell’Islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità.

Per questo, in Turchia si parlava ormai da più di un anno del ritiro del paese dalla Convenzione, e negli scorsi mesi ci sono state grandi manifestazioni in tutto il paese, contro la violenza sulle donne e contro l’ipotesi di ritiro. La Convenzione è stata firmata da 45 paesi in tutto il mondo più l’Unione Europea, e fornisce ai governi linee guida legali per eliminare e prevenire la violenza contro le donne.

Il vicepresidente turco, Fiat Oktay, commentando la decisione del ritiro dalla Convenzione  ha scritto su Twitter  che la soluzione per «elevare la dignità delle donne turche» sta «nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi», non nell’imitazione di esempi esterni.

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Secondo un’associazione che monitora i casi di violenza contro le donne, citata dal Financial Times, nell’ultimo anno in Turchia ci sono stati almeno 300 femminicidi, e 171 donne sono state uccise in circostanze sospette. Inoltre, soltanto nei primi 65 giorni del 2021 in Turchia ci sono stati 65 femminicidi. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità almeno il 40 per cento delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25 per cento.

Un segnale inquietante

“La notizia dell’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica e di genere ci lascia davvero sgomenti, è una di quelle che non avremmo mai voluto sentire . Lo dice la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio e la violenza di genere.

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La Convenzione del Consiglio d’Europa che ha riconosciuto la violenza contro le donne quale crimine contro l umanità prosegue Valente – era stata approvata proprio nella capitale turca e la Turchia era stata il primo paese a firmarla: nel 2011 fu un doppio segno di speranza e un messaggio rivolto a quei paesi che per religione e tradizioni sono ancora indietro nel riconoscimento dei diritti delle donne. Un pilastro della legislazione internazionale sui diritti e contro la violenza di genere. Ora, per decreto di Erdogan, questa drammatica giravolta. Secondo Ankara riconoscere alle donne il diritto a non essere violate, maltrattate e uccise dai mariti, evitare i matrimoni precoci e forzati danneggia l’unità famigliare “Il fatto è gravissimo, un precedente inaccettabile. Blocchiamo subito questa deriva della cultura patriarcale del possesso. La Turchia deve sapere che questo è un ulteriore passo verso l’ isolamento dal consesso occidentale, un passo che l’allontana sempre di più dall’Unione europea, con tutto quello che ne consegue”. 

“Una pessima notizia: la Turchia lascia la convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Ogni passo indietro sulla tutela dei diritti delle donne è una ferita per tutti. E allontana la Turchia dall Ue”. Lo scrive Maria Elena Boschi di Iv su twitter.

“10 anni fa la Turchia fece un gesto forte a Istanbul si firmò il primo accordo contro la violenza sulle donne. 10 anni dop nonostante l’aumento dei femminicidi, Erdogan cede ai conservatori e esce dalla Convenzione di Istanbul. Solidarietà alle donne turche. Saremo con voi nella lotta”, twitta Lia Quartapelle, capogruppo dem alla Commissione esteri della Camera dei deputati, membro della segreteria Pd varata nei giorni scorsi da Enrico Letta.

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“Il governo turco esce dalla Convenzione di Istanbul sulle donne: “Mina la serenità familiare”. VERGOGNA #stopviolenceagainstwomen”, scrive su Twitter Alessandro Gassmann. 

Critiche anche dall’Ue, con ila Segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric, che parla di “un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne in Turchia, in Europa e anche oltre”. La convenzione, aggiunge, “è stata firmata da 34 Stati europei ed è considerata lo standard internazionale per la protezione delle donne dalla violenza che subiscono quotidianamente”.

Secondo quanto riporta Reuters, non è stata fornita alcuna motivazione per il ritiro, ma i funzionari del partito AK del presidente Recep Tayyip Erdoğan hanno detto che già l’anno scorso il governo stava valutando la possibilità di ritirarsi. “La garanzia dei diritti delle donne sono le normative vigenti nel nostro statuto, in primo luogo la nostra Costituzione. Il nostro sistema giudiziario è dinamico e abbastanza forte da attuare nuove normative secondo necessità “, ha dichiarato poi su Twitter il ministro della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche sociali Zehra Zumrut. Chi invece condanna in passo indietro sostiene, fra le altre cose, che sia una mossa che allontana ulteriormente la Turchia dai valori dell’Unione europea, in cui il Paese sta cercando dal 2005 di entrare.

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La Turchia, spiega Reuters, non conserva le statistiche ufficiali sul femminicidio. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità hanno rivelato che il 38% delle donne nel Paese è vittima di violenza da parte di un partner nel corso della vita, rispetto a circa il 25% in Europa.

Due report illuminanti

Il primo è di Valeriana Savino su mondointernazionale.it: “Le organizzazioni attiviste, impegnate nel campo dei diritti della donna, hanno riportato che la violenza contro le donne ha avuto un aumento esponenziale negli anni in cui si è avvicendato al potere il Partito Giustizia e Sviluppo. Il 40 % delle donne turche subisce violenze fisiche e a causa di questo muoiono all’incirca 300-400 donne all’anno. Nell’estate 2020 si sono verificate una serie di proteste, sia per le strade del Paese sia sui social, dopo l’assassinio di Pinar Gultekin, studentessa strangolata dall’ex fidanzato. La giovane è stata strangolata a morte e il suo cadavere è stato prima bruciato e poi gettato in un cassonetto. A compiere l’omicidio è stato il suo ex compagno, un uomo di 32 anni con cui la ragazza aveva rotto dopo aver scoperto che era sposato. E’ l’ennesimo caso di femminicidio: in Turchia, nel 2019, ci sono stati 474 casi di femminicidio e le associazioni a tutela delle donne, come la piattaforma Fermeremo il femminicidio” (Kadin Cinayetlerini Durduracagiz, Kcd), parlano di tragedia preannunciata”. La gravità della situazione in Turchia è stata anche evidenziata da uno studio redatto dall’OnU nel 2009 secondo cui il 42% delle donne turche tra i 15 e i 60 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o psicologica da parte del proprio partner. I femminicidi e più in generale le forti disparità esistenti nella società turca sulla base del genere derivano da una cultura prettamente patriarcale e maschilista che la stessa classe politica continua a sostenere…L’esempio fornito dai politici più influenti del Paese conferma l’idea che le donne siano inferiori rispetto agli uomini, giustificandone la repressione sia fisica sia psicologica e condannandole al ruolo di madri e casalinghe. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in più occasioni ha affermato che le famiglie (ossia le donne) turche dovrebbero avere almeno tre figli, mentre altri politici hanno ripetutamente criticato chi non ha mai avuto bambini e definito le madri che lavorano anche durante la maternità delle mezze persone. In più Erdogan ha affermato che l’uguaglianza di genere è contro la natura umana”.

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Ogni anno la situazione femminile peggiora, e proposte governative come quella di reintrodurre il matrimonio riparatore aggravano la situazione. La proposta prevede che chi è accusato di violenza sessuale contro un minore può evitare il carcere sposando la sua stessa vittima se quest’ultima ha meno di 18 anni e se la differenza di età tra i due non supera i 10 anni. Il disegno di legge non è stato ancora approvato grazie alle proteste popolari e alle critiche suscitate dalla comunità internazionale, ma l’esistenza stessa della legge e il voler introdurla nell’ordinamento dimostra chiaramente la posizione del Governo nei confronti della tutela delle donne e dei minori.”

Il secondo report è di Mariarita Cupersito per opiniojuris.it: 

“Come già denunciato da molte associazioni di donne e gruppi femministi in Italia e nel mondo da quando è iniziata l’emergenza corona virus, restare a casa non è sicuro per tutti: il recente incremento degli episodi di violenza domestica a livello globale conferma ciò che in tante hanno denunciato fin dall’inizio della quarantena e ciò che sta accadendo in Turchia, dove i casi di violenza sulle donne hanno subito un brusco aumento con l’isolamento casalingo, ne costituisce ulteriore riscontro. Secondo le statistiche diffuse dal dipartimento di polizia di Istanbul, con la riduzione della circolazione iniziata nel mese di marzo si è registrato un calo dei reati su base annua del 14,5%, dai furti agli omicidi, ma al contempo un aumento delle segnalazioni relative a episodi di violenza domestica pari al 38,2%, passando da 1.804 a 2.493

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L’evidenza numerica si aggiunge all’allarme lanciato dalla piattaforma “We Will Stop Women’s Murder” formata da gruppi femministi e associazioni per i diritti delle donne: a partire dall’ 11 marzo 2020, data in cui le autorità turche hanno lanciato il primo appello generalizzato alla popolazione invitando tutti a restare a casa, sono state uccise fino a fine mese almeno 21 donne, più di una al giorno. Di queste, 14 sono state uccise tra le mura domestiche e 7 all’esterno, ma da persone a loro vicine come fidanzati o ex mariti. Durante l’intero mese di marzo i femminicidi sono stati almeno 29, più altre 9 donne morte in situazioni poco chiare.

“Siamo preoccupate”, ha dichiarato Tulin Oygur, presidente della Republican Women’s Association. “La chiusura causerà maggiori violenze contro le donne, ma anche contro i bambini”.  L’Ong ha dunque chiesto alle autorità l’adozione di misure mirate alla tutela per le donne e di intervenire, almeno legalmente, facendo ripartire le attività giudiziarie nei confronti di tali reati bloccate dallo scorso 13 marzo a causa del Covid-19 perché considerate “meno urgenti”.

Negli ultimi anni si è avuto in Turchia un consistente aumento della violenza di genere e dei femminicidi, complice un presidente che non ha fatto mistero della propria misoginia invitando le donne a stare a casa ad avere bambini per il Paese, mentre il governo contribuiva ad islamizzare la società laica imponendo l’obbligo del velo in alcuni contesti, portando avanti una propaganda ad hoc e finanziando scuole religiose. In Turchia sono state uccise 440 donne nel 2018, e 477 nel 2019, il doppio del 2012. Dal 2014 al 2018 i femminicidi sono stati 1.760. I casi di violenza domestica registrati a Istanbul, capitale culturale del Paese nonché punto di congiunzione tra Asia ed Europa, sono notevolmente aumentati in questo periodo di quarantena: 2.493 casi a marzo 2020, il 38% in più rispetto al mese di marzo dello scorso anno quando ne furono rilevati 1.804”.

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Il 5 aprile 2020, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha puntato il dito contro “un terrificante aumento globale delle violenze domestiche”, aggiungendo che per molte donne “la minaccia si nascoste dove dovrebbero essere più al sicuro, nelle loro case”. “Faccio appello oggi alla pace nelle case e nel mondo”, ha proseguito, aggiungendo che in alcuni Paesi il numero di donne che chiama servizi di supporto è raddoppiato.

L’indignazione cresce sul web. E’ un coro di denuncia contro l’oscurantismo del governo turco e di solidarietà alle organizzazioni che in Turchia si battono per i diritti delle donne. Ma delle denunce e delle dichiarazioni sdegnate il “Talebano di Ankara” se ne sbatte altamente. E allora veniamo al punto dolente: l’Europa. L’Europa che ha riempito di miliardi Erdogan per fare il Gendarme delle frontiere esterne. L’Europa che ha chiuso tutti e due gli occhi di fronte alla pulizia etnica compiuta dall’esercito turco nel Rojava curdosiriano. Che non ha fatto nulla neanche di fronte ai video raccapriccianti di tagliagole qaedisti al servizio di Erdogan in Siria che si vantavano di aver stuprato e poi ucciso donne curde. Niente è stato fatto. Nessuna sanzione è stata imposta ad un regime che ha messo in galera decine di migliaia di oppositori, blogger, giornalisti indipendenti, parlamentari, avvocati, docenti universitari, attiviste e attivisti per i diritti umani. Ai pieni di Erdogan, sempre e comunque. Una grande, immensa, VERGOGNA.

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