Sud Sudan, morire di fame in un neo Stato fallito e dimenticato
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Sud Sudan, morire di fame in un neo Stato fallito e dimenticato

L’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati ha chiesto 1,2 miliardi di dollari per fornire assistenza umanitaria a più di 2,2 milioni di rifugiati sud sudanesi che vivono nei cinque Paesi confinanti.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Marzo 2021 - 16.58


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2,2milioni rischiano di morire di fame, in un Paese dimenticato. Il Sud Sudan. L’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, e i partner chiedono 1,2 miliardi di dollari per fornire assistenza umanitaria salvavita a più di 2,2 milioni di rifugiati sud sudanesi che vivono nei cinque Paesi confinanti.
Esodo biblico

Milioni di cittadini sud sudanesi sono stati costretti a fuggire oltre confine o all’interno del proprio Paese, diventato quasi un decennio fa la nazione più giovane del mondo. La crisi continua a riguardare soprattutto i giovani, con oltre il 65% della popolazione rifugiata di età inferiore ai 18 anni, compresi 66.000 minori che sono stati separati dai loro genitori o da chi si prende cura di loro.
Anche se sono stati fatti alcuni progressi nell’attuazione dell’ultimo accordo di pace – rimarca una nota ufficiale dell’Unhcr – i bisogni umanitari e di protezione rimangono elevati per quella che resta la più grande crisi di rifugiati del continente africano.
La maggior parte dei rifugiati sud sudanesi sono ospitati in aree relativamente remote e sottosviluppate. La pandemia di COVID-19 unita alle sfide legate ai cambiamenti climatici, tra cui gravi inondazioni, siccità e locuste del deserto, hanno aggravato una situazione già difficile. I fondi servono urgentemente per fornire assistenza salvavita, inclusi alloggi, accesso all’acqua potabile, istruzione e servizi sanitari. La carenza di cibo è particolarmente acuta, poiché i fondi insufficienti hanno già comportato tagli alle razioni alimentari, con un impatto negativo su centinaia di migliaia di rifugiati. Con la pandemia che si ripercuote sulle condizioni socio-economiche sia dei rifugiati che delle comunità ospitanti, la risposta umanitaria per il 2021 dedicherà una rinnovata e maggiore attenzione a misure per rafforzare la resilienza e sostenere i mezzi di sussistenza. I partner umanitari – prosegue la nota – intensificheranno anche la prevenzione della violenza di genere e daranno priorità al sostegno alle persone con esigenze specifiche, anche rafforzando i programmi di protezione dei minori e incrementando il  sostegno psicosociale e gli interventi a tutela della salute mentale.

“La Repubblica Democratica del Congo (RDC), l’Etiopia, il Kenya, il Sudan e l’Uganda continuano a ospitare generosamente i rifugiati sud sudanesi e a progredire verso la loro inclusione nei sistemi nazionali, compresi la sanità e l’istruzione, in linea con il Global Compact sui Rifugiati. Chiediamo alla comunità internazionale di rinnovare il sostegno.
Sebbene circa 350.000 rifugiati abbiano preso autonomamente la decisione di tornare in Sud Sudan dal 2017, e si stia lavorando per far avanzare il processo di pace e sostenere questi ritorni, non ci sono ancora le condizioni per il ritorno su larga scala e sono necessari fondi ora per aiutare i rifugiati e le comunità locali che li hanno accolti. Il Piano di risposta regionale per i rifugiati del Sud Sudan del 2021 integra quello di risposta umanitaria (Hrp) del Sud Sudan per il 2021, anch’esso lanciato oggi. L’Hrp richiede 1,7 miliardi di dollari di finanziamenti per fornire assistenza e protezione salvavita a 6,6 milioni di persone – compresi 350.000 rifugiati – in difficoltà all’interno del Paese, molte delle quali stanno affrontando una grave insicurezza alimentare dovuta al conflitto, alle emergenze legate ai cambiamenti climatici e all’impatto economico della pandemia di Covid-19”.

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Così l’Agenzia dell’Onu. 

Un conflitto dimenticato

Il direttore generale del Comitato Internazionale della Croce Rossa (Ircc) ha definito il Sud Sudan come un “conflitto dimenticato”, mentre le Nazioni Unite hanno ammonito che il 60% delle persone nel Paese soffre la fame.

Attualmente, il Sud Sudan sta lottando per riprendersi da 5 anni di guerra civile che ha causato la morte di quasi 400.000 persone. Un Governo di coalizione formato l’anno scorso tra il presidente, Salva Kiir, e il leader dell’opposizione, Riek Machar, sta lentamente attuando un accordo di pace, mentre la violenza mortale continua a colpire molte parti del Paese. Stando a quanto riferito da al Jazeera English, il 12 marzo, Robert Mardini, dell’Ircc, che ha visitato il Sud Sudan durante la settimana, l’ha definito “una delle crisi umanitarie più complesse in assoluto”, facendo notare che le carenze di cibo sono state aggravate dalla diffusione, non quantificabile, del Covid-19, rendendo la situazione “ancora più catastrofica”.

Secondo Mardini, sebbene le ostilità tra i partiti principali possano essere cessate o ridotte, i combattimenti tra i gruppi scissionisti e le comunità stanno continuando a causare morte, distruzione e sfollamento. Dopo aver visitato l’ospedale della contea di Akobo, nello Stato orientale di Jonglei, Mardini ha dichiarato di aver visto persone che si stavano riprendendo da ferite d’arma da fuoco, compresi i bambini. Le ferite di altri pazienti, stando a quanto reso noto da Mardini, erano molto meno evidenti perché erano vittime di stupri e aggressioni sessuali, fenomeni che sono aumentati nel conflitto, e numerosi bambini sono stati trattati per la malnutrizione e anche per la malaria.

Inoltre, la valutazione dell’Ircc ha dimostrato che in quasi tutto il Paese, il raccolto del 2020 è stato circa la metà di quello del 2019. La scarsa produzione agricola, combinata alle inondazioni recenti, che hanno colpito oltre 1 milione di persone, ha reso ancora più complessa e disastrosa la crisi umanitaria. Il direttore esecutivo del World Food Programme (Wfp), David Beasley, ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza di aver visitato la contea occidentale di Pibor all’inizio di febbraio e di essere a conoscenza di circostanze estreme, in cui le madri ricorrono a fango e pelli di animali morti per nutrire i propri figli.

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Commenti simili sono arrivati dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha dichiarato, l’11 marzo, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che “la violenza sporadica cronica, il clima estremo e l’impatto economico della pandemia da coronavirus hanno spinto più di 7 milioni di persone in una grave insicurezza alimentare”, il livello più alto da quando il Paese ha dichiarato l’indipendenza dal Sudan 10 anni fa. Secondo Guterres, i prezzi del cibo sono così alti che un piatto di riso e fagioli costa più del 180% del salario medio giornaliero sud nazionale, l’equivalente di circa 400 dollari a New York.

Il Sud Sudan, uno dei Paesi più poveri del mondo, è attualmente colpito da una gravissima crisi umanitaria causata da anni di conflitto. Nel dicembre 2013, i militanti di etnia dinka, fedeli al presidente, Salva Kiir, hanno attaccato quelli di etnia nuer, guidati dal vice presidente, Riek Machar. Questi ultimi erano accusati di preparare un colpo di Stato. I disaccordi tra i due leader erano iniziati già durante la guerra per l’indipendenza dal Sudan, che è stata poi ottenuta nel 2011, a causa della rivalità per il controllo del Governo e del loro partito, il Movimento per la liberazione del popolo sudanese (Splm).

Secondo il Global Conflict Tracker, da quando la guerra civile è scoppiata in Sud Sudan nel 2013, oltre 50.000 persone sono state uccise e quasi 4 milioni di persone sono state sfollate internamente o sono state costrette a fuggire nei Paesi vicini. Il 2018 ha portato un aumento della pressione regionale e internazionale, tra cui sanzioni ed embargo sulle armi, sul presidente, Salva Kiir, e sul leader dell’opposizione, nonché ex vicepresidente, Riek Machar, per raggiungere un accordo di pace. 

Dopo quasi 5 anni di guerra civile in Sud Sudan, Kiir e Machar hanno partecipato ai negoziati mediati dall’Uganda e dal Sudan nel giugno 2018, raggiungendo la firma dell’intesa di Khartoum. Questa includeva un cessate il fuoco e l’impegno, da entrambe le parti, per negoziare un accordo al fine di condividere il potere e porre fine alla guerra. Nonostante le sporadiche violazioni nelle settimane successive, Kiir e Machar hanno firmato un’intesa finale nell’agosto 2018.  Tuttavia, le segnalazioni di continui attacchi e violazioni di diritti umani, come ad esempio quelle riportate da un rapporto dell’Unhcr dimostrano che gli accordi potrebbero non reggere. Di fatto, il documento ha mostrato che si è verificata un’intensificazione degli attacchi contro la popolazione civile. In particolare, nel periodo tra febbraio e novembre 2020, il Paese è stato colpito da un violento conflitto nello Stato del Jonglei e nell’Area amministrativa di Greater Pibor, dove la guerriglia ha comportato massicce violazioni di diritti umani, tra cui l’uccisione e lo sfollamento di centinaia di persone.

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“La portata e la scala della violenza che stiamo documentando superano di gran lunga la violenza tra il 2013 e il 2019”, rimarca la direttrice della Commissione diritti umani in Sud Sudan, Yasmin Sooka, precisando che Ohchr (l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani )  ha documentato alcuni degli attacchi più brutali compiuti negli ultimi sette anni, in particolare in Central Equatoria, Warrap, Jonglei e Greater Pibor Administrative Area che hanno visto un’escalation del conflitto, con il risultato che le case vengono sistematicamente e deliberatamente incendiatei civili sono costretti a fuggire, molti vengono uccisi, e donne e ragazze vengono rapite, stuprate, violentate in gruppo e schiavizzate sessualmente, e in alcuni casi vengono sposate con la forza. Sooka ha aggiunto che donne e ragazze sono state prese di mira da tutte le parti, mentre i ragazzi rapiti sono stati costretti a combattere, e in alcuni casi assimilati con la forza nei gruppi rivali con le loro identità completamente cancellate. La mobilitazione di decine di migliaia di combattenti armati con armi sofisticate è ben coordinata e altamente militarizzata e certamente non è una coincidenza”, ha sottolineato.

“La portata della violenza armata e le armi più moderne utilizzate dai gruppi locali suggeriscono il coinvolgimento di forze statali o di attori esterni”, le fa eco a sua volta il commissario Andrew Clapham. “Molti di questi atti – conclude Clapham – sono violazioni dei diritti umani e possono anche equivalere a crimini di diritto internazionale inclusi nel progetto di statuto della Corte ibrida per il Sud Sudan. Attualmente non c’è quasi nessuna responsabilità in Sud Sudan per queste violazioni. Esortiamo quindi il governo a firmare senza ulteriori ritardi il memorandum d’intesa con l’Unione africana che istituisce la Corte”.

 

 

 

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