Israele alla sbarra: "Vi racconto chi è la procuratrice che ha sfidato Netanyahu"
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Israele alla sbarra: "Vi racconto chi è la procuratrice che ha sfidato Netanyahu"

Fatou Bensoua, è la procuratrice della Corte penale internazionale che ha avviato un procedimento contro Israele per crimini di guerra a Gaza. Qualcuno l'ha pure accusata di anti-semitismo

Fatou Bensouda procuratore capo del tribunale penale internazionale
Fatou Bensouda procuratore capo del tribunale penale internazionale
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Marzo 2021 - 13.37


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Vi racconto chi è Fatou Bensoua, la procuratrice della Corte penale internazionale che ha avviato un procedimento contro Israele per crimini di guerra a Gaza.

Una testimonianza preziosa, quella di Nick Kaufman, esperto di diritto internazionale, avvocato difensore presso la Cpi, di cui in precedenza è stato anche procuratore. Kaufman ha anche lavorato come procuratore a Gerusalemme per diversi anni. Insomma, quella che si definisce una personalità autorevole. Ecco il suo racconto su Haaretz, ripreso in Italia da Globalist. 

“L’annuncio della scorsa settimana del procuratore della Corte penale internazionale Fatou Bensouda che sarebbe stata aperta un’indagine contro Israele per crimini di guerra non è stata una sorpresa per nessun avvocato del Governo. Dopo tutto, quando ha presentato la sua richiesta di pronuncia pregiudiziale, quasi un anno fa, Bensouda ha dichiarato che tutti i prerequisiti per aprire un’indagine erano stati soddisfatti, fatta salva una decisione giudiziaria sulla questione della giurisdizione territoriale. Di conseguenza, quando la camera preliminare della Cpi ha stabilito che le disposizioni dello Statuto di Roma si estendevano alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, l’apertura formale di un’indagine era solo una questione di tempo. Dalla mia conoscenza personale sia con Bensouda – che era il mio diretto superiore alla corte – che con la persona che la sostituirà, Karim Khan, nessuno dei due cercherà di prendere decisioni affrettate nella situazione della Palestina. Questo non si poteva dire del precedente procuratore – Luis Moreno-Ocampo. Entrambi sono attenti, persino sensibili, all’opinione pubblica e alle opinioni delle vittime di entrambe le parti. Tuttavia, quando il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che la Cpi era contaminata dall’antisemitismo e si stava pregiudizialmente concentrando su Israele escludendo l’Iran e la Siria, Bensouda ha risposto in modo atipicamente schietto, respingendo l’accusa senza mezzi termini. In effetti, i giuristi internazionali hanno usato il termine “whataboutism” per questa lamentela sul fatto che altri stati non vengono indagati. Tale accusa di parzialità è completamente infondata. La corte semplicemente non è in grado di indagare sui crimini commessi in Iran e in Siria perché questi paesi non sono parti dello Statuto di Roma. Allo stesso modo, la corte non sta cercando di indagare in Israele, ma piuttosto nel territorio di un’entità che è, di fatto, una finzione giuridica intitolata ‘lo Stato di Palestina ai fini dello Statuto di Roma’. .Nella prossima fase del processo, Bensouda sarà obbligata a inviare le cosiddette lettere di notifica ai sensi dell’articolo 18.1 dello Statuto di Roma a tutti gli stati parte dello Statuto di Roma e anche a quelli che non ne sono parte, questi ultimi a sua discrezione. In queste lettere, inviterà questi stati – compreso Israele – a indagare sui crimini sospetti al posto del suo ufficio. La ragione di tale invito deriva dal fatto che la Cpi opera secondo il principio di complementarietà ed è obbligata a dare il primato alle indagini e ai procedimenti nazionali in quei paesi dove la giurisdizione è naturalmente presente. In altre parole, la Corte, secondo il suo statuto, opera come un’istituzione di ultima istanza e non si occuperà di sospetti di crimini di guerra quando c’è uno stato che è sia disposto che interessato a indagare.

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Dalla data di ricezione di tale lettera, Israele avrà un mese di tempo per decidere se aderire all’invito del procuratore. Se Israele dovesse scegliere di ritirare l’indagine – un processo chiamato ‘rinvio’ – il procuratore non avrà la possibilità di opporsi, a meno che non ritenga che l’indagine proposta sia una farsa. In tal caso presenterà una petizione ai giudici del tribunale affinché determinino la questione. Se le autorità israeliane dovessero accettare l’offerta di rinvio, saranno sotto la supervisione periodica dell’Ufficio del procuratore dell’Aia, ma almeno saranno sollevate dalla minaccia di mandati d’arresto internazionali. Nonostante il processo di rinvio sembri attraente, è accompagnato da alcuni problemi relativi alla sua attuazione. Non si dimenticherà che Bensouda ha identificato due categorie di crimini sospetti: l’uso non proporzionale della forza militare e l’impresa di colonizzazione. Per quanto riguarda il primo, si dovrebbe supporre che Israele non avrebbe problemi a recuperare un’indagine sugli eventi derivanti dalle operazioni militari del 2014 dell’Israel Defense Force e gli incidenti associati alle proteste lungo la recinzione di sicurezza nella Striscia di Gaza. Tuttavia, per quanto riguarda l’impresa di insediamento, Israele non sarà competente a indagare su una politica che risale a anni fa e che non è nemmeno definita come un reato penale nella legislazione interna. La tempistica dell’annuncio del procuratore è particolarmente problematica. Il procuratore non è ignaro della politica interna israeliana ed era sicuramente consapevole che Netanyahu avrebbe usato il suo annuncio come foraggio per la sua campagna elettorale. Se Bensouda dovesse inviare le lettere di notifica nei prossimi giorni, prima delle elezioni del 23 marzo, Israele dovrà formulare la sua politica nei confronti del rinvio in un momento in cui si sta formando un nuovo governo e si sta scegliendo la persona che lo dirigerà. Queste lettere di notifica sono, di regola, inviate in modo confidenziale a pochi giorni dall’annuncio formale dell’apertura di un’inchiesta. Di conseguenza, è nell’interesse di Israele chiarire, attraverso i canali diplomatici accettati, che le lettere non dovrebbero essere inviate fino a quando un nuovo Governo non sarà in funzione. Dopo tutto, un nuovo Governo potrebbe guardare più favorevolmente alla possibilità di reiniziare l’indagine interna su vari incidenti di uso non proporzionale della forza militare. Inoltre, non è inconcepibile e persino auspicabile che un nuovo Governo cerchi di rinviare un’indagine sull’impresa di insediamento nel contesto di rinnovati negoziati di pace. Una tale mossa sarebbe forse accolta con favore dall’Ufficio del Procuratore dell’Aia, che da anni incoraggia una politica che chiama “complementarità positiva” – cioè sfruttare la minaccia di un’azione penale internazionale per convincere le parti di un conflitto a deporre le armi. Date le circostanze, sarebbe un peccato per Israele perdere l’opportunità del rinvio che potrebbe fornire la scusa ideale per riavviare i colloqui di pace con i palestinesi. Tuttavia, se Israele spreca questa opportunità, non dovrebbe sorprendere se in un secondo momento la corte lascerà intendere che il governo non ha altro da incolpare che se stesso per l’esportazione del processo giudiziario all’Aia”.

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Più chiari di così…

I fatti

Nella nota diffusa dalla Cpi si legge che l’indagine riguarderà potenziali crimini commessi a partire dal 13 giugno 2014, ossia la data del rapimento e uccisione dei tre adolescenti israeliani che portò poi all’operazione Margine Protettivo a Gaza quell’estate. Secondo le indagini preliminari condotte dalla Corte negli ultimi cinque anni, “esiste una base ragionevole per credere che l’esercito israeliano abbia commesso crimini di guerra”. Nello specifico sono elencati i seguenti crimini: attacchi sproporzionati in relazione a tre incidenti specifici; omicidi intenzionali; attacchi intenzionali contro oggetti o persone protette da simboli distintivi della Convenzione di Ginevra. Il documento elenca anche “i crimini di guerra commessi da Hamas e altri gruppi armati palestinesi”: nell’ambito del conflitto con Israele si fa riferimento attacchi intenzionali contro civili e all’uso di civili come scudi umani. Sono menzionati anche altri crimini contro la stessa popolazione palestinese: privazione del diritto a un processo equo e regolare; omicidi intenzionali; tortura o trattamento inumano e violazione della dignità personale.

Oltre ai crimini legati all’operazione Margine Protettivo del 2014, l’indagine prenderà in esame anche la reazione israeliana alle “marce della rabbia” palestinesi del 2018 al confine della Striscia di Gaza e la politica degli insediamenti israeliani.

Immediata la reazione d’Israele.  Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha bollato la decisione come “puro antisemitismo”. Secondo Netanyahu, “la Corte ha deciso che i nostri coraggiosi soldati che combattono contro crudeli terroristi, sono loro stessi terroristi e che quando costruiamo una casa nella nostra eterna capitale, Gerusalemme, è un crimine di guerra”.

I palestinesi invece hanno accolto con favore la decisione della Cpi. Il ministero degli Esteri palestinese in una nota ha rimarcato che “si tratta di un passo lungamente atteso che aiuterà lo sforzo incessante della Palestina per ottenere giustizia”. Anche Hamas, nonostante potrebbe essere oggetto delle indagini, ha accolto positivamente la decisione: “Le nostre azioni ricadono nell’ambito della resistenza legittima”, ha dichiarato il portavoce Hazem Qassem.

 “Il fatto stesso che un’organizzazione terroristica omicida come Hamas accolga con favore la decisione, è indice di quanto non abbia alcuna validità morale” ha dichiarato il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, parlando di “un atto politico di un procuratore alla fine della sua carriera che cerca di stabilire le priorità del suo successore, trasformando il tribunale in uno strumento nelle mani di estremisti”. Bensouda terminerà il suo mandato a giugno e in Israele speravano che il suo successore, l’inglese Karim Khan, avrebbe preso in mano la questione.

In un passaggio del comunicato che annuncia l’apertura dell’indagine, Bensouda, quasi a fornire una risposta alla prevedibile critica da parte delle autorità israeliane sull’obiettività della Cpi, scrive che la Corte non sarà mossa “da nessun’altra agenda se non quella di adempiere ai nostri doveri statutari ai sensi dello Statuto di Roma con integrità professionale. Ricordo qui, a titolo di esempio, le accuse mosse sulla condotta delle Forze di Difesa israeliane nel caso della Mavi Marmara, dove, in qualità di procuratore, ho rifiutato di avviare un’indagine in quanto non vi era una base ragionevole procedere”.

Quell’accusa infamante

I premi Nobel per la pace Jimmy Carter, Desmond Tutu, Mairead Maguire. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Personalità e organizzazioni che hanno denunciato i crimini commessi a Gaza, e per questo sono stati considerati “antisemiti”.

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La memoria torna a quell’estate di sangue del 2014. Ci sono anche sette premi Nobel per la Pace tra i 64 firmatari di una lettera aperta nella quale si chiede che venga applicato, nei confronti di Israele, un embargo internazionale per quanto riguarda la vendita delle armi. La lettera-appella è del 21 luglio 2014. La missiva, sul Guardian, chiede che il provvedimento venga preso per i “crimini di guerra e i possibili crimini contro l’umanità a Gaza”. “Israele – si legge nella lettera – ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese, in particolare quella della Striscia di Gaza, in un atto disumano e in una illegale aggressione militare. La capacità di Israele di lanciare questi attacchi impunemente deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare internazionale che intrattiene con la complicità dei governi di tutto il mondo. Chiediamo alle Nazioni Unite di attuare immediate misure di embargo militare nei confronti di Israele simili a quelle inflitte al Sudafrica durante l’apartheid”.Tra i firmatari dell’appello ci sono anche sette premi Nobel per la Pace: si tratta in particolare di Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Peres Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberto Menchu. Ma non solo: il documento è stato sottoscritto anche da importanti accademici come Noam Chomsky e Rashid Khalidi, dai registi Mike Leigh e Ken Loach, dai musicisti Roger Waters e Brian Eno, dagli scrittori Alice Walker e Caryl Churchill e dai giornalisti John Pilger e Chris Hedges. Tra i firmatari, inoltre, ci sono anche due accademici israeliani: Ilan Pappe e Nurit Peled.

“I palestinesi innocenti sono trattati come animali, con la presunzione che sono colpevoli di qualche crimine. Perché hanno votato per dei candidati membri di Hamas, il Governo degli Stati Uniti è diventato la forza-guida dietro lo schema apparentemente efficace di privare la società  civile dei fondi, dell’accesso al mondo esterno e ai bisogni primari… Le bombe e i missili israeliani colpiscono la zona regolarmente, provocando un alto numero di vittime sia tra i militanti che tra le donne e i bambini innocenti. Prima dell’uccisione, di cui si è molto parlato, di una donna e dei suoi quattro bambini la scorsa settimana, questa situazione era stata illustrata da un rapporto di B’Tselem, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, secondo la quale sono stati uccisi 106 palestinesi tra il 27 Febbraio e il 3 Marzo. Cinquantaquattro di essi erano civili, e 25 avevano meno di 18 anni…”. E’ un brano di un articolo del 12 maggio 2008 scritto da Jimmy Carter. Per questa presa di posizione  l’ex presidente Usa, nonché premio Nobel per la pace – assieme all’allora primo ministro Menachem Begin e al presidente egiziano Anwar al-Sadat, per gli accordi di Camp David  (firmati il 26 marzo 1979) che sancirono la pace tra Egitto e Israele – è odiato dalla destra israeliana e dal suo eterno primo ministro. 

 

 

 

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