Siria, il papa e i bambini di al-Hol. Una tragedia dimenticata

Il Papa va in Iraq ma non dimentica l'altro paese più martoriato del Medio Oriente devastato da anni di guerra civile

Il capo profughi di Al-hol
Il capo profughi di Al-hol
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Marzo 2021 - 13.59


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Nel giorno in cui papa Francesco inizia il suo storico viaggio in Iraq, Globalist riaccende i riflettori sul Paese più martoriato del Medio Oriente, al quale Bergoglio ha rivolto a più riprese la sua attenzione e le sue preghiere: la Siria. Con un’attenzione particolare al destino dei più indifesi tra gli indifesi: i bambini.

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I bambini di al-Hol. 

Un appello per il rimpatrio e il reinserimento sicuri di tutti i bambini nel campo di al-Hol e in tutto il nord-est della Siria è stato lanciato nei giorni scorsi dal direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, Ted Chaiban, dopo che “almeno tre bambini hanno perso la vita e altri 15 sono rimasti feriti due sere fa quando un incendio è scoppiato nel campo di Al-Hol, nel nord-est della Siria”.
Nel campo di Al-Hol e dintorni, nel nord-est della Siria, secondo l’Unicef, “ci sono più di 22.000 bambini stranieri di almeno 60 nazionalità che languono nei campi e nelle prigioni, oltre a molte migliaia di bambini siriani. I bambini di al-Hol si trovano ad affrontare non solo la stigmatizzazione con cui convivono, ma anche condizioni di vita molto difficili, dove i servizi di base sono scarsi o in alcuni casi non disponibili”. La detenzione dei bambini, dichiara l’esponente dell’Unicef, “è una misura di ultima istanza e dovrebbe durare il più breve tempo possibile. I bambini non dovrebbero essere detenuti solo per sospetti legami familiari con gruppi armati o per l’appartenenza di membri della famiglia a gruppi armati”. Per Chaiban “le autorità locali nel nord-est della Siria e gli Stati membri dovrebbero fare tutto il possibile per riportare i bambini – attualmente nel nord-est della Siria – a casa attraverso il reinserimento dei bambini siriani nelle loro comunità locali e il rimpatrio dei bambini stranieri nei loro paesi di origine in modo sicuro e dignitoso. Chiediamo a tutti gli stati membri di fornire ai bambini – loro cittadini o nati da loro cittadini – la documentazione civile per prevenire l’apolidia. Questo è in linea con il superiore interesse del bambino e in conformità con gli standard internazionali. Chiediamo a tutte le parti in conflitto in Siria di permettere l’accesso umanitario senza ostacoli per fornire assistenza e cure ai bambini e alle famiglie, compresi coloro in luoghi di detenzione”.

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La situazione

Nel 2021 ricorre il decimo anniversario dello scoppio della guerra in Siria. Quasi sei milioni di bambini non conoscono altre condizioni di vita, negli ultimi nove anni in media ne è morto uno ogni dieci ore. Oltre mille istituti formativi e sanitari sono stati attaccati, circa cinquemila minori sono stati reclutati, alcuni ad appena sette anni, molti combattono al fronte. 

La maggior parte delle infrastrutture è distrutta, ospedali e scuole sono colpiti di proposito per sfiancare la popolazione, in molte località mancano acqua, cibo, farmaci e corrente. Anche laddove gli scontri si sono placati, i bambini soccombono nel silenzio a malattie che in condizioni normali sarebbero facilmente evitabili o curabili.

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La pandemia di Covid-19 non fa che peggiorare una situazione già precaria: serrate, coprifuoco, chiusure delle scuole e altri provvedimenti volti ad arginare la diffusione del virus fanno precipitare sempre più famiglie nella disperazione. Si teme che lo stato di necessità induca molti genitori a ricorrere al lavoro minorile e a matrimoni precoci. Secondo le stime, nella regione la crisi sanitaria ridurrà in povertà altri otto milioni di persone. 

Il conflitto in Siria ha causato la maggiore crisi migratoria dalla Seconda guerra mondiale. Quattro bambini su cinque necessitano di aiuti umanitari, 2,6 milioni sono sfollati interni e hanno dovuto abbandonare più volte le loro case, altri 2,5 milioni sono fuggiti in Libano, Giordania, Iraq e Turchia. Dal 2012, il numero di bambini profughi in questi Stati è più che decuplicato. I rifugiati siriani vivono in campi in condizioni precarie senza poter ufficialmente lavorare, il che li rende dipendenti dagli aiuti che i paesi di accoglienza sono sempre meno in grado di fornire.

L’impatto più ampio di un decennio di conflitto comprende: due scuole su cinque non possono essere utilizzate perché distrutte, danneggiate, per dare rifugio alle famiglie sfollate o per scopi militari; oltre la metà di tutte le strutture sanitarie non sono funzionanti; oltre 2,8 milioni di bambini non frequentano la scuola in Siria e nei Paesi vicini. oltre due terzi dei bambini con disabilità fisiche o mentali richiedono servizi specializzati che non sono disponibili nella loro zona; quasi 20mila bambini sotto i 5 anni sono colpiti da malnutrizione acuta grave e in serio pericolo di vita; 1 su 3 di tutte le mamme in stato di gravidanza e allattamento nel nord-ovest della Siria sono anemiche; i prezzi degli articoli di base sono aumentati di 20 volte dall’inizio della guerra.
“Gli occhi dei bambini siriani sono pieni di dolore – rimarca il direttore di Save the Children Italia Filippo Ungaro – quelli di cui abbiamo raccolto le testimonianze si sentono soli e insicuri, molti hanno perso la loro famiglia. Chi ha commesso queste gravi violazioni contro i bambini siriani durante il conflitto ne deve rispondere di fronte alla comunità internazionale”.

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“Sono Ahmed, questa è la mia storia”.

Ahmed e la sua famiglia hanno vissuto in otto in una stanza di sei metri quadrati sul tetto di una fabbrica di tacchi per scarpe a Beirut, quando con i sei figli sono fuggiti dalla guerra in Siria.
Degli ultimi anni in Siria, Ahmed ricorda solo la paura e l’incertezza. “Ormai vivevamo così: ogni mattina ci chiedevamo se eravamo ancora vivi o no,” racconta. “Ho portato via i miei figli. Altrimenti adesso sarei stato senza.”
In Libano sono “sopravvissuti”, come dice Ahmed, anche grazie agli aiuti che hanno ricevuto. Ma quella non era vita. I trasporti costavano troppo. I bambini non potevano andare a scuola. Non c’era futuro. “Eravamo soffocati, dormivamo uno sopra l’altro, un bambino sopra l’altro perché non c’era posto, l’affitto di una casa era molto caro, lo stipendio non bastava per sopravvivere.”

Sullo stesso tetto, in una stanza adiacente alla loro, i dipendenti della fabbrica lavoravano con sostanze tossiche. Pertanto, la famiglia di Ahmed non poteva uscire di “casa” fino alle due del pomeriggio. Hanno vissuto per due anni in queste condizioni, prima di essere reinsediati in Italia.

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Iman, per non dimenticare

Morta di freddo tra le braccia del padre che tentava a piedi di raggiungere un ospedale per curare la sua piccola malata di bronchite: è accaduto nella Siria nord-occidentale martoriata dal conflitto e dove, secondo l’Onu, circa 800mila persone sono in fuga in condizioni umanitarie disperate, strette nella morsa del gelo e, in molti casi, senza acqua potabile e un rifugio dove ripararsi. La storia di Iman, deceduta giovedì nel distretto di Afrin al confine con la Turchia, è anche quella di Abdelwahhab, un altro neonato morto assiderato nei giorni scorsi nella vicina regione di Idlib. E quella di altri 123 bambini siriani uccisi dai gelidi inverni nel corso degli ultimi otto anni di guerra, secondo quanto riferito dalla Rete siriana per i diritti umani. Ieri si era sparsa la notizia di una intera famiglia – padre, madre e due figlie – morte soffocate nella loro tenda di fortuna a Idlib a causa del malfunzionamento di una stufa mai riparata.

Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, la famiglia non aveva i mezzi per provvedere a una stufa nuova e si era invece procurata un mezzo di riscaldamento non propriamente funzionante, che si era rivelato letale nel diffondere nella tenda un fumo tossico. In rete circolano immagini – la cui autenticità non può essere verificata in maniera indipendente – del padre e delle due bambine morte accanto all’uomo nella tenda: sono avvolti nelle coperte, ancora stretti gli uni agli altri. Media siriani e internazionali pubblicano anche le foto di quella che si dice sia la piccola Iman, morta ad Afrin, ritratta mentre è ancora avvolta nei panni con cui è stata portata in braccio dal padre. Secondo le fonti, anche l’uomo, Mahmud Laila, è morto poco dopo la figlia. Profugo originario della regione di Damasco, Mahmud era sfollato assieme alla famiglia almeno altre tre volte. L’ultima regione di provenienza era la periferia sud-occidentale di Aleppo vicina a Idlib. Da lì la famiglia di Mahmud aveva raggiunto le campagne di Afrin, dove nevica da giorni e dove mancano le più basilari strutture di accoglienza per i profughi. L’Osservatorio afferma che la piccola Iman si era ammalata di bronchite, e che le sue condizioni erano peggiorate, tanto da indurre il padre a rischiare di mettersi in cammino per diverse ore per raggiungere il più vicino ospedale attraversando all’alba, a piedi, un percorso di montagna. Secondo l’Osservatorio siriano, la bimba è morta prima di arrivare in ospedale. 

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Questo accadeva il 14 febbraio 2020. Tredici mesi dopo, i bambini continuano a morire in Siria. Morire di freddo, di fame, di stenti. 

Ferite invisibili

Le 458 testimonianze che abbiamo raccolto nel rapporto di Save the Children ‘Ferite invisibili’ – scrive Marco Guadagninoparlano di macerie. Ma non sono quelle delle case, delle scuole o degli ospedali distrutti. Sono le macerie di un’infanzia perduta in Siria. Penso a Firas, a Nuri, a Hisham, penso a cosa si dicono quando si incontrano per strada, nei cortili. Non lo so con esattezza, ma lo immagino. E immagino discorsi da bambini cresciuti troppo presto, bambini che mimano, con occhi seri, la violenza. Forse all’inizio pensavano fosse una specie di gioco, ci raccontano che i primi tempi erano contenti dei rumori delle bombe. Aspettavano l’arrivo degli aerei. Poi hanno iniziato a perdere amici, parenti, vicini di casa, compagni di scuola. ‘Si aggiravano per strada chiedendo notizie di persone che da un po’ non si vedevano in giro. Alla fine gli abbiamo dovuto spiegare che erano morti’. Chi può scappa, chi non può farlo dorme solo di giorno. La notte è solo per gli incubi e sei anni sono più di duemila notti. Spesso nel sonno i bambini piangono, urlano. Ahmed cerca conforto nel modo più naturale per un bambino, l’unico che gli è rimasto: ‘Quando sono triste vado dalla mia mamma e mi siedo accanto a lei, mi accarezza i capelli e mi sento felice’.

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Meditate che questo è stato’, si legge in un verso di una poesia di Primo Levi. Le voci di questi bambini – annota ancora Guadagnino – ci dicono che purtroppo questo ‘ancora è’. Ma è impossibile rassegnarsi all’orrore e siamo ancora in tempo per fermarlo. Siamo ancora in tempo per curare le ferite invisibili dei bambini della Siria”.

La fine dell’infanzia, tra piccoli soldati e spose bambine. 

Bambini che non hanno più punti di riferimento, che hanno perso i propri cari, che non possono andare a scuola e che devono trovare il modo per sopravvivere diventando improvvisamente adulti per sfuggire alla povertà. In violazione delle leggi internazionali sui diritti umani, molti bambini – in particolare i maschi – vengono reclutati da gruppi armati. “La guerra è un business e spesso i gruppi armati sono gli unici che hanno il denaro per pagare”, spiega un ragazzino. Questi bambini sono i più vulnerabili dal punto di vista delle conseguenze psicologiche e con loro anche le bambine, spesso costrette a matrimoni precoci, un fenomeno ormai in crescita in molte aree del paese. I genitori, non potendo curarsi di queste bambine, le obbligano a sposarsi con uomini di famiglie più ricche che si possano occupare di loro, pensando di tenerle così lontane anche dal rischio di abusi e violenze sessuali. Alcune tentano il suicidio pur di evitare di finire in spose a uomini che non vogliono.
La perdita del “senso di futuro”. 

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La mancanza di educazione è una delle più grandi paure dei bambini e l’impossibilità di andare a scuola crea loro grandi problemi oltre che nell’apprendimento, anche nella socializzazione: dall’inizio del conflitto sono più di 4.000 le scuole che sono state attaccate, circa due al giorno. Una scuola su tre è danneggiata da bombe o è stata trasformata in rifugio per sfollati e circa 150.000 tra insegnanti e personale educativo, hanno lasciato il Paese. Le scuole che rimangono in piedi continuano ad essere obiettivi di attacchi indiscriminati e la maggior parte dei bambini e degli adolescenti non può frequentarle.

Così un report di Save the Children. 

La Siria conta quasi 7 milioni di sfollati interni, il numero più alto al mondo. A questi si sommano altri 5,6 milioni di siriani fuggiti dal loro Paese. Ad oggi, tra le aree più colpite dall’emergenza umanitaria, c’è quella di Idlib, situata nel nord della Siria. Gli ultimi dati forniti dal World Food Programme, indicano la cifra di 9,3 milioni di persone (il 46% della popolazione totale) in crescente insicurezza alimentare. Ad un anno dall’inizio della pandemia di Covid-19, la Siria si ritrova a dover affrontare le conseguenze sanitarie l e sociali della diffusione del virus con solo metà delle strutture mediche pienamente funzionanti.

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“Vediamo e viviamo in una crisi in crescita ogni singolo giorno. Ogni giorno emergono emergenze diverse: cibo, elettricità, povertà, freddo”, racconta Fadi Elias operatore umanitario Intersos in Siria, “Dall’inizio della crisi non ci sono mai stati momenti di miglioramento, anche per gli operatori umanitari la situazione è sempre più complessa. Operare in un contesto come questo è davvero difficile. L’economia è al collasso, la miseria aumenta.” 

Per Naram Nasra, anche lui operatore umanitario Intersos in Siria, l’arrivo della pandemia ha sicuramente aggravato una situazione già in emergenza. “Nel governatorato di Hama stiamo vedendo un numero crescente di sfollati e migranti di ritorno. Prosegue anche la minaccia terroristica (Isis) e la situazione finanziaria è in deterioramento: il 90% della popolazione vive sotto la soglia di  povertà. Lo scenario che ogni giorno si prospetta davanti al nostro staff è un allarme crescente: “abbiamo assistito ad un aumento del numero di persone che cerca aiuto dalle Ong presenti sul territorio, sta diventando davvero complesso poter assistere questo gran numero di persone”.

 Dall’Iraq, Bergoglio volgerà lo sguardo alla vicina Siria. E “abbraccerà” idealmente i bambini di al-Hol. 

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