Caso Regeni, la fabbrica dei depistaggi iniziò prima del ritrovamento del cadavere
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Caso Regeni, la fabbrica dei depistaggi iniziò prima del ritrovamento del cadavere

Federica Guidi, era ministra dello Sviluppo economico. È stata audita dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del giovane ricercatore friulano. Di cose interessanti ne ha dette

Verità per Giulio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Febbraio 2021 - 16.17


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Era lei il ministro che il “faraone” ha ricevuto qpoche ore prima del ritrovamento  del cadavere martoriato di Giulio Regeni. Federica Guidi, era allora ministra dello Sviluppo economico. L’altro ieri è stata audita dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del giovane ricercatore friulano. Di cose interessanti, Guidi ne ha dette e vale la pena non lasciarle passare sotto silenzio. Fin dall’inizio il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha fatto false promesse su un suo impegno affinché venisse fatta piena luce sul caso di Giulio Regeni e allo stesso tempo ha coperto i suoi uomini coinvolti nel sequestro e nell’uccisione del ricercatore friulano. Ne è convinta la Procura di Roma e dalle parole dell’ex ministra, sembra emergere che tali depistaggi siano iniziati ancor prima che venisse ritrovato il corpo dello studente. 

Il racconto

La ex titolare del Mise giunse al Cairo il 3 febbraio 2016, per una missione programmata da tempo con una sessantina di imprenditori. In quei giorni si stava cercando il ricercatore scomparso. “Quando è terminato il mio incontro con il presidente egiziano al-Sisi sulla vicenda Regeni ho subito avuto la sensazione che qualcosa sarebbe successo”, ha dichiarato l’ex ministra.

“Al Sisi – ha aggiunto – mi disse che avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per chiarire il caso e ho avuto la sensazione che a breve qualcosa avremmo saputo. Ed effettivamente poche ore dopo, alle 18 del 4 febbraio, una telefonata ci informò del ritrovamento di un corpo”. Sentita la Farnesina e infine anche l’allora premier Matteo Renzi, la Guidi decise a quel punto di tornare in Italia, facendo però prima visita ai genitori di Giulio, in quei giorni al Cairo: “Noi non dicemmo ai genitori quello è il corpo di vostro figlio. Dicemmo solo non possiamo escluderlo”.

Tutto giusto

Ora, mettiamo a confronto le affermazioni della ex ministra con quelle di colui che guidava il governo di cui la Guidi faceva parte: Matteo Renzi. Siamo agli antipodi. 

A darne conto è l’audizione del senatore di Italia Viva  da parte della commissione Regeni. Va dato atto al senatore di Scandicci  di aver affrontato nel suo lungo intervento tutte le questioni calde legate al rapimento e al brutale assassinio del giovane ricercatore friulano. “Abbiamo messo in campo tutto quello che potevamo” . E ancora: “Devo rivendicare con forza ciò che ha fatto il Governo. Lo faccio con estrema convinzione perché si è trattato di una risposta dell’Italia e non di un singolo a un fatto inaccettabile. Abbiamo messo in campo tutti gli strumenti appena avuta la notizia”., esordisce l’ex presidente del Consiglio.  E così articola la sua affermazione: “Appena informati della scomparsa di Giulio Regeni abbiamo segnalato immediatamente la cosa ai massimi livelli egiziani. Al ritrovamento del corpo abbiamo spiegato con molta chiarezza ad al-Sisi che non avremmo accettato verità di comodo”. “Dal 31 gennaio del 2016, appena saputo della vicenda e capito che rischiava di essere drammatica e seria, noi vertici del governo ci siamo messi in moto”.  ” “Se ho rimpianti? Voglio essere sincero, sì. Tante volte ho pensato che forse se avessimo saputo prima avremo potuto agire prima. Ma quello che è certo è che dal momento in cui siamo venuti a conoscenza dell’evento c’è stata una reazione di squadra da parte di tutto il Governo”. “Chiedemmo cooperazione giudiziaria” “La prima cosa che abbiamo detto all’Egitto è stata che i nostri magistrati dovevano poter indagare, abbiamo chiesto cooperazione giudiziaria. Non era scontato. Un lavoro straordinario che dimostra che l’Italia non fa sconti a nessuno”. 

L’intervista imbarazzante

 “Io personalmente ho chiesto al presidente al-Sisi di accettare di rispondere alle domande di un media italiano. La scelta è caduta su Repubblica che si era mostrata molto interessata alla battaglia per la verità sulla morte di Giulio Regeni. Abbiamo preteso che fosse il presidente stesso a rispondere”.

E in effetti, l’intervista ci fu. E che intervista…Addirittura in due puntate, che neanche Barack Obama… Una intervista che ha al suo clou, in questa incalzante domanda: “Signor Presidente, che idea si è fatta della morte di Giulio Regeni’”.

Che idea?! Manco fosse stata rivolta a uno che passava lì per caso e. a cui si chiedeva un parere. 

 “Durante un incontro informale con il presidente egiziano al-Sisi nel settembre 2016 ad Angiò, durante il G20, gli dissi che ero addolorato per ciò che era successo a Giulio Regeni e gli comunicai le mie preoccupazioni e le mie richieste”, dice ancora Renzi. Preoccupazioni e richieste totalmente inevase. Ma questo per il prode Matteo è un dettaglio insignificante.

Tanto più che nel suo mirino entra la perfida Albione.  “” Durante l’incontro con la nuova primo ministro del Regno Unito, Theresa May, andai giù piatto con lei perché secondo me su questa storia un paese amico come il Regno Unito non ha chiarito fino in fondo. Mi limito a dire questo. C’è qualcosa che non torna nella professoressa universitaria inglese che non risponde alle domande sulla morte di Giulio Regeni. La trovo una cosa inaccettabile”. 

Difensore d’ufficio

“Ritirare l’ambasciatore adesso non significa mettere in difficoltà l’ambasciatore e due aziende italiane, ma sembrerebbe finalizzato a parlare all’opinione pubblica e non alla ricerca della verità”, sentenzia Renzi. E già qui ci sarebbe molto da dire. “Chi dice che l’Egitto non ha fatto nulla per le indagini sulla morte di Giulio Regeni, non si rende conto di quel che è l’Egitto. Probabilmente li qualcuno pensava cavarsela facendo finto di niente, ma gli abbiamo ritirato l’ambasciatore, abbiamo rifiutato verità di comodo, abbiamo portato il tema nei tavoli internazionali e abbiamo portato al Cairo le autorità giudiziarie. Noi abbiamo fatto quel che deve fare un paese civile”. 

Insomma, Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, Amnesty International Italia, le associazioni per i diritti umani egiziane, i cui dirigenti sono stati sbattuti in carcere dal regime egiziano,  blogger, giornalisti che hanno continuato a denunciare l’omertà e le deviazioni operate dalle autorità egiziane nella ricerca di esecutori e mandanti di quello che sin dal primo momento si è presentato come un “omicidio di Stato”, insomma tutti quelli che hanno avuto modo di ridire, con composta e determinazione, sull’azione dei vari Governi italiani succedutisi dal giorno del ritrovamento del cadavere di Regeni -il Governo Renzi, il Governo Gentiloni, il Governo Conte i e il Conte II –  sono non solo ingenerosi, almeno con il suo di Governo, ma non si rendono conto di “quel che è l’Egitto”.

E invece, senatore Renzi, se ne rendono conto, eccome. L’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi è uno Stato di polizia, dove la tortura è prassi quotidiana, dove le galere sono piene di attivisti e avvocati dei diritti umani, di blogger, oppositori di ogni tendenza. Dove, come hanno sempre sottolineato Paola e Claudio Regeni, di “Regeni” egiziani ce ne sono stati tanti. E continuano ad esserci. Uno Stato di polizia che ha superato nel numero dei desaparecidos le giunte militari fasciste dell’Argentina.

 “Questo livello di collaborazione deve proseguire e soprattutto l’Egitto deve far giudicare i colpevoli. Deve venire fuori la verità”, si auspica Renzi.  “Magari qualcuno in Egitto cercava di cavarsela facendo finta di niente, noi abbiamo fatto quello che deve fare un Paese civile: portare giornalisti, istituzioni e magistrati”. 

 L’inviato speciale

“Non metto minimamente in discussione la scelta che la Camera ha fatto di istituire la commissione d’inchiesta, che come tale rispetto. Io penso che in questa fase ciò che servirebbe al Paese, l’ho detto al professor Conte e a Gentiloni, è un’autorità delegata. Penso che la legge di riforma dei Servizi che prevede la possibilità e non la necessità debba essere interpretata nella scelta di nominare un sottosegretario con questa delega. Nel caso di specie, io credo che ciò che serve in Egitto non è il ritiro della diplomazia, ma l’invio di un inviato speciale nominato dal presidente del Consiglio perché aiuti nella ricerca dei responsabili”. 

Un inviato speciale?! Sai che paura per il presidente-faraone. Già sta tremando. 

 Incurante della realtà, Renzi prosegue nella sua narrazione. E detta la linea: “Va perseguita la strada del dialogo con l’Egitto, con le condizioni di una democrazia liberale, e va fatto in modo coordinato. Se va il ministro degli Esteri va lui, non come con il primo governo Conte con cui prima andava il ministro degli Esteri, poi il presidente della Camera, poi il presidente del Consiglio”. “Si va con uno stile, un Paese serio gestisce questa dinamica sapendo che siamo in una complicatissima pagina”.

Ora a Palazzo Chigi s’insedierà il professor Draghi, a cui Renzi ha ripetuto in ogni dove le sue dichiarazioni d’amore (politico, s’intende). Al presidente incaricato che si appresta a ricevere una fiducia “mastodontica” nei numeri, i tanti che si battono perché sia fatta verità e giustizia su Giulio Regeni, hanno solo una cosa da chiedergli: sostenere la Procura di Roma e agire con la dovuta determinazione perché le autorità egiziane non continuino la intralciare, come fin qui hanno sempre fatto, la giustizia. E se il presidente-carceriere egiziano continuerà a prendersi gioco dell’Italia, è tempo di mostrare gli attributi. Richiamando il nostro ambasciatore e stoppando la vendita di armi al regime che sta coprendo esecutori e mandanti di un assassinio di Stato. 

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