Libia, il dopo-Sarraj nasce nel segno di una precaria stabilità
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Libia, il dopo-Sarraj nasce nel segno di una precaria stabilità

Libia, è finita l’”era” di Fayez al-Sarraj. L’uomo su cui l’Italia aveva puntato. Un “cavallo” perdente, un “signor nessuno”, come lo definì in una lontana, quanto lungimirante intervista Angelo Del Boca

Serraj e Erdogan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Febbraio 2021 - 17.40


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Libia, è finita l’”era” di Fayez al-Sarraj. L’uomo su cui l’Italia aveva puntato. Un “cavallo” perdente, un “signor nessuno”, come lo definì in una lontana, quanto lungimirante intervista, concessa a che scrive dal più autorevole storico della Libia e del colonialismo italiano in Nord Africa: Angelo Del Boca. 

Potere condiviso

Ahmed al Mismari, portavoce dell’esercito nazionale libico (Lna), facente capo al generale Khalifa Haftar, si è congratulato con il popolo libico “per i risultati del Forum di dialogo politico libico, sotto gli auspici della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite in Libia, per gli sforzi continui e reali della rappresentante speciale ad interim del segretario generale dell’Onu in Libia, Stephanie Williams, che hanno portato all’elezione della nuova autorità esecutiva a cui aspirano tutti i libici”.  In questo contesto, ha detto Mismari in un video, “il Comando Generale si congratula con le figure nazionali che sono state elette per adempiere alle funzioni di capo del Consiglio presidenziale, Mohamed Yunus Menfi e capo del governo nazionale, Abdul Hamid Mohammed Dbeibah”.   “I libici sperano di poterli vedere al loro diligente lavoro nel fornire servizi ai cittadini e preparare il Paese alle elezioni generali previste per il 24 dicembre 2021, secondo quello che è stato concordato essere l’inizio del processo democratico, e la costruzione del nuovo stato libico, uno stato di istituzioni e di diritto”, conclude il portavoce di Haftar. 

L’outsider che ha sconfitto i favoriti

Sono quattro gli uomini che i 75 delegati delle fazioni libiche, durante i negoziati condotti a Ginevra sotto l’egida dell’Onu, hanno investito del compito di riunificare una nazione contesa da due amministrazioni rivali e un numero sterminato di milizie – spiega un documentato report dell’Agi a firma di Francesco Russo. 

 Primo ministro a interim è l’ingegnere sessantunenne Abdul Hamid Dbeibah, un ricco uomo d’affari che aveva guidato la Libyan Investment and Development Company, il fondo sovrano avviato da Gheddafi nel 2007.

Il primo ministro libico ha ora 21 giorni per formare un esecutivo e altre tre settimane per ottenere la fiducia del Parlamento. Dbeibah non era apparso come il candidato più forte, anche in virtù dei suoi legami con il passato regime ma è apparso come una figura di compromesso rispetto a due favoriti che rappresentavano però ciascuno una delle due fazioni finora in lotta: Aguila Saleh, l’influente presidente del Parlamento di Tobruk, e Fathi Bashagha, il potente ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale con sede a Tripoli. 
Capo del consiglio presidenziale è invece Mohammad Younes Menfi, un ex ambasciatore espulso dalla Grecia nel dicembre 2019 come rappresaglia per un accordo tra Tripoli e Ankara. Al suo fianco ci saranno Moussa al-Koni, rappresentante della minoranza Tuareg, e Abdallah Hussein al-Lafi, dalla città occidentale di Zuwara.

La comunità internazionale ha espresso forte soddisfazione per un traguardo reso possibile dall’inattesa tenuta dell’accordo per il cessate il fuoco stretto lo scorso ottobre, due mesi dopo il fallimento dell’offensiva su Tripoli del generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica. Il governo guidato da Fayez al-Sarraj era riuscito a ricacciare l’avversario alle porte di Sirte grazie al sostegno della Turchia, che aveva inviato a dargli manforte migliaia di miliziani prelevati da Sudan e Siria.

L’intervento di Ankara ha salvato il governo riconosciuto dall’Onu ma ha aggravato il problema costituito dalla presenza di mercenari stranieri in Libia (Haftar conta invece sui “contractor” russi del celebre Gruppo Wagner), la cui partenza è una delle condizioni principali dell’accordo per il cessate il fuoco. 

Per l’Onu è un “momento storico”

​ Stephanie Williams, l’inviata Onu che ha guidato il processo di pace, ha parlato di “momento storico”. “La nuova autorità libica dovrà impegnarsi a sostenere la piena attuazione del cessate il fuoco (raggiunto lo scorso 23 ottobre, ndr)”, ha spiegato Williams, che a breve sarà succeduta dallo slovacco Kubis, ricordando poi che il premier dovrà formare entro 21 giorni il suo gabinetto e presentare il suo programma al parlamento per ottenere la fiducia entro 21 giorni dalla presentazione dell’esecutivo. Qualora non dovesse ottenere la fiducia, la palla passerà nuovamente al Forum. L’Onu chiede “unità e inclusività di tutti i libici”. A partire dalle donne: la lista vincitrice ha già promesso che garantirà loro almeno il 30% del gabinetto.

“Sono convinto che questa sia una svolta”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, un po’ più prudente della sua inviata. D’altra parte, come non esserlo, visto che la tormentata vicenda libica di questi dieci anni post-Gheddafi è stata segnata da accordi presentati come “storici” e poi miseramente falliti.  Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia hanno accolto con favore la nomina del governo ad interim ma hanno avvertito che c’è’ “una lunga strada da percorrere”. Sarraj ha augurato “successo nella sua missione” al nuovo esecutivo e il portavoce di Haftar si è congratulato con Dbeibah, Menfi e “il popolo libico”.

Scettici gli analisti. Secondo Wolfram Lacher dell’Istituto tedesco per gli Affari e la Sicurezza Internazionali, “le quattro persone che sono state elette non hanno alcun interesse comune che non sia ottenere il potere e mantenerlo”. Le nuove autorità, ha sottolineato Lacher alla France Presse, “troveranno molto difficile esercitare qualsiasi influenza nell’Est e incontreranno opposizione anche a Ovest”.

“Il processo Onu in Libia è uscito dai binari producendo una nuova autorità che francamente non si sarebbe aspettato nessuno”, ha scritto invece, su Twitter, Tarek Megerisi, dell’European Council on Foreign Relations. Secondo Megerisi, i favoriti come Saleh e Bashagha sono stati azzoppati dall’identificazione con classi dirigenti incapaci di combattere la corruzione e fornire servizi essenziali ai cittadini. 

Su Twitter Mohamed Eljar, esperto di Libia e co-fondatore del “Libya Outlook for Research and Consulting” scrive che “il rischio che il denaro politico corrotto arrivasse al Foro di dialogo politico è sempre stato reale. Molte parti libiche hanno sollecitato la Missione Onu in Libia a fare in modo che i partecipanti si impegnassero a fornire un audit ufficiale delle loro risorse come misura per ridurre il rischio. Unsmil non ha preso in considerazione questa raccomandazione/richiesta. La selezione di un delegato in particolare ha sollevato preoccupazioni sul fatto che il denaro politico corrotto possa trovare facilmente la sua strada nei corridoi del Forum. Quel particolare delegato è Ali Dbeibeh. Un miliardario che è stato oggetto di un’indagine di frode di sei anni da parte delle autorità scozzesi, descritto dal Times come il più grande caso di frode nella storia scozzese. (…) Certamente non è solo il campo di Ali Dbeibeh a offrire denaro, ma il suo caso è di gran lunga il più clamoroso”, rimarca Eljar.

Tripoli e Bengasi sconfitte

“Il nuovo consiglio presidenziale sarà composto da tre membri – annota su Inside Over Marco Indelicato, profondo conoscitore della caotica e frantumata realtà libica -. Oltre al numero uno Al Manfi, nella Lista 3 uscita vincitrice è prevista la designazione di Abdullah al-Lafi e Musa al-Koni. Saranno quindi loro due a completare la squadra. L’ultimo è rappresentante del Fezzan, il primo invece è in quota Tripolitania. C’è però un particolare di non poco conto: Al Lafi è dell’ovest della Libia, ma non di Tripoli. Originario di Zawiya, il suo non è un nome particolarmente gradito nella capitale libica. La città di fatto non ha alcun rappresentante tra i nuovi ruoli di vertice individuati dalla votazione del foro di dialogo… Ma se Tripoli piange, Bengasi non sorride. Il nuovo presidente del consiglio presidenziale Al Manfi, pur essendo della Cirenaica, è ben distante dalle posizioni politiche del generale Haftaril quale con le sue truppe controlla buona parte della regione. La sua emarginazione politica non verrà accettata facilmente, sia dal diretto interessato che dalle milizie a lui più vicine. Il nuovo corso politico in Libia non è quindi partito sotto ottimi auspici: l’elezione delle nuove cariche è arrivata soltanto con la maggioranza semplice dei votanti, senza accordi su vasta scala, e scontenta i principali attori di Tripoli e Bengasi”.

 I vincitori. concordano gli analisti, sono molto più deboli degli sconfitti. Hanno poco seguito, hanno questioni irrisolte, hanno da gestire il peso delle loro visioni anche sul quadro internazionale che si muove sopra e attorno alla Libia (difficile per esempio che Emirati Arabi, Egitto e Russia accettino che il Paese finisca in mano a un’autorità considerata islamista, dopo che questi Paesi, sostenitori del generale Haftar , hanno da sempre motivato  il loro coinvolgimento come un moto contro gli islamisti volutamente sovrapposti e mescolati ai terroristi).  

La Libia ha un nuovo consiglio presidenziale. Ma il traguardo della stabilità è ancora lontano. 

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