Allerta in Medio Oriente per gli ultimi giorni di Trump, il "Nerone" della Casa Bianca
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Allerta in Medio Oriente per gli ultimi giorni di Trump, il "Nerone" della Casa Bianca

Mancano otto giorni all'ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca il 20 gennaio. Fino ad allora, l'Iran è preoccupato per un attacco militare americano, ordinato dal presidente uscente Donald Trump

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Gennaio 2021 - 15.52


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L’assalto a Capitol Hill potrebbe essere solo l’avvisaglia di ciò che il “piromane della Casa Bianca” potrebbe scatenare nella settimana che precede l’insediamento di Joe Biden. E non ci riferiamo “solo” agli allarmati rapporti dell’Fbi sui miliziani del tycoon pronti a marciare in armi su Washington il 20 gennaio, ovvero alle minacce di morte indirizzate a colui che nelle farneticazioni dei neonazisti, suprematisti bianchi e feccia elencando,  viene tratteggiato come l’”usurpatore”, il “ladro di voti”, naturalmente al servizio della finanza globalista ebraica e dell’immancabile George Soros. 

 L’allarme rosso scattato in tutto il Medio Oriente

Allarme rosso, conto alla rovescia

Mancano otto giorni all’ingresso del Presidente eletto Joe Biden alla Casa Bianca il 20 gennaio. Fino ad allora, l’Iran è fortemente preoccupato per un attacco militare americano, ordinato dal presidente uscente Donald Trump. Il nervosismo a Teheran è stato notevole per diversi giorni sullo sfondo dell’epilogo del mandato di Trump. Questo ha implicazioni anche per gli alleati iraniani, compresi gli Hezbollah e le milizie sciite che operano in Iraq e in Siria. Il fallimento dei sostenitori del presidente americano e le condanne seguite  all’assalto al Campidoglio di mercoledì scorso sembrano in realtà aver aumentato il livello di paura tra gli iraniani. Prima dell’assalto  a Capitol Hill, i media negli Stati Uniti hanno riferito di scenari relativi al passo finale di Trump in Medio Oriente. Poi, in seguito alla violenta invasione dei sostenitori di Trump al Congresso, la Speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, ha detto di aver parlato con il presidente dei Capi di Stato Maggiore, il generale Mark Milley, per accertare che “un presidente instabile”, come ha detto, non sarebbe stato in grado di avviare un attacco nucleare durante i suoi ultimi giorni in carica.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono preoccupati per la vendetta iraniana legata al primo anniversario dell’assassinio statunitense del generale Qassem Soleimani, comandante della Quds Force delle Guardie rivoluzionarie iraniane, ucciso in Iraq il 3 gennaio dello scorso anno. Finora, non ci sono state segnalazioni di tentativi di risposta da parte iraniana, ma gli americani hanno dispiegato bombardieri B-52 che sono stati fatti volare verso la regione del Golfo Persico dalle loro basi negli Stati Uniti, e hanno anche spostato le forze navali nella zona, apparentemente a scopo deterrente.  E se guerra sarà, avverte Amir Ali Hajizadeh, comandante delle forze aerospaziali dei Pasdaran, l’Iran è pronto a colpire le basi americane “dalla Giordania all’Iraq al Golfo e anche le loro navi da guerra nell’Oceano Indiano”. Un conflitto di cui pagherebbero lo scotto anche i paesi arabi alleati di Washington e naturalmente Israele. 

A gettare acqua sul fuoco è  il presidente Hassan Rohani. “Tra pochi giorni, la vita di questo criminale (Trump) finirà e andrà nella pattumiera della storia”, ha detto Rohani secondo il quale “uno degli effetti di questo atto stupido e vergognoso (l’assassinio di Soleimani, ndr) è stata la fine del trumpismo. Di questo siamo felici e crediamo che il periodo dopo Trump risulterà in una migliore condizione per la stabilità regionale e globale”.

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Le forze di difesa israeliane, da parte loro, sono da giorni in stato di massima allerta. Una batteria di missili Patriot per la difesa aerea è stata dispiegata a Eilat, e una presenza eccezionalmente grande di aerei da combattimento è stata vista nel cielo sopra il Paese, in tutti i settori e per una parte considerevole della giornata di ieri.. In Libano, i residenti di Beirut si sono lamentati dei frequenti voli di aerei da combattimento israeliani sulla capitale. Israele sembra essere pronto a fermare un possibile attacco di missili, razzi o droni da parte di organizzazioni che prendono ordini dagli iraniani. L’Idf – fanno filtrare fonti della Difesa israeliane a Tel Aviv –  è attenta alle minacce provenienti da diversi teatri:  Siria e Libano a nord, Iraq a est e Yemen a sud. 

Sullo sfondo, continua lo sforzo iraniano di dispiegare armi in Siria e contrabbandare armi a Hezbollah in Libano. Come è stato riferito ad Haaretz questa settimana, in 10 giorni ci sono stati tre attacchi aerei attribuiti a Israele su obiettivi in Siria appartenenti all’Iran, agli Hezbollah e al regime di Assad. Lo stato di allerta di Israele viene anche in risposta ad una possibile vendetta da parte dell’Iran. Teheran accusa Israele di aver “fiancheggiato” l’assassinio di Soleimani e di  aver condotto quello, nei pressi di Teheran, a novembre, del capo del programma nucleare iraniano, il professor Mohsen Fakhrizadeh. 

L’allarme è anche legato allo scenario di errore di calcolo tra Iran e Stati Uniti. Fonti della difesa in Israele hanno detto sempre ad Haaretz che l’establishment della difesa israeliana ha mantenuto negli ultimi giorni un contatto costante con il Pentagono e con il comando superiore dell’esercito americano. Sulla base delle conversazioni, le fonti dicono che gli americani non hanno intenzione di attaccare l’Iran durante il periodo attuale, e che nonostante le delicate circostanze politiche di Washington, non è plausibile che il comportamento irregolare del presidente si traduca in un’azione militare in Medio Oriente. Anche Israele, sottolineano, non ha alcuna intenzione di avviare un’offensiva su vasta scala contro l’Iran in territorio iraniano nel periodo attuale. La principale preoccupazione in Israele, aggiungono le fonti, è il potenziale di una serie di malintesi reciproci che porterebbero a una conflagrazione, dovuta principalmente al timore dell’Iran di un passo inaspettato da parte di Trump. Anche Israele era preoccupato per tali sviluppi in passato, durante i periodi di graduale escalation. In retrospettiva, la catena di eventi che ha portato all’inizio dell’Operazione Protective Edge a Gaza nell’estate del 2014 può essere attribuita all’errata interpretazione da parte di Israele e di Hamas delle reciproche azioni, quando passi limitati e specifici sono stati male interpretati come segnali dell’intenzione dell’altra parte di iniziare una guerra.

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Bibi si porta avanti nel lavoro

Tra un’allerta e l’altra, Netanyahu si porta avanti col lavoro di colonizzazione, prima dell’uscita dallo Studio Ovale del suo grande amico e protettore. Israele porterà avanti la costruzione di circa 800 alloggi in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Lo ha annunciato il premier spiegando che tra i luoghi c’è anche l’insediamento di Tal Manashe dove abitava Esther Horgen, l’israeliana uccisa il 20 dicembre scorso in un attentato terroristico palestinese. Tra gli altri insediamenti, secondo i media, ci sono Itamar, Beit El, Shavei Shomron, Oranit e Givat Zeev (Gerusalemme est). E anche l’avamposto di Nofei Nehemia che diventerà un insediamento a tutti gli effetti. 

I ministri degli Esteri di Egitto, Giordania, Francia e Germania al termine di un vertice al Cairo hanno invitato il Consiglio di sicurezza dell’Onu ad adottare misure per fermare immediatamente la costruzione di alloggi israeliani nei territori palestinesi. Lo si apprende da una dichiarazione congiunta dei paesi.

Nel documento i ministri hanno sottolineato che non c’è alternativa alla “soluzione dei due Stati” del conflitto israelo-palestinese e hanno invitato entrambe le parti ad espandere la cooperazione, soprattutto nel periodo della pandemia di coronavirus in corso.

“I ministri hanno invitato le parti ad astenersi da qualsiasi misura unilaterale che minacci il futuro di una soluzione giusta e duratura del conflitto. A questo proposito, i ministri hanno ribadito il loro invito all’implementazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla cessazione immediata e completa di qualsiasi attività di edilizia, anche a Gerusalemme Est”, afferma il documento.

I ministri degli Esteri, inoltre, “hanno sottolineato il ruolo degli Stati Uniti” e hanno espresso la loro disponibilità, insieme a Washington, a garantire negoziati che “porteranno a una pace su larga scala e duratura nella regione” e consentiranno di riavviare il processo di pace tra la Palestina e Israele.

I diplomatici hanno invitato tutte le parti, compreso il Quartetto per il Medio Oriente (Usa,Russia, Onu, Ue) , a compiere sforzi per avviare “negoziati su tutti i problemi complessivi del processo di risoluzione nel Medio Oriente”. È stato raggiunto anche un accordo per tenere la prossima riunione dei ministri in Francia.

Come si distrugge una soluzione “a due Stati”

Un recente rapporto sugli insediamenti, messo a punto dall’Ufficio nazionale per la Difesa della terra e la Resistenza agli insediamenti dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), ha affermato che diverse aree della Cisgiordania hanno recentemente assistito ad attacchi senza precedenti da parte dei coloni, mentre l’occupazione prevede di aumentare il loro numero fino ad un milione. Il rapporto pubblicato il 26 dicembre indica che molti di questi attacchi sono stati realizzati attraverso la chiusura di incroci stradali tra le città, attacchi fisici, danni alle proprietà e lancio di pietre contro veicoli palestinesi. Sono avvenuti in varie aree come Sheikh Jarrah, Gerusalemme, al-Khalil/Hebron e diverse città, paesi e villaggi, in particolare a Musafir Yatta.

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Il rapporto evidenzi le ripetute aggressioni da parte di gruppi di coloni estremisti e del gruppo dei cosiddetti “giovani delle colline di Nablus”, contro i palestinesi, sulle tangenziali vicino all’insediamento di Yitzhar, oltre ai loro attacchi alle proprietà e alle terre dei cittadini di Salfit e Al-Aghwar.

Tali attacchi hanno avuto luogo anche nelle province di Betlemme, specialmente sulle tangenziali, in aggiunta alle città e ai villaggi di Ramallah a Burqa, al-Mughir e Kafr Malik.

Il ministro israeliano degli Insediamenti, Tzachi Hanegbi, afferma che il suo governo procederà con l’esecuzione del progetto di trasferimento di oltre un milione di ebrei negli insediamenti in Cisgiordania. La sua dichiarazione è arrivata durante la partecipazione all’inaugurazione di un nuovo edificio, nel Consiglio dell’area industriale di Shaer Binyamin, nell’insediamento di Psagot.

Il ministro israeliano dei Trasporti, Miri Regev, ha approvato la costruzione di una tangenziale per gli insediamenti, nel nord della Cisgiordania, che comporterebbe l’appropriazione di migliaia di dunum di terra agricola palestinese.

Per questo progetto ha stanziato 76 milioni di shekel, ed è stato chiamato Lubban Bypass perché passa vicino al villaggio di Lubban, nel distretto di Salfit.

I coloni di Kochav Yaqoub hanno iniziato a creare un nuovo avamposto sulle terre della città di Deir Jarir, a est di Ramallah. Hanno allestito tende come preludio alla creazione di un avamposto di insediamento sotto la protezione delle forze di occupazione israeliane.

A Gerusalemme, i bulldozer israeliani hanno svolto, per la seconda settimana consecutiva, lavori di scavo nel cimitero dei martiri sul lato orientale del cimitero di Yusufiya, per costruire un percorso per il giardino biblico nell’area delle antiche mura. Il muro del cimitero adiacente alla Porta al-Asbat è stato demolito e le sue scale archeologiche sono state rimosse.

Ancora otto giorni e poi spetterà a Joe Biden dare un segnale concreto di discontinuità rispetto al suo predecessore. In politica estera, un impegnativo banco di prova per il neo presidente sarà il Medio Oriente, che nonostante gli “storici” “Accordi di Abramo”, resta una polveriera pronta ad esplodere. Sperando che il “piromane della Casa Bianca” non si trasformi, nei suoi ultimi giorni presidenziale, nel “Nerone” del Medio Oriente

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