In Libia la partita è a tre tra Putin, Erdogan e Haftar
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In Libia la partita è a tre tra Putin, Erdogan e Haftar

Una partita dalla quale l’Italia è da tempo estromessa per gli innumerevoli errori collezionati dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal suo improbabile ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Haftar, Putin e Erdogan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Dicembre 2020 - 15.48


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Il maresciallo contro il sultano. E sullo sfondo, il dominus del Mediterraneo: lo zar. E’ la partita libica. Dalla quale l’Italia è da tempo estromessa. Ed è esclusa non solo per gli innumerevoli errori, che Globalist ha puntualmente documentato, collezionati dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal suo improbabile ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Certo, il doppiogiochismo, sostenere il Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Sarraj e al tempo stesso flirtare con il suo nemico mortale, il maresciallo generale Khalifa Haftar, ha pesato, così come ha inciso l’assoluta mancanza di una visione strategica sul e per il Mediterraneo che fosse altro dall’ossessione di dover fermare una (inesistente) “invasione” di migranti. Tutto questo pesa ma non tanto quanto la verità che è emersa non solo nella guerra libica ma ancor prima in quella siriana: da tempo, ormai, l’unica “diplomazia” che incide nel Mediterraneo e in Medio Oriente, è quella delle armi. Putin, Erdogan al-Sisi l’hanno capito e praticato. E per questo, piaccia o no, sono gli attori principali sul teatro libico

Il maresciallo rialza la testa

Il maresciallo Khalifa Haftar, l’uomo forte della Libia orientale, ha invitato le sue forze a riprendere le armi per “cacciare l’occupante turco”, mentre sono in corso i colloqui per portare il Paese fuori dalla situazione di stallo.  “Dobbiamo ricordare oggi che non ci sarà pace in presenza di un colonizzatore sulla nostra terra”, ha ammonito il maresciallo in riferimento ad Ankara, il cui Parlamento ha approvato questa settimana una mozione che proroga di 18 mesi l’autorizzazione a schierare soldati in Libia.

“Riprenderemo quindi le armi per plasmare la nostra pace con le nostre stesse mani e, poiché la Turchia rifiuta la pace e opta per la guerra, preparatevi a scacciare l’occupante con la fede, la volontà e le armi”, ha detto in un discorso in occasione del 69 ° anniversario dell’indipendenza del Paese.  

In risposta al proclama di Haftar, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar è andato in missione in Libia con funzionari dell’esercito per ispezionare le unità militari turche nel Paese. Lo ha riferito l’agenzia statale Anadolu. “Un criminale di guerra, assassino, i suoi sostenitori devono sapere che saranno considerati un obiettivo in caso di attacco alle truppe turche” dislocate in Libia. Così ha tuonato Akar, incontrando i soldati a Tripoli. E al “criminale” della Cirenaica che aveva fatto appello ai suoi a riprendere le armi per “cacciare l’occupante turco”, la risposta è: “Se lo faranno poi non avranno un luogo dove scappare”, ha tuonato il ministro turco. 

La Turchia dal novembre 2019 ha siglato due accordi con il governo libico di Tripoli. Il primo per delimitare i confini marittimi, mentre il secondo stabilisce forme di cooperazione militare tra Ankara e Tripoli. E questo secondo accordo ha dato il via alla importante operazione militare con cui la Turchia di fatto ha salvato il governo di al-Sarraj dall’assalto della milizia di Haftar e dei suoi alleati. Dopo aver attaccato Tripoli nella primavera del 2019, nel giugno del 2020 il generale della Cirenaica ha cessato l’assedio alla capitale e ha fatto indietreggiare le sue truppe verso la città di Sirte, a metà della costa fra Tripoli e Bengasi.

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Il 24 dicembre le forze militari legate al governo di Tripoli hanno sottolineato la presenza di una importante mobilitazione da parte dell’Lna del generale Haftar che ha proseguito le sue operazioni militari sul fronte della Sirte e di al-Jufra operazioni queste che sarebbero — il condizionale è d’obbligo in contesti di tale natura — la legittima reazione alle recenti manovre militari  del Gna che si sarebbero attuate a est di Misurata con l’intenzione di portare un’offensiva decisiva proprio a Sirte e ad al-Jufra.

Queste importanti manovre militari, concordano gli analisti di geopolitica, dimostrano, per l’ennesima volta, il fallimento dei tentativi posti in essere da parte dell’Onu   di risolvere la questione libica, fallimento che è dimostrato sia dal fatto che Nikolai Mladenov — diplomatico bulgaro nominato a capo della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite (Unsmil) — ha rifiutato l’incarico proposto sia dalle dimissioni presentate dal precedente inviato dell’Onu Ghassan Salamé.

Gli uomini del generale della Cirenaica sono entrati in tutte le caserme e i luoghi rilevanti di Ubari, una piccola ma importante cittadina del Sud della Libia, la postazione più avanzata verso Ovest fra quelle controllate fino ad oggi dal generale.

Parlando all’agenzia Nova, il generale Ali al Sharif, uno dei leader militari delle forze del Gna, ha sostenuto che le ultime manovre delle forze di Haftar nel sud della Libia “arrivano su ordine della Francia, che cerca un controllo militare completo nelle zone ricche di petrolio, con l’obiettivo di rafforzare la sua presenza nella regione del Sahel e del Sahara”. Il generale del governo libico ha aggiunto “che le autorità francesi svolgono un ruolo negativo nel conflitto libico e continuano a sostenere direttamente le forze del generale Khalifa Haftar”.

Sempre Nova ha sentito un membro del Consiglio militare della città, Suleiman Hashim, che ha sostenuto che le unità dell’esercito di Haftar avevano preso il controllo di buona parte dei siti strategici della città già da qualche giorno e che oggi hanno solo completato la manovra. Secondo Hashem  la “Lna” di Haftar è anche andata oltre i confini della città, verso Nord e Est, fino a raggiungere l’area dal giacimento petrolifero di Sharara, uno dei più importanti di tutta la Libia. Sharara è un vasto campo in cui la Noc libica a stretto accordi con la spagnola Repsol, l’austriaca Omv, la Total francese e la Norvegese Equinor per estrarre più di 300 mila barili di petrolio al giorno.

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L’operazione non sarebbe stata cruenta, nel senso che gli attaccanti hanno avuto il tempo di rafforzarsi con aiuti giunti da Est, dalla Cirenaica, e hanno messo le forze del governo di Tripoli che difendevano Ubari nella condizione di non aver alternativa alla ritirata. Alcune unità della “brigate tuareg” guidate dal famoso generale Alì Kanna sono uscite dal centro di Ubari e si sono ritirate in direzione sconosciuta.

Con Sebha e Murzuq, la città è uno dei 3 centri più importanti del Sud della Libia. Questi 3 centri assicurano la possibilità di controllare tutti i campi petroliferi del Fezzan. E Haftar già controlla i pozzi e i terminal petroliferi dell’Est, in particolare nella “mezzaluna petrolifera”.

I grandi burattinai

Scrive Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della Sera, tra i pochi che la realtà libica l’hanno conosciuta e vissuta sul campo: “A meno di tre mesi del cessate il fuoco dichiarato tra Tripolitania e Cirenaica, grazie alla mediazione dell’Onu, sono oggi più che mai Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan a dettare le regole del gioco tramite i loro militari schierati nel Paese. S’indebolisce così la speranza della nascita di un governo unitario e cresce invece l’opzione di una divisione a metà del Paese sotto l’influenza a est russa e ad ovest turca. Almeno tre elementi sembrano condurre verso questo scenario. In primo luogo, la rinuncia del diplomatico bulgaro, Nickolay Mladenov, al ruolo di inviato speciale Onu per la Libia. Mladenov avrebbe dovuto cominciare il suo lavoro a gennaio, ma ha gettato la spugna adducendo “motivi personali e famigliari”. In realtà, era già stato criticato con durezza nei circoli legati al premier Fayez al- Sarraj del governo di Tripoli per essere ‘troppo legato’ agli Emirati Arabi Uniti, che sponsorizzano finanziariamente e militarmente l’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar.  Prima di lui era stato lo scorso marzo il politologo libanese Ghassan Salamè ad abbandonare l’incarico dopo tre anni di sforzi fallimentari. Resta dunque temporaneamente in carica la numero due della missione Onu, la diplomatica americana Stephanie Williams, che però vede seriamente pregiudicati i suoi tentativi di rilancio del dialogo.

A fronte dell’impasse diplomatico – rimarca ancora Cremonesi –  è da seguire invece con attenzione la ripresa dell’offensiva militare da parte di Haftar. Le sue colonne hanno occupato nelle ultime ore la città di Ubari nel deserto sud-occidentale. Al loro fiancò è rilevata la presenza russa. I suoi soldati minacciano adesso le aree petrolifere di Sharara. Nell’aprile 2019 Haftar aveva lanciato proditoriamente una violenta offensiva mirata a conquistare il sud della Tripolitania e poi prendere la stessa capitale. Ma l’intervento turco a fianco delle milizie legate a Sarraj aveva bloccato l’attacco lo scorso giugno. Ora il governo di Ankara rinnova il mandato del proprio contingente di altri 18 mesi”.

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E oltre al mandato, il sultano rinnova anche il “contratto” per i miliziani jihadisti al suo servizio, quelli che Erdogan ha utilizzato per portare avanti la pulizia etnica nel Rojava siriano ai danni della popolazione curda.

La telefonata liberatoria

Globalist non può essere tacciato di simpatie berlusconiane. Tuttavia, nella vicenda che ha portato alla liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo, dopo 108 trascorsi in quattro carceri di Bengasi, avevamo registrato la “sparata” del Cavaliere come tutt’altro che campata in aria. Silvio Berlusconi non aveva tutti i torti. A mettere lo zampino per la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo Vladimir Putin. Quella che sembrava essere solo una frase pronunciata dal leader di Forza Italia e captata in un retroscena de La Stampa, sembra essere proprio la realtà. È lo stesso quotidiano a citare fonti ben informate che confermano il coinvolgimento del presidente russo. I testimoni parlano di una telefonata giunta circa due settimane fa dal Cremlino alla base di Al-Rajma, città della Cirenaica dove si trova il quartier generale di Khalifa Haftar.

 Durante la conversazione Haftar  è stato “esortato” ad accelerare sul rilascio dei pescatori a Bengasi da 108 giorni.

Notate la finezza di quell’”esortare”… Lo zar non esorta, lui ordina, comanda, detta pure i tempi: “Libera quei pescatori entro Natale”. E così è stato.   Lo zar ha fatto presa in fretta sul generale, che dal canto suo ha utilizzato il sequestro dei pescatori per legittimare il suo ritorno dopo il fallimento del suo colpo di mano su Tripoli. Non solo, perché in cambio Haftar ha anche chiesto il sostegno russo e garanzie sul mettere un freno all’azione della Fratellanza musulmana nell’ovest del Paese (considerata da Haftar come un’entità terroristica ndr). A suggellare il suo trionfo, Haftar ha anche preteso la presenza in Libia, alla liberazione dei 18 uomini, del premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Due “trofei” da esibire.

E a Roma continuano a vantarsi. Ma di che?

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