Verità per Giulio Regeni, libertà per Patrick Zaki e sanzioni per l’Egitto

Nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo dell’Università di Cambridge si chiede a tutta l’Unione europea una “forte reazione” sulle ormai continue violazioni dei diritti umani in Egitto.

Macron e Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Dicembre 2020 - 15.59


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Verità per Giulio. libertà per Patrick.  Sanzioni per l’Egitto. Che risponde come ha sempre fatto: con impudenza e arroganza. 

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Un segnale da Bruxelles

Ieri, nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo dell’Università di Cambridge si chiede a tutta l’Unione europea una “forte reazione” sulle ormai continue violazioni dei diritti umani in Egitto. Il testo è stato approvato con 434 voti a favore, 49 contrari e 202 astenuti. Tutti gli italiani che hanno partecipato al voto hanno dato l’ok alla risoluzione che invita Bruxelles e i Governi nazionali ad avvalersi di tutti gli strumenti a disposizione – comprese, quindi, le sanzioni – per rispondere alle gravi violazioni. 

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Quella parola mai pronunciata a Roma

E’ la parola “sanzioni”. Il “ventaglio” delle possibili reazioni europee include certamente misure restrittive ai danni dei funzionari egiziani di alto livello responsabili delle violazioni più gravi. L’Aula chiede inoltre ai Paesi Ue di astenersi dal concedere riconoscimenti ai leader politici responsabili di violazioni dei diritti umani, come invece accaduto di recente con il conferimento della Legione d’onore a favore del presidente egiziano Abdel Fattah all-Sisi da parte del presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. Un gesto, quello dell’Eliseo, che ha portato a una forte indignazione anche a Bruxelles. 

Consegnare all’Italia gli assassini di Regeni

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L’approvazione del testo è stata subito accolta dal presidente dell’Europarlamento David Sassoli, che ha scritto su Twitter: “Vogliamo verità per Giulio Regeni e che gli assassini vengano consegnati alle autorità italiane” ma anche “che Patrick Zaki torni libero per riabbracciare i suoi familiari”. “Oggi il Parlamento europeo ha detto all’Egitto: nessun compromesso su verità, giustizia e diritti umani”, ha concluso il presidente.

Secondo il Parlamento europeo  la ricerca della verità è un “dovere imperativo delle istituzioni nazionali e dell’Ue”, chiamata ad adottare le azioni diplomatiche necessarie per assicurare tale onere. Gli eurodeputati fanno riferimento all’annuncio della procura di Roma del 10 dicembre che ha esposto le prove sul coinvolgimento di quattro agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano nel rapimento e nell’omicidio di Giulio Regeni, nonostante gli ostacoli alle indagini da parte delle autorità egiziane. I deputati hanno dunque chiesto all’Ue di esortare Il Cairo a collaborare e fornire gli indirizzi di residenza dei quattro agenti indagati, come richiesto dalla legge italiana, ed hanno espresso “sostegno politico e umano” alla famiglia Regeni nella ricerca della verità. 

Tra i promotori della risoluzione c’è Pierfrancesco Maiorino, giovane e combattivo europarlamentare Pd. In una intervista a Il Manifesto, Maiorino afferma tra l’altro: “Il Parlamento europeo ha dato un segnale molto chiaro. Non è una risoluzione all’acqua di rose”. E spiega: “È un pacchetto molto nutrito: fa riferimento alla necessità di sanzioni mirate a funzionari responsabili di violazioni di diritti umani e allo stop alla vendita di armamenti, un richiamo rivolto ai governi; condanna l’attribuzione di onorificenze a chi si macchia di abusi dei diritti umani; chiede la liberazione di Zaki e sostiene lo sforzo della famiglia Regeni e della Procura di Roma. Chiede cioè una svolta netta nei rapporti con l’Egitto alle istituzioni europee e agli Stati membri”.

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Quello lanciato dall’Europarlamento, sottolinea ancora nell’intervista Maiorino “È un messaggio politico rivolto innanzitutto all’Egitto di al-Sisi e a chi vuole la libertà. E poi alla Ue. È importante che il Consiglio d’Europa non lo lasci cadere nel vuoto e che la Commissione non ignori il parlamento. E chiede coerenza ai governi. Rivendichiamo e rivendicheremo il messaggio politico: vedremo cosa faranno i governi rispetto a una decisione condivisa su sanzioni e armi. Anche il nostro governo sia coerente, metta in campo azioni ineludibili di una pressione che giunga forte in Egitto”.

Ho visto Regeni in quell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone. Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando nella sua lingua, delirava. Era steso per terra, con il viso riverso. L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra”. Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5S, ha letto di fronte alla plenaria del Parlamento europeo le parole di uno dei principali testimoni che hanno assistito agli ultimi istanti di vita di Giulio Regeni.

 “Questi sono i trattamenti subiti ogni giorno da migliaia di attivisti, in un Paese in cui negli ultimi anni sono state condannate a morte 3mila persone, più di 60mila arrestate e incarcerate  sulla base di prove inconsistenti e processi di massa tra cui Patrick Zaki e gli altri operatori di EIpr – ha continuato Castaldo – Quanto a lungo volete restare silenti mentre un Paese con il quale abbiamo legami politici e commerciali si trasforma in un regime del terrore? È in gioco la nostra credibilità. Al Sisi deve rispettare i nostri principi, non esibire le nostre medaglie. Abbiamo un regime sanzionatorio da innescare in caso di severe violazioni dei diritti umani, non possiamo permettere doppi standard nel suo uso. Se non ora, quando? Vogliamo verità e giustizia per Giulio Regeni”

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Gesti simbolici: ognuno può fare il suo

E’ la lezione che giunge  da Vercelli, raccontata da La Stampa: “Quando si potrà di nuovo viaggiare, la mia agenzia non venderà vacanze in Egitto finché non verrà data libertà a Patrick Zaki e fatta chiarezza sull’omicidio di Regeni”. Lo scrive in un cartello appeso in vetrina Carlo Barbano, proprietario dell’agenzia Aiace Viaggi di corso Prestinari a Vercelli, in segno di protesta e per sensibilizzare le istituzioni affinché risolvano le due questioni, dell’attivista arrestato, torturato e rinchiuso in cella e del giovane ricercatore ucciso nel gennaio 2016, sulla cui morte non è stata mai fatta luce. Ed è ciò che chiede Barbano nel suo avviso: “Finché il governo egiziano non libererà Zaki, e non aiuterà a fare piena chiarezza sull’omicidio di Regeni compiuto dai servizi segreti di quel Paese, non si effettuerà neppure biglietteria aerea con destinazione Egitto”, dice Barbato a La Stampa, per poi aggiungere: “Il mio è un tentativo di smuovere le acque e risolvere questi due stalli. Ho apprezzato il gesto di Corrado Augias, che ha restituito alla Francia la Legion d’onore: se oggi dovessi andare in vacanza, andrei sicuramente in qualunque altro posto ma non in Egitto”. 

A Vercelli la maggioranza in Consiglio comunale pochi mesi fa aveva bocciato l’ordine del giorno del Pd con il quale invitava il sindaco a “chiedere una pronta azione alle istituzioni europee per dare libertà a Zaki”.

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Rappresaglia

La “rappresaglia de Il Cairo non si è fatta attendere. Neanche 24 ore dopo la risoluzione approvata dal Parlamento europeo, l’Interpol egiziana ha chiesto al governo italiano di consegnare Massimiliano Sponzilli, ex console onorario Luxor, e Ladislav Otakar Skakal, ex commissario per il commercio cittadini italiani, accusati dal Cairo di saccheggio e contrabbando di antichità egiziane.

Nel gennaio 2020, un tribunale egiziano ha condannato Skakal in contumacia a 15 anni di carcere e a una multa di un milione sterline egiziane. Secondo l’accusa, Skakal avrebbe contrabbandato quasi 22.000 manufatti di antichità egiziane tra il 2016 e il 2018 attraverso container della missione diplomatica italiana grazie alla complicità di Massimiliano Sponzelli. Un container è stato sequestrato dalla polizia italiana nel maggio 2018 e restituito in Egitto nel giugno 2019.

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Il caso coinvolge anche altri imputati tra i quali il fratello del ministro delle Finanze dell’era Mubarak, Youssef Botros Ghaly, condannato nel febbraio 2020 a 30 anni di carcere e a una multa di 6 milioni di sterline egiziane.

Dalle indagini è emerso che i manufatti erano stati ottenuti dal fratello dell’ex ministro e spediti in un container a nome del console italiano e, quindi, non sono stati sottoposti a ispezione perché soggetti a immunità diplomatica. Quella collezione comprendeva monete, vasi di ceramica di epoche diverse, parti di sarcofagi e oggetti del periodo islamico del Paese. I pubblici ministeri egiziani hanno anche trovato antiche reliquie egizie quando hanno perquisito la residenza di Skakal al Cairo.

Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi

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Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a decine di migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Un conteggio ufficiale non è stato fatto, ma attivisti per i diritti umani egiziani, con la garanzia dell’anonimato per non fare una brutta fine, hanno detto a Globalist che un conteggio in difetto, porta a non meno di 43.000 desaparecidos. Per comprendere l’enormità di questo crimine, va ricordato che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, sono scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali – 9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep) – su 40.000 vittime totali. 

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

Chi costruisce il suo potere su un sistema repressivo così radicato e tentacolare, non teme certo le parole. Ma le sanzioni, sì. Soprattutto economiche, vista la grave crisi in cui versa l’Egitto e il malessere e la rabbia sociali che il regime del presidente-carceriere prova a contenere con un mix di repressione e promesse che restano tali. Sanzioni mirate, dunque. Mirate ai conti bancari, all’estero, di quella nomenklatura militare-affaristica che si è arricchita sotto Mubarak e continua a farlo con al-Sisi. E poi, stop alla vendita di armi ad un regime che le usa per reprimere nel sangue le proteste interne e per dettar legge, in competizione con la Turchia del “sultano” Erdogan, in Libia, in Siria, nel Nord Africa tutto. 

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Sanzionare non è nelle prerogative dell’Europarlamento. Ma dei singoli Stati membri, sì. Il tempo delle parole è finito da tempo. E’ ora dei fatti. E’ ora delle sanzioni. E visto che Giulio Regeni era un cittadino italiano, e Patrick Zaki lo è “acquisito”, a fare da battipista sia l’Italia. Cosa però di cui continuiamo, noi di Globalist, ad avere seri dubbi, anche alla luce di un patto sottotraccia tra Roma e Il Cairo di cui si continua insistentemente a parlare in ambienti informati: la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo in cambio di un “silenzio” italiano sul caso Regeni. Il silenzio dei fatti. Ma questa è un’altra storia. Una brutta storia. 

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