Perché quella data da Macron ad Al-Sisi è la Legion del disonore
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Perché quella data da Macron ad Al-Sisi è la Legion del disonore

Dare una così alta onorificenza a un dittatore da parte di un paese che si professa patria dei diritti dell'uomo è cosa paradossale. Ma cosa è cambiato?

Macron e Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Dicembre 2020 - 11.57


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La Legion del disonore e il pentimento a scoppio ritardato. Nella tragica vicenda di Giulio Regeni, nell’assassinio di Stato (egiziano) di cui il giovane ricercatore friulano è stato vittima, c’è un capitolo dolente che ci porta a Parigi e nel Regno Unito. Un capitolo che racconta di presidenti piazzisti d’armi e di docenti dalle autocritiche pelose. Una storia che va raccontata.

La Legion del disonore

Scrive Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi del Corriere della Sera: “Una serata di gala, una cerimonia solenne all’Arco di Trionfo, le gigantesche bandiere nazionali al vento nell’esplanade des Invalides, un ricevimento al municipio di Parigi con la sindaca Anne Hidalgo, il conferimento all’Eliseo della Gran Croce della Legion d’Onore. Non male, per un dittatore accolto nella patria dei diritti dell’uomo”.

Che la cosa fosse alquanto imbarazzante l’hanno capito gli addetti stampa di Macron che hanno provato a “oscurare” il più possibile sul piano mediatico questo baciapilismo al faraone. Ma come dice un vecchio assunto: non tutte le ciambelle vengono col buco”. E nemmeno, visto che siamo in Francia, i croissant. A raccontarlo è sempre il bravo corrispondente del quotidiano di Via Solferino: “Perché a differenza dei media francesi – rimarca Montefiori –  la televisione di Stato egiziana ha trasmesso le immagini complete della visita del presidente al- Sisi a Parigi, senza limitarsi alla conferenza stampa.  Gli spettatori egiziani hanno così avuto modo di assistere al resoconto dei tanti eventi collaterali della visita, passati sotto silenzio in Francia e neppure menzionati nell’agenda del presidente Macron. Cerimonie e omaggi poco pubblicizzati a Parigi, ma fondamentali per il presidente al-Sisi, impegnato a costruirsi in patria un profilo di leader rispettato in Europa nonostante i circa 60 mila prigionieri per reati di opinioni detenuti nelle sue carceri.  Le immagini di quella imbarazzante realtà alternativa riservata al pubblico egiziano sono finite però anche davanti agli occhi degli autori della trasmissione francese Quotidien (in onda su Tmc), che hanno consultato il sito della presidenza egiziana. Il conduttore Yann Barthes, con il solito tono beffardo, ha spiegato che ‘oggi, per la prima volta, siamo dovuti andare sul sito di un regime autoritario per sapere che cosa succedeva all’Eliseo’. Ecco così l’arrivo di a- Sisi sul tappeto rosso dell’Eliseo, accolto da Emmanuel e Brigitte Macron, davanti alle telecamere egiziane ma non francesi. «E poi cosa volete ancora, forse le immagini della Francia che gli conferisce la Legion d’Onore? – chiede perfido il conduttore agli spettatori francesi -. Impossibile, direte voi… E avete ragione, perché state per vedere non la Legion d’Onore, ma la Gran Croce della Legion d’Onore, il grado più alto’, attribuita a tutti i leader in visita di Stato e quindi anche a dal- Sisi…”.

In difesa dei valori repubblicani?

Eppure – rileva in un documentato report dell’Ispi – sono passati solo due anni da quando, durante una visita nel paese arabo, Macron aveva stigmatizzato le violazioni dei diritti umani, facendo piombare nel gelo le relazioni bilaterali. Allora la mossa fu definita controproducente agli interessi dell’Eliseo, che tra il 2013 e il 2017 era diventato il principale fornitore di armi dell’Egitto, a cui aveva venduto poco meno di un miliardo e mezzo di euro di attrezzature militari e di sicurezza solo nel 2017. Ma oltre agli interessi commerciali, da allora, a rinsaldare l’alleanza tra i due paesi sono intervenute questioni spinose di politica interna: oggi il governo francese ha presentato la legge di “rafforzamento dei principi repubblicani”, in origine contro “il radicalismo” e “il separatismo” islamico. Una legge controversa, composta da 5 titoli e 57 articoli, che stabilisce regole e divieti in diversi ambiti: dalla creazione dei luoghi di culto all’indottrinamento e dagli attacchi contro il laicismo dello stato e la dignità delle persone. Il contesto in cui è stata concepita sono gli attentati terroristici di cui la Francia è teatro da anni e in particolare dal 2015, reso ancor più drammatico dal recente attentato di Nizza e dalla decapitazione del professore Samuel Paty e la polemica sulle vignette di Charlie Hebdo. Ma secondo i critici le misure rischiano di essere inefficienti a contrastare la minaccia terroristica mentre stigmatizzeranno ulteriormente i cittadini musulmani.

Annota Ugo Tramballi, tra i più autorevoli analisti di politica internazionale, già inviato di guerra del Sole 24 Ore: “È una linea sottile quella che separa – e raramente unisce – i valori morali dalle necessità economiche di un paese. Con l’Egitto dell’ex generale al-Sisi Italia e Francia, come ogni altro paese industrializzato e democratico, sono di fronte a questo dilemma. Emmanuel Macron ha deciso di risolverlo ignorando i valori e pensando esclusivamente al business. Il realismo impone che si debba invitare al-Sisi a una visita di Stato. Dignità nazionale e senso della misura avrebbero consigliato di evitare tappeti rossi, cena di gala e Legion d’Onore.

 Ma non è stata solo una débacle francese. L’umiliazione etica e politica di tanta munificenza verso l’autocrate egiziano, è dell’Europa. Se si arrende così un paese importante, che pretende di essere una guida della Ue, con quale coerenza potremo criticare il populismo illiberale di Ungheria e Polonia?”.

Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch, durante la visita del presidente egiziano, in Egitto, ha scritto un lungo e severo editoriale su Le Monde “le azioni contro l’EIpr – dice – sono arrivate sullo sfondo di un’altra mossa sfacciata dell’Egitto verso l’Ue, che sta negoziando un nuovo accordo di aiuti con l’Egitto. In tutto il mondo, questi accordi sono normalmente condizionati al rispetto dei diritti umani da parte del destinatario. In passato, il governo egiziano aveva regolarmente firmato tali accordi. Ma negli ultimi due anni, ha rifiutato questa condizionalità.”
“Roth – ricorda Francesca Mannocchi su l’Espresso – critica i governi occidentali, suggerendo che facciano troppo pochi sforzi per chiedere, imporre, il rispetto di standard elementari dei diritti umani. Come avevano già fatto, d’altronde, in seguito alla strage di Piazza Rabaa, quando in poche ore, nel 2013, l’anno del colpo di stato, 820 manifestanti dei Fratelli Musulmani furono trucidati dalle forze di sicurezza legate ad al-Sisi che allora era Ministro della Difesa”.

Scrive ancora Kenneth Roth a nome di Human Rights Watch “Sisi ha abilmente giocato la sua mano per fare appello agli interessi europei, presentandosi come un baluardo contro il terrorismo e le migrazioni, un amico di Israele e un prolifico acquirente di armi. I governi europei hanno accettato questo sporco affare al prezzo dei diritti e delle libertà del popolo egiziano. Ciò ha solo incoraggiato Sisi a mettere a tacere la manciata di voci indipendenti rimaste nel Paese.”

Silenzio imbarazzante

In questa storia c’è poi un paragrafo che riguarda noi, l’informazione italiana. Semplicemente imbarazzante. Imbarazzante che la notizia della Legion d’onore conferita al presidente-carceriere egiziano sia stata relegata a pochi trafiletti nelle pagine interne dei giornali italiani. Soprattutto nel contesto che stiamo vivendo con la procura di Roma, che appena  il giorno prima, aveva  indagato 4 ufficiali della sicurezza nazionale egiziana, con l’accusa di sequestro, tortura, omicidio di Giulio Regeni. Un’accusa che punta direttamente verso una conclusione: quello del ricercatore italiano fu un delitto di Stato. Anche perché, quello stesso Stato, semplicemente qualche giorno dopo ha deciso di mettere una pietra tombale su quello che stava accadendo, sostenendo che fosse impossibile che la Nsa egiziana avesse agito in questo modo e che il regime di al-Sisi non fosse informato. 

Autocritica a scoppio ritardato

Dalla Legion del disonore all’autocritica a scoppio ritardato. E qui ci spostiamo nel Regno Unito. Scrive Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera: “Della professoressa Maha Mahfouz Abdelrahman, docente di Giulio Regeni all’università di Cambridge che ne seguiva il lavoro in Egitto, i magistrati della Procura di Roma denunciano l’assenza di volontà di contribuire alle indagini relative al sequestrola tortura e l’omicidio di un suo studente; quali siano le ragioni di siffatta anomala condotta non è stato possibile, sino ad oggi, accertare”. Così ha scritto il pubblico ministero Sergio Colaiocco nell’atto finale dell’inchiesta arrivata nel Regno Unito. Tuttavia dal computer della professoressa, acquisito tramite l’autorità giudiziaria britannica, è saltata fuori una e-mail inviata a una collega canadese il 7 febbraio 2016, quattro giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio, in cui scriveva: ‘Ho mandato un giovane ricercatore verso la sua morte… Indicare alle persone come fare ricerca è qualcosa che, penso, sento di non dover più fare. Poche parole ‘rivelatrici — secondo il pm — non solo del rimorso della docente per la sorte toccata al suo ricercatore, ma anche della leggerezza che aveva caratterizzato la sua gestione del dottorando Regeni, soprattutto nella fase di invio sul campo’. Dal computer di Giulio messo a disposizione dai suoi genitori (‘una miniera di dati preziosissima per ricostruire i fatti, dimostrare la correttezza delle sue azioni in Egitto, smentire falsi testimoni e comprendere il movente dei fatti’, sottolinea la Procura) è venuto fuori, ad esempio, che era stata proprio Abdelrahman a suggerirgli di focalizzare studi e ricerche in Egitto sulruolo dei lavoratori nella rivoluzione nell’era post-Mubarak’, e in particolare sul ruolo dei sindacati autonomi, mentre lei ha affermato che fu un’iniziativa di Regeni. Altre ‘contraddizioni’ riguardano la scelta della tutor al Cairo, sulla quale Giulio nutriva perplessità, e soprattutto l’idea di chiedere un finanziamento alla ricerca di 10.000 sterline alla Fondazione inglese Antipode. ‘È un bando che Maha mi ha inviato un po’ di tempo fa’, scrisse lo studente alla madre il 14 novembre 2015. Nella ricostruzione della Procura di Rom – rimarca Bianconi – , quel finanziamento rappresenta un punto di svolta nel destino di Giulio. L’attenzione delle forze di sicurezza egiziane s’è moltiplicata dopo la scoperta che dietro i suoi contatti con gli ambulanti del Cairo poteva esserci Antipode. Lo disse anche il maggiore della National security Magdi Ibrahim Sharif, quando confessò al collega kenyota di aver arrestato Regeni: ‘Era appartenente alla Fondazione Antipode che spingeva per l’avvio di una rivoluzione in Egitto’. Non era vero, ma il solo fatto che Giulio parlasse di questa ipotesi ‘che non si concretizzerà mai’ è diventato, per l’accusa, ‘una delle concause della sua tragica fine’”.

Una brutta storia europea 

In decine di articoli e interviste, Globalist non ha mai risparmiato critiche, sempre motivate, rispetto all’atteggiamento accondiscendente, per usare un eufemismo, tenuto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e, soprattutto, dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, di fronte alle provocazioni a getto continuo che hanno costellato il comportamento delle autorità egiziane fin dall’inizio del caso Regeni. Ma questo non fa velo alla denuncia del comportamento da avvoltoi tenuto dai “fratelli-coltelli” francesi in questa vicenda e dall’omertoso atteggiamento delle autorità accademiche, e non solo, di Oxford. 

E’ una storia, questa, che non investe solo la tragica fine di Giulio Regeni o alla persecuzione giudiziaria di cui è vittima Patrick Zaki.  Essa, infatti, si allarga alla compiacenza, se non addirittura alla complicità, dimostrata dall’Europa nei confronti di autocrati che fanno strame dei diritti umani, incarcerando decine di migliaia di attivisti delle Ong, avvocati, giornalisti indipendenti, blogger, cantanti, parlamentari dell’opposizione, torturati e, in molti casi, fatti scomparire: al-Sisi. Erdogan, Bashar al-Assad, il generale Haftar…La “diplomazia degli affari” ha calpestato quella dei diritti umani e civili. E’ la vergogna dell’Europa. Una vergogna indelebile.

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