Quando per coprire le nefandezze di Netanyahu si dà dell'antisemita pure ai giornalisti israeliani
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Quando per coprire le nefandezze di Netanyahu si dà dell'antisemita pure ai giornalisti israeliani

Tanti bambini israeliani sono morti in attacchi terroristici. Li ho nel cuore. Ma ciò non significa giustificare, o lasciar cadere una cappa di silenzio, l’infanzia violata di migliaia di bambini palestinesi

Proteste in Israele contro Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Dicembre 2020 - 18.11


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Amira Hass, Gideon Levi, Zvi Bar’el, Anshell Pfeffer. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. E comprendere gli attivisti di B’tselem o di Peace Now. E i militari che a un certo punto hanno detto basta ad essere strumenti di occupazione. Hass, Levi, Bar’el, Pfefffer.

Sono alcune delle firme più prestigiose del giornalismo israeliano e di uno dei più autorevoli quotidiani d’Israele: Haaretz. Nei loro articoli hanno raccontato dei guasti dell’occupazione, della colonizzazione, dell’oppressione esercitata sul popolo palestinese. Sono per questo degli antisemiti? 

E lo sono scrittori o storici che non hanno mai smesso di battersi per riconoscere i diritti dell’altro da sé, senza per questo venir mai meno al loro orgoglio di essere ebrei e israeliani: penso ad Abraham Yeoshua, ai compianti Amos Oz e Zeev Sternhell, a David Grossman, che nell’ultima guerra in Libano ha pianto la morte di suo figlio Yoni. 

Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscerli, d’intervistarli, con qualcuno di loro di diventare amico. Sono anche loro antisemiti perché hanno preso posizione contro i guasti prodotti dalla colonizzazione dei Territori palestinesi occupati? E lo sono premi Nobel per la pace, come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter o l’eroe della lotta all’apartheid Desmond Tutu, che hanno raccontato del regime di apartheid che vige in Cisgiordania e degli effetti devastanti che oltre un decennio di assedio a Gaza ha provocato sulla vita di quasi 2 milioni di palestinesi, il 56% dei quali minorenni? 

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Chi scrive ha sempre pensato, comportandosi di conseguenza, che mai, mai, Israele andava criticato per quello che è (il focolaio nazionale ebraico che si fa Stato) , ma per quello che fa. Per le politiche portate avanti dai suoi governi, quando esse provocano sofferenza e umiliazione che non possono essere giustificate invocando il diritto di difesa. Tutto ciò non ha nulla a che fare con l’antisemitismo, un marchio d’infamia che non ci appartiene. Ai leoni da tastiera che imbracciano come un fucile questa spregevole parola, che affibbiano etichette infamanti, una sola cosa vorremmo chiedere: chi è un “vero amico d’Israele”? 

Chi avalla ogni scelta, chi chiude gli occhi di fronte a crimini documentati, o chi nel denunciare certi comportamenti, certe azioni, cerca di aiutarti a non sbagliare? A raccontare la “guerra” ai bambini palestinesi sono coraggiosi giornalisti israeliani, come Gideon Levy, a raccogliere testimonianze angoscianti sono organizzazioni come Save the Children.

Tanti bambini israeliani sono morti in attacchi terroristici. Li ho nel cuore. Ma ciò non significa giustificare, o lasciar cadere una cappa di silenzio, l’infanzia violata di migliaia di bambini palestinesi. Raccontare la loro sofferenza, le loro storie. In vita e in morte. Questo vuol dire essere antisemita?

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