Egitto, Zaki resta in carcere: per al-Sisi l'Italia è un punching ball
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Egitto, Zaki resta in carcere: per al-Sisi l'Italia è un punching ball

È stata rinnovata di altri 45 giorni la custodia cautelare al Cairo dello studente giziano dell'Università di Bologna sotto accusa per propaganda sovversiva: alla faccia dei buoni rapporti con l'Italia

Flash mob per la liberazione di Zaky
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Novembre 2020 - 17.05


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Alla faccia della collaborazione e dei buoni rapporti. Per il presidente-faraone d’Egitto, l’Italia e il suo Governo funzionano da punching ball. Un cazzotto dopo l’altro. Inferti con metodicità, con precisione chirurgica, accompagnati da promesse mai mantenute, da collaborazione proclamate ma mai avvenute. Con un disprezzo totale per i diritti umani. Resta in carcere Patrick Zaki.  È stata rinnovata di altri 45 giorni la custodia cautelare al Cairo dello studente egiziano dell’Università di Bologna sotto accusa per propaganda sovversiva: lo ha riferito una sua legale, Hoda Nasrallah, annunciando l’esito di un’udienza svoltasi ieri nella capitale egiziana. “Rinnovo di 45 giorni”, si è limitata ad annunciare l’avvocatessa. La legale di Zaki non ha saputo precisare la data precisa della prossima udienza che – calcolando 45 giorni da ieri – comunque dovrebbe cadere intorno a Capodanno e a ridosso del Natale che i copti (i cristiani d’Egitto come Patrick e la sua famiglia) festeggiano il 7 gennaio.

“Ho parlato con lui dieci minuti dopo l’udienza: sta bene ed è in buona salute”, ha detto ancora Hoda al telefono con l’Ansa.  Patrick Zaki “ha parlato davanti ai giudici circa i suoi studi e ha detto che è un bene per il Paese che uno dei suoi figli sia professore all’estero”, ha aggiunto l’avvocatessa.

Provocazione continua

Nei giorni scorsi, la Procura per la Sicurezza dello Stato egiziana ha disposto 15 giorni di custodia cautelare in carcere anche per un terzo e più importante dirigente dell’ong per cui lavorava Zaki: Gasser Abdel Razek, fermato ieri dopo l’arresto di altri due colleghi.  La custodia cautelare di Razek, direttore esecutivo dell'”Iniziativa egiziana per i diritti personali” (Eipr), è stata resa nota su Twitter dalla stessa ong per la quale Patrick, lo studente egiziano dell’università di Bologna in carcere da oltre dieci mesi in Egitto, è ricercatore in studi di genere. Razek era stato fermato ieri nella sua abitazione di Maadi, alla periferia est del Cairo, aveva precisato la sua ong in un tweet.

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Il fermo aveva seguito di un giorno l’arresto, avvenuto mercoledì, del direttore per la Giustizia criminale dell’Eipr  e quello, compiuto domenica, del direttore amministrativo, Mohamed Basheer. “È urgente assumere ogni iniziativa possibile per favorire il rilascio dei funzionari dell’Eipr arrestati e fermare questo attacco alla libertà. In questi giorni, inoltre, abbiamo assistito ad un attacco vergognoso di alcuni media vicini al governo nei confronti proprio di Gasser Abdel Razek e del fondatore di Eipr, Hossam Bahgat”, afferma Mohamed Lotfy, dirigente dell’Ecrf, l’organizzazione del Cairo che si occupa, tra gli altri, del caso Regeni

Abdel Razek è comparso davanti alla Procura per la sicurezza dello Stato una dozzina di ore dopo l’irruzione dei servizi nella sua casa ed inserito nel caso 855, lo stesso di Ennarah e Bashir. Identica l’accusa dunque: “Essersi unito ad un gruppo terroristico, diffondere false dichiarazioni che disturbano la sicurezza pubblicadanneggiare il pubblico interesse ed utilizzare un account online per diffondere false notizie“. Accuse pesantissime contro la prima organizzazione in Egitto a riconoscere i diritti Lgbt come diritti umani, lo stesso settore curato per quasi quattro anni da Patrick Zaki.

Ieri, subito dopo il fermo di Razek, l’ambasciatore d’Italia al Cairo, Giampaolo Cantini, insieme a numerosi capi missioni di altri Paesi non solo europei, aveva inviato una lettera al ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry per richiedere il rilascio dei dirigenti.

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Una lettera che nello Stato di polizia egiziano equivale a carta straccia. Così come suonano come l’ennesima presa in giro la nota della presidenza egiziana, secondo cui al-Sisi ha già impartito istruzioni “alle autorità egiziane di cooperare pienamente con le controparti italiane nelle indagini e di cercare di giungere alla verità” sul caso di Giulio Regeni. A riferirlo era stato ieri il portavoce della presidenza egiziana, ambasciatore Bassam Radi, parlando al telefono con l’Ansa.  Radi non ha voluto commentare indiscrezioni sul contenuto del colloquio di ieri fra Sisi e il premier Giuseppe Conte ma ha sottolineato la cooperazione giudiziaria “senza precedenti” fra le due magistrature.  “Nella storia” della magistratura egiziana “non era mai accaduto prima che ci fossero missioni all’estero per cooperare, tranne che nel caso Regeni”, ha detto il portavoce. “È senza precedenti, è la prima volta che accade nella storia del ministero della Giustizia e della Procura generale”, si è limitato ad aggiungere Radi. 

Silenzio assordante

Il prolungamento della detenzione di Zaki non è stato commentato dalla Farnesina. Un silenzio imbarazzato e imbarazzante. “Altri 45 giorni di detenzione preventiva per Patrick Zaki. Non ci sono parole per definire questo accanimento del potere giudiziario egiziano. Non ci sono parole per definire l’assenza di un’azione forte da parte del governo italiano”, scrive in un tweet Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

“Questi nove mesi e mezzo trascorsi – aggiunge Noury – che diventeranno ormai 11 con questo rinnovo di detenzione preventiva, chiamano in causa l’inerzia dell’Italia, l’assenza di un’azione forte. Mi chiedo cos’altro ci voglia dopo il rinnovo della detenzione di Patrick e tre arresti di fila dei dirigenti della sua organizzazione per i diritti umani (Eipr, ndr) per un’azione diplomatica molto forte nei confronti dell’Egitto”.
“Ieri – aggiunge Noury a proposito di Patrick – aveva detto in udienza che il suo Paese dovrebbe essere orgoglioso di aver un’eccellenza così ricca, così bella, all’estero in un master prestigiosissimo come quello dell’università di Bologna.
Evidentemente all’Egitto questo non importa, le eccellenze le lascia in carcere”.

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Il portavoce di AI Italia invoca un’”azione diplomatica molto forte nei confronti dell’Egitto”. Ma se dipendesse dall’attuale titolare della Farnesina, quelle di Noury, come quelle di Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio, resterebbero parole perse nel vento. Il vento della subalternità, oltre che dell’inettitudine. Perché Luigi Di Maio non è solo un ministro degli Esteri inadeguato, cosa chiara da tempo non solo a Bruxelles ma in tutta la comunità internazionale e allo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che sui dossier più caldi non fa toccare palla al “suo” ministro. Inadeguato e pure arrampicatore, maldestro, di specchi, con le sue continue giravolte diplomatiche, che hanno contribuito in misura non piccola a mettere fuorigioco l’Italia nelle partite che contano a livello internazionale. Basta parlare a “microfoni spenti” e con la garanzia dell’anonimato con fonti diplomatiche di primo livello per raccogliere un dossier enciclopedico sulle giravolte, le gaffe, le dichiarazioni improvvisate di cui Di Maio si è reso protagonista. Ma per rendere al meglio un ritratto di “Giggino”, più che le affermazioni di qualche nostra feluca, basterebbe guardare uno dei tanti video che  il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, gli ha dedicato. 

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