In onore di Liliana Segre: così parlò Elie Wiesel
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In onore di Liliana Segre: così parlò Elie Wiesel

Un'intervista a Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, che nei campi di sterminio di Auschwitz (vi perse la madre, il padre e la sorellina) e Buchenwald trascorse undici mesi.

Liliana Segre
Liliana Segre
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Ottobre 2020 - 10.55


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Le cronache sono piene di commenti, dichiarazioni, ringraziamenti per la lezione, l’ultima, della senatrice a vita Liliana Segre. Ha parlato ai giovani di ciò che fu l’orrore della Shoah e dell’importanza di non smarrire la memoria collettiva di ciò che di terribile l’uomo ha saputo compiere. E allora per ringraziare Liliana Segre per l’impegno di una vita, ho rimesso mano al mio archivio. E a questa intervista che è un omaggio a questa grande donna attraverso un grande uomo che non c’è più.

A volte, per ricordare occorre guardarsi indietro, e rileggere, alla luce dell’oggi, testimonianze che appaiono profetiche. Vale per l’intervista che concesse a l’Unità, e a chi scrive, Elie Wiesel , premio Nobel per la Pace 1986, che nei campi di sterminio di Auschwitz (vi perse la madre, il padre e la sorellina) e Buchenwald trascorse undici mesi. Wiesel è scomparso il 2 luglio del 2016. In una Italia dove l’antisemitismo e l’odio razziale è ancora vivo, come in Europa e ancor più negli Stati Uniti dei suprematisti bianchi, riproporre l’intervista a Wiesel, può aiutare a comprendere che “senza memoria non c’è futuro”.
“Ricordare è un investimento sul futuro e non solo un tributo alla memoria delle vittime di un tragico passato. Non possiamo, non dobbiamo dimenticare ciò che accadde nei lager nazisti. E che al fondo dell’Olocausto vi era il proposito di annientare gli ebrei, colpevoli di esistere: chi continua a negarlo infligge alle vittime dei campi di sterminio una seconda morte. Come non vedere che nel voluto oblio della memoria c’è chi cerca di costruire una nuova pratica dell’intolleranza?, così ebbe inizio quell’intervista. Sono passati diversi anni d’allora, anni nei quali in Italia l’odio verso il “diverso” si rivolgeva non solo contro gli ebrei ma contro i Rom, con assalti e azioni squadristiche contro i campi dove vivevano, soprattutto a Roma, ma l’attualità delle considerazioni di Wiesel è scioccante. Ricordare non è solo un tributo ai milioni di donne e uomini annientati nei lager. “L’antisemitismo e l’odio razziale, riflette Wiesel, segnano anche il nostro presente. “Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne esaltano le gesta”. “Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura – riflette il grande scrittore della Memoria – cosa ne faremo, lo trasformeremo in una fortezza?”.

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Professor Wiesel, in Italia sono riapparse scritte contro gli Ebrei che negano la Shoah. A un ragazzo di oggi che le chiedesse: cosa è stato l’Olocausto, che risposta darebbe?

“È stato il Male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò che ha caratterizzato quel periodo fu una determinazione assoluta nel pianificare e condurre a compimento l’annientamento di un popolo. Questo è stato l’Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la prima volta nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia della terra un popolo. Gli ebrei non furono perseguitati e sterminati per motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio, perché erano ricchi o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano colpevoli di esistere: questo è l’orrore incancellabile della Shoah”.

La memoria dell’Olocausto sembra smarrirsi: c’è chi afferma che ciò è un bene, che ricordare serve solo a perpetuare antiche divisioni.

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”No, no, sono assolutamente contrario. Dimenticare le vittime significa null’altro che infliggere loro una seconda morte! Una vera riconciliazione, inoltre, non può avvenire che a partire dal ricordo, preservando la memoria di ciò che furono quegli anni. È vero: oggi c’è chi esalta l’oblio, chi ritiene giunto il momento di archiviare il passato. A questa operazione sento il dovere morale di ribellarmi, ieri come oggi: perché per nessuna ragione al mondo è possibile cancellare la distinzione tra il carnefice e la sua vittima. Ed ancor oggi l’Olocausto insegna che quando una comunità viene perseguitata tutto il mondo ne risulta colpito”.

La diffidenza verso il diverso sembra oggi concentrarsi sui Rom

“Di nuovo dovrebbe sorreggerci la memoria: ricordo che nei lager nazisti morirono migliaia e migliaia di rom. Morirono assieme a milioni di ebrei. Non intendo entrare in polemiche politiche, ciò che voglio dire è che l’Europa ha un debito verso la popolazione rom. Questa consapevolezza dovrebbe guidare la definizione di politiche di integrazione, il che naturalmente non significa giustificare comportamenti malavitosi che riguardano la persona, il singolo individuo e non l’etnia di appartenenza. Mi lasci aggiungere che la multietnicità propria delle società moderne non va vissuta come un pericolo bensì come un valore, una opportunità comune di crescita, ma perché questa aspirazione si trasformi in realtà compiuta è necessario far vivere una cultura della solidarietà che è qualcosa di più ricco e impegnativo di una cultura della tolleranza. Sento parlare di classi separate per bambini immigrati, di sbarramenti…, ma una società multietnica pienamente democratica, deve abbattere i ghetti e non realizzarne di nuovi. L’inclusione non è nemica di un comprensibile bisogno di sicurezza”.

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Per chi ha vissuto l’esperienza dei lager nazisti ha un senso la parola “perdono?

“È la domanda che ha accompagnato la mia esistenza di sopravvissuto. Ma parole come perdono o misericordia non trovano posto nell’inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka…. No, non è possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne esaltano le gesta. In tutti questi anni che mi sono stati concessi di vivere, ho pregato più volte Dio e la preghiera è la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: “Dio di misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen… Non perdonare coloro che qui hanno assassinato. Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco, perché noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il colpevole è colpevole. I nostri aguzzini volevano cancellare la nostra identità, prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra identità”.

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