Il piano di Netanyahu in Israele per l'emarginazione dei palestinesi
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Il piano di Netanyahu in Israele per l'emarginazione dei palestinesi

“Bibi e quello schermo diviso”. Potrebbe essere il titolo di un thriller, è invece la sintesi di una riflessione di una delle firme storiche del giornalismo israeliano: Chemi Shalev, analista di punta di Haaretz.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Settembre 2020 - 10.57


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“Bibi e quello schermo diviso”. Potrebbe essere il titolo di un thriller, è invece la sintesi di una riflessione di una delle firme storiche del giornalismo israeliano: Chemi Shalev, analista di punta di Haaretz.

Quale è il valore reale degli accordi di pace tra Israele ed Emirati Arabi Uniti? E ancora: quanto questi accordi modificano il quadro mediorientale? Il risultato portato a casa dalla Casa Bianca potrà far risalire la popolarità di Benjamin Netanyahu scesa ai livelli più bassi per la pessima gestione dell’emergenza sanitaria? Sono domande pregnanti, alle queli Shalev dà risposta con questa analisi su Haaretz che Globalist offre ai lettori italiani.

“I testi integrali del ‘Trattato di pace’ di Israele con gli Emirati Arabi Uniti, la ‘Dichiarazione di pace’ con il Bahrein e la ‘Dichiarazione degli Accordi di Abramo’, che ha un’eco sdolcinata e comune, approvata dagli Stati Uniti, sono destinati ad essere accolti e abbracciati dalla stragrande maggioranza degli israeliani – annota Shalev -.  Se si ignorano le notizie e le voci di presunti accordi segreti e di presunte concessioni nascoste che avrebbero facilitato gli accordi, Benjamin Netanyahu ha raggiunto accordi diplomatici da sogno che promettono grandi benefici a costi minimi. Cosa c’è di non gradito? Gli accordi danno agli israeliani una ‘normalizzazione’ autentica, completa e immediata, diversa da qualsiasi cosa abbiano sperimentato o persino sognato. Gli accordi fanno intravvedere la prospettiva di attingere a miliardi di petrodollari del Golfo, in attesa di essere investiti nell’industria e nella tecnologia israeliana. E dopo settimane di intensa segretezza da parte di Netanyahu e di sospetto da parte dei media, la montagna, come ha scritto Esopo, ha dato vita a un topolino. Le citazioni obbligatorie del conflitto israelo-palestinese, che in teoria avrebbero potuto sconvolgere il fianco destro di Netanyahu, si sono rivelate blande e benigne. Corredato di banalità e generalità equivalenti alla maternità e alla torta di mele, il capitolo palestinese dell’accordo dovrebbe essere facilmente digeribile per tutti tranne che per i più marginali e radicali.

L’emarginazione dei palestinesi è stata evidenziata nella loro completa assenza dai discorsi festivi pronunciati alla cerimonia di firma di martedì alla Casa Bianca sia da Netanyahu che da Donald Trump. Ed è probabilmente per questo che Hamas ha deciso di marcare l’occasione con una raffica di razzi Qassam lanciati su Ashkelon e Ashdod subito dopo che Netanyahu ha terminato il suo discorso, ricordando agli israeliani che mentre fanno ‘pace’ con esotici principati arabi a migliaia di chilometri di distanza, i palestinesi rimangono nemici scontenti e senza diritto di voto appena oltre la loro porta di casa.

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Lo schermo diviso

La giustapposizione di nuove opportunità del Golfo con le vecchie minacce palestinesi ha creato quello che molti primi ministri israeliani, tra cui Netanyahu, sono venuti a temere di più durante i loro viaggi all’estero: lo schermo diviso. Il contrasto tra l’élite festante e ben curata che celebra la pace nel South Lawn e gli israeliani travolti dalle bombe, circondati dalle macerie lasciate da un razzo esploso ad Ashdod dopo aver evitato l’Iron Dome (il sistema di intercettazione missilistica in dotazione da Israele, ndr) , non era che una delle tante realtà che hanno piovuto sulla parata di Netanyahu e che hanno appannato la sua impresa diplomatica, altrimenti stellare.

Allo stesso modo, lo schermo avrebbe dovuto dividersi in tre: La battaglia persa di Israele contro la pandemia del coronavirus, che ha segnato 5.000 nuovi casi solo martedì e che ha visto il completo collasso del suo apparato sanitario, meritava una fatturazione alla pari con la stravaganza della Casa Bianca e la carneficina nel Sud. Soprattutto dopo che Netanyahu si è adeguato alle bizzarrie del coronavirus di Trump, abbandonando le maschere e l’allontanamento sociale imposto dal suo stesso gabinetto per evitare di causare anche la minima offesa o imbarazzo al suo benefattore e padrone di casa americano.

Lo spettro dei vertici americani che si fanno apertamente beffe delle misure di sicurezza vitali e mettono così in pericolo se stessi e gli altri mortificano gli spettatori internazionali, temperando il loro già tiepido apprezzamento per gli accordi di pace senza palestinesi che sono stati firmati. È stato un duro promemoria che, anche quando la sua amministrazione può giustamente vantarsi di un risultato oggettivamente impressionante, è sempre accompagnato dallo squilibrio distruttivo di Trump.

Sottomettendo la loro ben nota paura personale del contagio e scartando le misure di sicurezza ritenute vitali dal governo israeliano, Netanyahu, sua moglie Sara e l’intera delegazione israeliana ai colloqui hanno implicitamente appoggiato l’approccio ignorante e arrogante di Trump alla pandemia di coronavirus. Il loro comportamento, che sembrava sconsiderato agli spettatori a casa, ha sminuito la precedente affermazione di Netanyahu secondo cui le ‘raccomandazioni professionali’ imponevano che egli si recasse a Washington su un jet privato per garantire la sua salute e la sua sicurezza, una decisione che alla fine si è rovesciata di fronte alle proteste indignate dei media e dell’opinione pubblica.

Simbolicamente, la resa di Netanyahu ai capricci letali di Trump è arrivata proprio il giorno in cui il numero di morti per malattia negli Stati Uniti ha superato il triste traguardo dei 200.000 e il libro Rage di Bob Woodward, compresa la confessione registrata di Trump che ha deliberatamente minimizzato i pericoli mortali della pandemia, è stato pubblicato e consegnato a centinaia di migliaia di lettori accaniti. Non c’è da stupirsi che, a differenza delle reti giornalistiche israeliane che hanno dedicato ore e ore di copertura alla festa della Casa Bianca, le loro omologhe statunitensi si siano rapidamente allontanate dalla stravaganza presidenziale, vedendola come una fantasiosa distrazione dalla triste realtà della pestilenza nazionale, degli incendi sulla West Coast e di una campagna elettorale sempre più controversa.

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Anche i più accaniti sostenitori israeliani di Netanyahu e delle sue offerte di pace hanno dovuto chiudere un occhio sulla miriade di stranezze e anomalie di Trump per apprezzare il momento storico. Hanno dovuto sorvolare sulla ridicola affermazione di Trump secondo cui il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti avrebbero deciso di fare la pace dopo essersi stancati della guerra con Israele, anche se in passato non si erano mai scontrati. Hanno dovuto mettere da parte la perplessità e la preoccupazione per gli strani e frequenti riferimenti di Trump a un accordo nucleare con l’Iran che poteva essere raggiunto entro un mese dalla sua rielezione, tema che ha insistito a sottolineare, con un pizzico di sadico tormento, mentre un Netanyahu, ovviamente scontento, sedeva impotente al suo fianco nello Studio Ovale.

Ciononostante, molti israeliani sono rimasti colpiti dalla cerimonia, almeno in parte perché lo stesso Netanyahu, per una volta, sembrava veramente entusiasta. La cerimonia ha segnato il suo coronamento diplomatico, anche se Netanyahu è stato superato da un determinato Jared Kushner (il consigliere-genero di Trump, ispiratore della politica mediorientale del tycoon, ndr) Re costretto a rinnegare la sua promessa di annettere i territori della Cisgiordania. Il discorso sull’annessione, che ha dominato la narrazione israeliana nella prima metà dell’anno, è quasi scomparso dall’agenda pubblica, a parte i coloni ebrei che si sentono ingannati e traditi.

Netanyahu, in fondo, stava realizzando il suo sogno di stringere un’alleanza anti-iraniana guidata dagli Stati Uniti con gli sceicchi petroliferi sunniti: dimostrando la sua tesi, da tempo sostenuta, che la pace si può avere senza i palestinesi; e dimostrando ai suoi critici, almeno nella sua stessa mente, che nonostante le sue posizioni di presunto duro-destra, anche lui era un pacificatore storico che meritava lo stesso tipo di riverenza accordata a Menachem Begin e Yitzhak Rabin.

Lo zampillante entusiasmo di Netanyahu ha suscitato sontuosi elogi per Trump, che si è avvicinato a un’approvazione aperta che avrebbe potuto essere validamente vista come un intervento improprio nella campagna elettorale degli Stati Uniti. Netanyahu si è seduto in silenzio nello Studio Ovale, mentre Trump ha violato il protocollo, sfruttando l’opportunità di attaccare ‘Sleepy Joe’ e si è astenuto dall’intervenire per organizzare un incontro con il candidato democratico, dopo che Trump, secondo notizie non confermate, ha minacciato di punire Israele se l’avesse fatto.

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Fortunatamente per Netanyahu, è improbabile che Biden protesti contro l’affronto di Bibi, supponendo correttamente che l’incontro possa essere stato imbarazzante per entrambi, che uno scontro pubblico con il leader israeliano non gli farebbe bene e che avrà abbastanza tempo per trattare con Netanyahu se e quando prenderà il controllo della Casa Bianca.

La possibilità, se non la probabilità, della vittoria di Biden non poteva essere lontana dalla mente di Netanyahu.  L’emozione nella sua voce mentre si rivolgeva al pubblico della Casa Bianca era insolita e palpabile. Netanyahu deve aver capito che il suo momento di gloria poteva essere interpretato a posteriori come un triste addio ai suoi bei vecchi tempi con Trump, prima di imbarcarsi in acque inesplorate e potenzialmente pericolose con Biden.

Netanyahu, tuttavia, non poteva soffermarsi troppo su quella che potrebbe essere la sua storia d’amore condannata con il Presidente degli Stati Uniti. Torna a casa da un pubblico scontento e chiaramente frustrato per il suo fallimento nell’arginare la pandemia del coronavirus e sempre più infuriato per le contromisure imperfette e confuse del governo, mentre il primo ministro si prepara al suo ultimo tentativo di evitare il processo penale, che si aprirà a gennaio.

Netanyahu è ancora più propenso a indire elezioni anticipate, sperando di ottenere la maggioranza assoluta della Knesset che gli permetta di legiferare per uscire dal suo pantano legale. Il primo ministro brandirà le sue credenziali come lo statista capo che ha consegnato l’agognata ‘pace per la pace’ senza pagare il prezzo richiesto, ma sarà perseguitato dallo schermo diviso che ricorda agli israeliani i suoi abietti fallimenti in patria”.

Così Shalev. E in quello schermo-specchio diviso, Netanyahu vede riflessa una immagine di sé che certo non era quella, del più bello del reame,  che avrebbe voluto vedere: invece di passare alla storia, magari con tanto di Nobel per la pace, come Rabin e Begin, potrebbe passarci come il primo ministro che ha costretto gli israeliani a chiudersi in casa per settimane che neanche Saddam Hussein con i suoi missili…

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