Libia, i disperati del Mediterraneo non hanno pace

In Libia, l’inferno è ancora il presente, la pace una chimera proiettata in un futuro senza tempo.

Migranti in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Agosto 2020 - 16.59


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“Sospinti dalla risacca, i cadaveri vengono trascinati sulle spiagge non lontano da Tripoli. Pescatori e operatori della Mezzaluna Rossa li rinchiudono pietosamente nelle sacche di plastica nera. Anche stavolta ne sono servite diverse di piccole e bianche. Quattro stragi in meno di una settimana: più di 100 morti e altre 160 persone sparite dopo aver preso il largo. Mentre dal Dipartimento di Stato Usa arriva un dossier che accusa ancora una volta il governo centrale di aver chiuso un occhio e non di rado perfino di cooperare con i trafficanti…”.

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Così Nello Scavo su l’Avvenire. Altro che pacificazione della Libia, come i media compiacenti avevano salutato l’accordo di cessate il fuoco raggiunto dal capo del Governo di accordo nazionale (Gna), Fajez al-Sarraj e il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh. Accordo peraltro rigettato dall’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. 

In Libia, l’inferno è ancora il presente, la pace una chimera proiettata in un futuro senza tempo.

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Omertà e complicità

“Le promesse di indagini e arresti in Libia contro i trafficanti si sono rivelate un fiasco – annota ancora Scavo –  Pochi giorni fa il Dipartimento di Stato Usa ha completato il rapporto annuale sul traffico di persone nel mondo. «Il governo di Tripoli – si legge nel duro capitolo sulla Libia – non ha riferito se ha perseguito o condannato persone coinvolte nelle indagini su 205 sospetti trafficanti avviate dall’ufficio del procuratore generale”. 

E se è vero che “gli osservatori internazionali hanno continuato a segnalare la complicità di funzionari governativi coinvolti in operazioni di traffico di esseri umani e traffico di migranti, inclusi funzionari della Guardia costiera libica, ufficiali dell’immigrazione, funzionari della sicurezza, funzionari del ministero della Difesa, membri di gruppi armati formalmente integrati nelle istituzioni statali”, è oramai accertato che “vari gruppi armati, milizie e reti criminali si sono infiltrati nei ranghi amministrativi del governo e hanno abusato delle loro posizioni per impegnarsi in attività illecite, compreso il traffico di esseri umani». Secondo i funzionari del Dipartimento Usa “alcune unità della Guardia costiera libica (Lcg) che sotto l’autorità del Ministero della Difesa, sono presumibilmente composte da ex trafficanti di esseri umani e contrabbandieri. In particolare anche durante il 2019, periodo a cui fa riferimento il dossier, “l’unità della Libyan coast guard(Lcg) nella città di Zawiyah ha continuato ad avere ampi legami con il leader della milizia della Brigata dei Martiri al-Nasr, nota per aver commesso violazioni dei diritti umani, che gestiva il centro di detenzione per migranti di Zawiyah»” Si tratta della milizia a cui appartiene il comandante al-Milad, detto Bija. «I membri della milizia che gestiscono il centro di detenzione – si legge ancora – hanno abusato fisicamente dei migranti detenuti e venduto alcune donne migranti per schiavitù sessuale. Alla fine del 2019 il centro è stato trasformato in una caserma dell’esercito per le milizie, mettendo ulteriormente in pericolo i migranti detenuti e le vittime della tratta”.

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I volontari del servizio telefonico di emergenza dopo varie chiamate avevano ascoltato le urla disperate. Il racconto dei sopravvissuti è filtrato attraverso le carceri libiche. Hanno raccontato di essere stati avvicinati da un motoscafo con cinque uomini armati a circa 30 miglia da Zuara. Hanno chiesto la consegna del telefono satellitare e del motore, con la promessa che li avrebbero trainati in salvo.

Ma al momento di sganciare il motore sarebbe nata una colluttazione. Così dal motoscafo hanno sparato contro le taniche di carburante provocando un incendio e l’affondamento del gommone. Alla fine si conteranno oltre 40 morti annegati. Non è la prima volta che a Zuara le milizie, che fungono anche da polizia marittima e sorvegliano le piattaforme petrolifere, usano motoscafi veloci per colpire i migranti che si erano affidati ai trafficanti delle cosche concorrenti. Così sarebbero partiti dei colpi in direzione del gommone, facendo finire in acqua decine di persone. 

L’appello di Msf

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“Per l’ennesima volta ripetiamo che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove portare le persone intercettate in mare – è invece un luogo in cui violenza, brutalità, repressione e privazioni sono condizione quotidiana per migliaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo – afferma Sacha Petiot di Medici senza frontiere – – aspettiamo da tempo che vengano bloccate le politiche di rimpatrio forzato in Libia. L’Ue deve supportare un meccanismo di ricerca e soccorso efficace nel Mediterraneo e un sistema sostenibile di sbarco in porti sicuri, invece che incoraggiare respingimenti illegali, e vanno riattivate urgentemente vie legali e sicure come il programma di evacuazione e reinsediamento dell’Unhcr”.

“La soluzione di riportare o utilizzare la Libia come frontiera esterna dell’Europa, così come la Turchia per i siriani, non è rispettosa dei diritti delle persone. Con tante altre associazioni chiediamo da tempo di procedere all’evacuazione dei centri di detenzione libici ed elaborare percorsi alternativi e in sicurezza, come i corridoi umanitari, per sottrarre le persone ai trafficanti”, gli fa eco, in una intervista al Sir, padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli di Roma, il servizio dei gesuiti in aiuto ai richiedenti asilo e rifugiati.

“Nel Mediterraneo si sta consumando da anni una tragedia che – nessuno può più ignorare. Decine di migliaia di migranti morti nel tentativo di raggiungere le coste europee o intercettati dalla guardia costiera libica e rinchiusi in veri e propri lager, sottoposti a terribili violenze e torture, quando non venduti come una qualsiasi mercanzia ai trafficanti di esseri umani.
L’indignazione, da sola, non basta più. E’ il tempo di agire, chiedendo con tutti i mezzi di cui disponiamo l’annullamento dei famigerati accordi con la Libia, a partire dalla fine dei finanziamenti agli aguzzini della c.d. guardia costiera libica, dalla chiusura dei lager, trasferendo i migranti lì detenuti in paesi che garantiscano il rispetto dei diritti umani, alla individuazione di corridoi umanitari per attraversare senza pericoli il Mediterraneo. Avevamo sperato che il nuovo governo cambiasse radicalmente le proprie politiche sui migranti che fuggono da fame, violenze, guerre. Così ancora non è. Di fronte alle tragedie che continuano a consumarsi è tempo di dire basta, adesso”.

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E’ il testo del comunicato con cui La campagna “Io accolgo” ha aderito all’appello “I sommersi e i salvati” lanciato da Luigi Manconi, Roberto Saviano, Sandro Veronesi e sottoscritto da intellettuali, ong, associazioni e tanti cittadini e cittadine.

E’ passato un mese da quell’appello. La risposta della politica è stata il rifinanziamento della Guardia costiera libica.

Sarraj rimpasta

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Intanto, a seguito delle proteste scoppiate a Tripoli, è quasi certa una nuova composizione del governo in Libia. Si tratta di un tentativo del presidente del Consiglio libico, Fayez al-Sarraj, di fermare accuse e critiche contro la corruzione e il peggioramento della qualità della vita in Libia. I libici sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni dell’attuale governo e la risposta delle autorità è stata smisurata. Le Nazioni Unite hanno criticato l’uso eccessivo della forza per contenere le proteste.

Così, in un discorso trasmesso ieri sera, il capo del Governo di accordo nazionale (Gna) ha anche detto che potrebbe dichiarare l’emergenza, per formare un nuovo esecutivo di crisi: “Non permetterò che la legittimità precipiti facendo entrare la Libia in un tunnel”. Al-Sarraj ha anche assicurato che tutto il territorio libico è sotto il suo controllo, ma che per assicurare la stabilità è urgente il rimpasto di governo, anche senza tenere conto della posizione di alcuni gruppi ribelli. Nessun accenno alle tragedie in mare e nessun impegno a chiudere i lager, controllati dalle forze a lui fedeli, da parte di al-Sarraj. Ma non c’è da stupirsi di questo. Sarraj è andato a lezione dal suo sponsor principale, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. E il Sultano di Ankara sa bene che i migranti rendono bene come arma di ricatto puntata contro l’Europa. L’allievo libico ha imparato la lezione. E intende farla fruttare.

 

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