Erdogan senza vergogna: ha riempito la Libia di ex al-Qaeda ma ora chiede il ritiro dei mercenari
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Erdogan senza vergogna: ha riempito la Libia di ex al-Qaeda ma ora chiede il ritiro dei mercenari

Lui accusa i russi al soldo di Haftar ma non parla dei miliziani jihadisti che in Siria si erano macchiati di crimini orrendi e che ha mandato a sostenere il governo di Tripoli

Miliziani jihadisti filo-turchi
Miliziani jihadisti filo-turchi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Luglio 2020 - 13.54


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Ha riempito la Libia di migliaia di miliziani jihadisti che in Siria si erano macchiati di crimini orrendi, prima nelle fila di al-Qaeda e successivamente al comando del “Sultano” di Ankara, al secolo il presidente-padrone della Turchia, Recep Tayyp Erdogan.

Senza vergogna

Se c’è una cosa che Erdogan ha dimostrato ampiamente di non conoscere, questa cosa à la vergogna.

Eccone l’ultima, in ordine di tempo, riprova. “I mercenari responsabili del bagno di sangue” in Libia devono lasciare il Paese, la comunità internazionale deve sostenere il governo legittimo di Tripoli, fermando i “golpisti che hanno commesso crimini di guerra”. E’ la sintesi della posizione sulla Libia del presidente turco  ribadita in un’intervista alla rivista “Kriter”. “La comunità internazionale dovrebbe fare la scelta di sostenere il governo legittimo in Libia e fermare i golpisti che commettono crimini di guerra – ha scandito Erdogan in un riferimento al generale Khalifa Haftar, che pure non nomina – I mercenari che hanno trasformato il Paese in un lago di sangue dovrebbero andare via una volta per tutte”.

Ed ancora; “Dare un’immediata stabilità alla Libia non è solo interesse della Libia ma dell’intera regione – ha sottolineato il presidente turco, che nel novembre scorso ha fatto intervenire il suo Paese al fianco del governo di Tripoli contro il generale della Cirenaica, rovesciando le sorti della guerra – Il rafforzamento politico ed economico della Libia sarà di benefici anche per il Nord Africa e per l’Europa”. In Libia, al fianco di Haftar sono stati schierati migliaia di mercenari provenienti dalla Russia ma anche dal Sudan, mentre al fianco del Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al-Sarraj sono arrivati mercenari siriani filoturchi.

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L’impronta islamo nazionalista

Ed è in questa chiave, quella di un sempre più aggressivo islamo nazionalismo, che si inquadra l’operazione Santa Sofia, il cui senso, politico ed identitario ed è stato così efficacemente sintetizzato. La sintesi dello scrittore e premio Nobel per la letteratura turco Orhan Pamuk:

“Trasformare [Hagia Sophia] in una moschea significa dire al resto del mondo: Purtroppo non siamo più secolari. Ci sono milioni di turchi secolari come me che stanno piangendo contro questa decisione, ma le loro voci non vengono ascoltate.”

Tradotto, significa che Erdogan sta costruendo una Turchia arroccata sul nazionalismo islamico, strumentalizzato per costruire un’identità nazionale sempre più in contrasto con i nemici: Europa, Stati Uniti, Russia.

“Erdogan cerca di creare l’immagine di una civiltà islamica di nuovo in ascesa”, sostiene Yuksel Taskin, politologo della Marmara University, ma rischia di far precipitare il paese nell’instabilità.

In questo modo il “Sultano” vuole andare avanti con le sue battaglie per conquistare il Mediterraneo, la Libia, le risorse energetiche europee

Erdogan parla e agisce sempre più come il player centrale nella partita libica non solo sostenendo al-Sarraj contro il generale Haftar. Le mire espansionistiche della Turchia sono ormai palesi: conquistare le risorse energetiche di Tripoli e del Mediterraneo. Una cosa è certa la Turchia sarà sempre più presente nel territorio libico. La “conquista” della Libia è parte di quel disegno imperiale neo-ottomano che Erdogan sta portando avanti con assoluta e cinica determinazione.

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La torta petrolifera

Ciò che sta davvero accadendo in Libia è la “Grande spartizione” tra il Sultano e lo Zar. Russi e turchi sono pronti a spartirsi la Libia e a esercitare la loro crescente influenza nel Mediterraneo Occidentale. E’ questo che dicono le manovre aeronavali turche a largo delle coste libiche e lo schieramento dei jet russi nella base di Jufra che, secondo alcuni, hanno parzialmente sostituito i mercenari della Wagner. Ankara vuole insediarsi in Tripolitania, Mosca punta a farlo in Cirenaica. Ma dopo mesi di una campagna militare impantanata, la Russia ha ritirato il suo supporto decidendo di negoziare con Ankara i futuri assetti del paese e le relative zone di influenza. Tutto è dunque deciso? Non ancora, si legge in una documentata analisi analisi dell’Ispi, perché ci sono temi su cui i due paesi, entrambi impegnati in Libia, si trovano su sponde decisamente opposte: la Russia vuole fermare l’avanzata delle forze di Tripoli prima che raggiungano Sirte e, soprattutto, vuole garantirsi un avamposto militare in Cirenaica. Ankara frena, e dalla sua posizione di forza cerca di assicurarsi la base di Al Watyah e il porto di Misurata, rispettivamente a ovest e a est di Tripoli. Dagli equilibri che si raggiungeranno dipende l’assetto della Libia di domani che, ancora una volta, non si deciderà né a Tripoli né a Bengasi, prosegue il documento. Da tempo infatti quella in Libia si è trasformata in una guerra per procura dove sono gli attori esterni , regionali, e globali, ha determinarne gli scenari e i possibili compromessi.

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Siriani contro siriani

Fonti americane hanno rivelato a inizio maggio che Mosca stava contrattando con Damasco una fornitura di uomini e armi per Haftar in Libia. A maggio sarebbero stati reclutati circa 900 uomini e altri 650 sono in campi di addestramento siriani, pronti a essere inviati a combattere in Libia per 1.000-2.000 dollari al mese. Si tratterebbe, secondo Reuters, di ex membri dell’Esercito libero siriano che si sono arresi al regime di Bashar al Assad e che combatteranno contro circa 4.500 ex compagni assoldati per la Libia da Erdogan.

Caos armato

Uno Stato dominato da “signori della politica” che per contare davvero si sono trasformati in capi fazione con tanto di scherani assoldati con i proventi petroliferi. Trafficanti di uomini che moltiplicano a dismisura il proprio fatturato, salvo poi sparare addosso a migranti che non rispettano ordini e pagamenti, o che diventano di intralcio per altre operazioni via mare. E ancora: un territorio in cui agiscono 300 gruppi armati, molti dei quali in combutta con gli scafisti o al servizio di potenze esterne.

E’  la “nuova Somalia” alle porte dell’Italia: la Libia del dopo-Gheddafi. Ed è chiaro che la dove a primeggiare è la “diplomazia delle armi”, ha dettar legge, come per altro è già avvenuto nella martoriata Siria, siano sultani, zar, faraoni-generali, che certo non hanno a cuore i diritti umani e quelli del popolo libico.

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