Egitto: il caso Zaki, vergogna italiana
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Egitto: il caso Zaki, vergogna italiana

al-Sisi rilascerà 530 detenuti, misura di contrasto al Covid-19 nelle affollatissime carceri del paese dove solo i prigionieri politici sono 60mila. Non c'è Zaki ed è l'ennesimo schiaffo all'Italia

Patrick Zaki
Patrick Zaki
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Giugno 2020 - 16.17


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In Egitto, senza un ruolo italiano, politico ed economico, il caso Regeni verrebbe archiviato. Per questo non c’è contraddizione tra il mantenere cooperazione con l’Egitto e un impegno forte e determinato per ottenere verità sull’omicidio di Giulio Regeni”.

Così il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, nella sua relazione alla Direzione dem dedicata alla politica estera; un campo che Zingaretti conosce bene per essere stato responsabile esteri del Pds ed europarlamentare.

Sul rischio archiviazione, la storia di questi anni ci dice che c’è modo e modo di “archiviare”. Quella scelta dalle autorità egiziane è una sorta di archiviazione “mascherata”, camuffata, cioè, con una sequela infinita di depistaggi, bugie spacciate per verità, omissioni, prove promesse alla procura di Roma ma centellinate se non manipolate.

Archiviazione alla al-Sisi

Zingaretti, come Conte e Di Maio, esprime l’idea che se sei sul campo puoi pesare di più, condizionare l’azione di regimi come quelli egiziano e turco. Che presidenti autocrati come sono al-Sisi ed Erdogan si lascino condizionare dall’Italia, è una tesi alquanto ardita, per usare un eufemismo. In realtà, e la guerra in Libia ne è un clamoroso attestato, egiziani e turchi, schierati su fronti opposti, dell’Italia se ne fregano, scusate il francesismo, altamente.

Ma per restare sull’Egitto. Globalist ha documentato con più articoli cosa sia il Paese delle Piramidi oggi: uno Stato di polizia in cui la tortura è la normalità, e il numero dei desaparecidos (almeno 43mila) è superiore a quello dell’Argentina ai tempi dei generali al potere.

Ora, al-Sisi rilascerà 530 detenuti, misura di contrasto al Covid-19 nelle affollatissime carceri del paese. Una goccia del mare (solo i prigionieri politici sono 60mila). Ma una porta si apre e Amnesty lo fa presente al governo italiano: “È un’opportunità unica”, rimarca il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, per chiedere il rilascio “di Alaa Abdel Fattah, icona della rivoluzione del 2011, l’avvocata Mahienour el-Masry, Sanaa Seif. Naturalmente penso a Patrick Zaki. Conte e Di Maio esercitino i loro buoni rapporti più volte dichiarati e ostentati con al-Sisi”.. Un appello ripreso da Sinistra italiana: “È necessario e urgente che il governo italiano ne approfitti per rivendicare la liberazione dello studente all’università di Bologna Patrick Zaki”.

Il caso Zaki

Ma questa speranza, a quanto consta a Globalist, rischia di  restare tale. Lo studente dell’Università di Bologna, arrestato il 7 febbraio, è tenuto in carcere senza un processo, con la detenzione prolungata in automatico di 15 giorni in 15 giorni.

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“La situazione dei diritti in Egitto ci preoccupa molto –ed è necessario agire con decisione, per fare chiarezza. Per Patrick, ma anche per la giustizia che è dovuta alla memoria di Giulio Regeni e Sara Hegazy, attivista lesbica egiziana, morta suicida in Canada, dove si era rifugiata per sfuggire a un’assurda condanna inflittale per aver sventolato una bandiera arcobaleno durante un concerto. È allora quanto mai urgente che i ministri Di Maio e Bonafede si attivino su tutti i fronti per far cessare questa incertezza, che è pura negazione del rispetto dei diritti umani e del diritto alla difesa. È necessario che Zaki esca immediatamente da questo incubo per poter tornare a studiare a Bologna”,  dichiara la senatrice Monica Cirinnà, responsabile nazionale Diritti del Pd.

 Il rettore dell’Università, Fancesco Ubertini, si è appellato al governo italiano, alla Commissione europea e “alle numerosissime istituzioni che hanno aderito alla nostra mozione e a tutte le università del mondo che hanno sottoscritto i principi della Magna Charta affinché facciano sentire la propria voce: è l’occasione per mettere fine a questa assurda vicenda e poter restituire Patrick alla sua vita e ai suoi studi, spero di poterlo riabbracciare presto qui a Bologna”.

Alla richiesta si sono uniti esponenti del Pd come Lia Quartapelle, e Giuseppe Civati, fondatore di Possibile: “Nei giorni scorsi Conte ha garantito l’impegno per arrivare alla verità sull’omicidio di Giulio Regeni. Ora si sforzi per la liberazione di Patrick. È una priorità, molto più della presunta realpolitik che porta a rifornire di armi l’Egitto”. Il riferimento è al contratto per la vendita di due fregate Fremm, più altre 4 in opzione, alla Marina egiziana. L’accordo è concluso e delinea una collaborazione militare a tutto campo, con la possibile fornitura anche di satelliti, elicotteri e altro materiale ad alta tecnologia. Ma nei partiti di governo ci sono forti dubbi. Il segretario del Pd ha proposto un “lodo” che prevede il via libera definitivo soltanto se emergeranno sviluppi positivi dalla riunione del primo luglio al Cairo fra i magistrati italiani che indagano su Regeni e i colleghi egiziani.

L’inchiesta 
L’Italia chiede che i 5 ufficiali delle forze di sicurezza indagati, compreso il generale Sabir Tareq, vadano a processo. Finora il muro di gomma opposto dagli apparati militari non ha mai ceduto. Le possibilità che si apra una breccia adesso sono scarse, ma è anche vero che l’Egitto ha bisogno delle nostre navi, e subito, perché le tensioni con la Turchia in Libia sono a un punto di non ritorno, e al-Sisi non esclude un confronto diretto. Deve però arrivarci preparato e con mezzi adeguati. Questo aspetto pesa forse più delle pressioni internazionali, concordano analisti militari e fonti della Farnesina.

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Ma se così fosse, si aprirebbe un’altra falla per la disastrata politica estera italiana. In sintesi: per ottenere il processo a quei 5 ufficiali, l’Italia vende armi all’Egitto. Armi che al-Sisi potrebbe utilizzare in Libia a sostegno del suo protetto: il generale di Bengasi, Khalifa Haftar.

Ora, si dà il caso che l’Italia sostenga il nemico giurato di Haftar, il primo ministro del Governo di accordo nazionale (Gna, l’unico riconosciuto internazionalmente), Fayez al-Sarraj, a sua volta armato dalla Turchia.

Ha scritto Carlo Verdelli sul Corriere della Sera:Patrick è asmatico: un’infezione polmonare, già debilitato com’è, gli sarebbe fatale. Stiamo facendo qualcosa per lui? Stiamo continuando a fare qualcosa per Giulio Regeni? Doppio zero. Una democrazia, la nostra, che lascia che due giovani di 28 anni, entrambi impegnati nello studio e nella pratica dei diritti civili, vengano inghiottiti da una ex repubblica socialista guidata da un presidente padrone e supinamente ne accetta l’insolenza, non brilla né per forza né per decenza. Ma anche se magari non sembra, è un problema che non riguarda solo la coscienza di un Paese. Riguarda il peso che abbiamo, e soprattutto che dovremmo avere, nelle complicate trattative finanziarie che ci attendono al varco a Bruxelles e dintorni…”.

Così è.

“E una piccola storia ignobile come quella di Patrick Zaki, gemella, speriamo non negli esiti, con la fine martoriata e mai spiegata di Giulio Regeni – annota ancora Verdelli – rappresentano due ombre che non aiutano l’immagine di un Paese che dovrebbe fare rispettare, oltre al proprio onore, anche i propri cittadini, naturali o acquisiti che siano”.

Giggino lo smemorato

Andate a vedere che cosa ha detto Di Maio nel 2016 su Giulio quando era all’opposizione e che cosa dice in questi giorni da ministro su Zaki. È vergognoso“. Queste le parole pronunciate da Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni, alla presentazione del libro Giulio fa cose scritto da lei stessa insieme al marito Claudio in collaborazione con l’avvocata Alessandra Ballerini. Claudio, il padre di Giulio, ha parlato dopo la moglie ed ha rincarato la dose: “La resistenza della politica italiana nella ricerca di verità su Giulio la sentiamo, se è stato rimandato al Cairo l’ambasciatore è proprio perché ci sono gli interessi dell’Italia nei confronti dell’Egitto, aspetti economici, investimenti, giacimenti e turismo“.

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E infine: “Si è messa da parte la verità e la giustizia, l’ambasciatore non viene richiamato, cosa che stiamo chiedendo da tempo, il Governo egiziano non sta rispondendo alla rogatoria, quindi c’è una debolezza della politica italiana che non ci aiuta. Ci sono delle persone che ci sono vicine, il presidente della Camera Roberto Fico ci è molto vicino e siamo molto grati a queste persone, però manca il passo decisivo, il mettere davanti al Governo egiziano una posizione ferma, il nostro Governo è un po’ ballerino su da che parte stare“.

E con questi chiari di luna, forse il presidente-generale potrà “concedere” la liberazione di Zaki, ma quanto alla verità sulla morte di Giulio Regeni, il capo di uno Stato di polizia non liquida gli esecutori, probabili, di un assassinio di Stato.

Un quotidiano del Cairo, Akhbar al Youm, riporta l’opinione di Nashat al Dihy,  presentatore del programma Carta e penna trasmesso dalla tv satellitare egiziana Ten: Al Dihy pensa che l’organizzazione per i diritti umani Iniziativa egiziana per i diritti individuali  serve a “diffondere l’omosessualità” e spiega in diretta che “questa faccenda è puramente interna all’Egitto”, approfittandone per fare un discutibile ritratto dello studente: “Questo Patrick è un omosessuale (l’omosessualità in Egitto è un crimine, ndr) che è andato a studiare per un master sull’omosessualità all’estero e che lavora per un’organizzazione di promozione dell’omosessualità”. Dopo avere anche insinuato che si tratta “sicuramente di un terrorista”, conclude: “È un cittadino egiziano, e il suo arresto è dunque una procedura al 100 per cento egiziana”. Il parallelo con un altro studente torturato a morte è inquietante: anche contro Regeni i mezzi d’informazione di regime egiziani avevano costruito una campagna di stampa con il pretesto dell’omosessualità. 

Una campagna che ha avuto il visto del “Faraone” al-Sisi.

 

 

 

 

 

 

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