Libia, la tomba della Nato. E delle velleità italiane
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Libia, la tomba della Nato. E delle velleità italiane

Il ministro dell’Interno del Gna, Fathi Pashaga, ha rivelato di un incontro a Zuwara a sostegno della sovranità libica. Tra i player esterni c'erano tutti ma non l'Italia...

Fayez al-Serraj.
Fayez al-Serraj.
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Giugno 2020 - 20.09


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Un presidente, di quelli che contano, che diagnostica la “morte cerebrale “della Nato. E questo perché un altro presidente che conta, nella Nato, in Libia sta “giocando sporco”. Macron contro Erdogan. E’ guerra totale in Libia. Saltano vecchie alleanze, peraltro da tempo logorate, e se ne formano altre, anch’esse tutt’altro che stabili.

I recenti incidenti navali che hanno opposto Francia e Turchia sono “una delle migliori dimostrazioni” della “morte cerebrale” della Nato, già denunciata l’anno scorso. Lo ha detto il presidente francese Emmanuel Macron dopo un incontro con il collega tunisino, parlando di situazione “intollerabile”.

  Nei giorni scorsi Ankara e Parigi erano arrivate ai ferri corti per un confronto navale acceso nel Mediterraneo, nell’ambito di un’operazione Nato in Libia. Macron: Turchia sta giocando in Libia una partita pericolosa In precedenza, Macron aveva denunciato il “gioco pericoloso” della Turchia in Libia, che a suo dire è una minaccia diretta per la regione e per l’Europa. “Ritengo che la Turchia stia giocando una partita pericolosa in Libia e stia violando tutti i suoi impegni presi alla conferenza di Berlino”, ha avvertito. Il presidente francese ha detto di aver fatto “lo stesso discorso” durante una conversazione telefonica oggi pomeriggio con il presidente Usa Donald Trump. “E’ nell’interesse della Libia, dei suoi vicini, dell’intera regione ma anche dell’Europa”, ha aggiunto. Macron ha anche chiesto “la fine delle interferenze straniere e delle azioni unilaterali di coloro che affermano di conquistare nuove posizioni attraverso la guerra” in Libia.

Poco prima di fare il suo discorso pubblico, Macron ha telefonato al presidente americano Donald Trump. Che negli ultimi giorni è stato tirato per la giacca, costretto ad occuparsi della questione-Libia più di quanto non abbia fatto negli ultimi mesi. Trump infatti la settimana scorsa aveva ricevuto sulla Libia una telefonata – uguale e contraria – del presidente turco Erdogan. Il leader turco facendo leva sul fatto che ormai è dimostrato che il generale Haftar in Libia gode dell’appoggio aereo di almeno 14 caccia russi, aveva chiesto agli Usa di intervenire per frenare il build up militare a favore di Haftar. A Trump il presidente francese ha chiesto di lavorare per un cessate-il-fuoco, che non permetta dalla Turchia di avanzare ancora in Libia. 

Il Sultano rilancia

Con il sostegno che offre da anni agli attori illegittimi” come il generale Khalifa Haftar, “la Francia ha una parte importante di responsabilità nella caduta della Libia nel caos. Da questo punto di vista, è in realtà la Francia a fare un gioco pericoloso”. Lo scrive in una nota il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, utilizzando la stessa espressione rivolta ieri ad Ankara da Macron.

La Turchia è diventata il principale sostenitore internazionale del governo di unità nazionale di Tripoli (Gna), che all’inizio di giugno ha ripreso il controllo di tutta la Libia nord occidentale ritirando le forze del generale Khalifa Haftar. Le forze del Gna ora hanno come obiettivo la città costiera di Sirte (450 chilometri a est di Tripoli), località strategica ad est controllata dal maresciallo Haftar. Sabato, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, ha avvertito che qualsiasi avanzata del pro-Gna verso Sirte potrebbe portare a un intervento “diretto” dal Cairo.

Sirte, la trincea del “Faraone”

Sirte è una “linea rossa”, superata la quale le forze militari egiziane devono essere pronte “a condurre qualsiasi missione, all’interno dei nostri confini o, se necessario, all’esterno”. Con queste parole al-Sisi si è rivolto sabato scorso ai soldati della base militare di Sidi Barrani, a circa 100 chilometri dal confine libico. Una prospettiva di intervento militare diretto che è stata giudicata come una “dichiarazione di guerra” dal governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj e legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale, e che, con l’aiuto della Turchia sta conquistando posizioni a scapito del generale Haftar e del parlamento di Tobruk.

“Le parole del presidente al-Sisi”, spiega a Vatican News Gabriele Iacovino, direttore del Centro Studi Internazionali, “rientrano nella strategia egiziana”. “Il grande obiettivo”, sottolinea “è quello di non far arrivare forze vicine all’islamismo dei Fratelli musulmani o comunque a un islamismo internazionale, mantenuto e supportato da Paesi come la Turchia e il Qatar, vicino ai confini del Paese”.

“La Libia purtroppo”, conclude Iacovino, “proprio per l’impossibilità finora di trovare una soluzione al conflitto sta diventando sempre di più il palcoscenico di una guerra per procura, con la presenza di forze esterne a quelle libiche. Più si va avanti, più questo rischio diventa concreto.  Quello che di fatto abbiamo visto in Siria nel corso degli ultimi anni, con l’intervento iraniano, russo, turco e americano, di fatto potrebbe diventare un qualcosa di reale anche in Libia, con tutte le conseguenze che si possono solamente immaginare in questo momento per quanto riguarda la stabilità dell’intero bacino del Mediterraneo”.

Siriani contro siriani in Libia

Mentre l’Egitto, sostenitore di un Haftar ammaccato e indebolito, lancia una tardiva richiesta di pace e cessate il fuoco, prontamente respinta da Tripoli, il principale sponsor del generale, la Russia di Vladimir Putin, corre ai ripari. Come rivela Reuters, il Gruppo Wagner, che assolda mercenari per combattere in tutto il mondo (in base agli interessi del Cremlino), ha intensificato il reclutamento di siriani da inviare a combattere in Libia tra le fila di Haftar contro altri siriani, schierati dai turchi a fianco di Sarraj.

Fonti americane hanno rivelato a inizio maggio che Mosca stava contrattando con Damasco una fornitura di uomini e armi per Haftar in Libia. A maggio sarebbero stati reclutati circa 900 uomini e altri 650 sono in campi di addestramento siriani, pronti a essere inviati a combattere in Libia per 1.000-2.000 dollari al mese. Si tratterebbe, secondo Reuters, di ex membri dell’Esercito libero siriano che si sono arresi al regime di Bashar al Assad e che combatteranno contro circa 4.500 ex compagni assoldati per la Libia da Erdogan.

Gli Usa entrano in campo

L’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, Richard Norland, e il generale del comando degli Stati Uniti in Africa (Africom), Stephen Townsend, hanno incontrato il primo ministro libico Fayez Al-Sarraj e il ministro degli Interni, Ftahi Pashaga, il 22 giugno 2020, a Zuwara, nella Libia occidentale.

Una nota rilasciata dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Libia  afferma che nel contesto dell’escalation dell’intervento straniero in Libia, l’incontro si è concentrato sulle attuali opportunità di una pausa strategica nelle operazioni militari di tutte le parti in conflitto.

“L’ambasciatore Norland ha delineato il sostegno degli Stati Uniti alla diplomazia in corso attraverso gli auspici delle Nazioni Unite per promuovere un cessate il fuoco e un dialogo politico”. Afferma il comunicato, aggiungendo che “il generale Townsend ha presentato la sua prospettiva militare sul rischio di escalation, i pericoli posti dal sostegno della Russia alle operazioni di Wagner e l’importanza strategica di garantire la libertà di navigazione nel Mediterraneo”.

“Noi, l’Africa Command, abbiamo fornito la sicurezza che ha permesso a questo importante dipartimento del Dipartimento di Stato di impegnarsi con il Primo Ministro Serraj. Abbiamo sottolineato alla delegazione libica che tutte le parti devono tornare al cessate il fuoco e ai negoziati politici guidati dalle Nazioni Unite perché questo tragico conflitto sta derubando tutti i libici del loro futuro”, ha affermato il generale Townsend.

“L’attuale violenza alimenta la potenziale rinascita dell’Isis e di al-Qaeda in Libia, sta ulteriormente dividendo il paese a beneficio di attori stranieri e prolunga la sofferenza umana. Gli attori esterni dovrebbero smettere di alimentare il conflitto, rispettare l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite e mantenere gli impegni assunti al vertice di Berlino”, ha dichiarato l’ambasciatore Norland.

A sostegno della sovranità libica, della stabilità politica, della sicurezza e della prosperità economica, gli Stati Uniti approfondiranno l’impegno con l’intera gamma di interlocutori di tutto il Paese. Ha concluso la nota.

Il ministro dell’Interno del Gna, Fathi Pashaga, da parte sua, ha rivelato attraverso Twitter che l’incontro di ieri a Zuwara ha visto tutti d’accordo “sulla necessità di porre fine agli interventi stranieri illegali e di sostenere la sovranità e l’integrità territoriale della Libia da eventuali minacce esterne”.

Pashaga ha affermato inoltre che durante il vertice, a cui hanno partecipato anche i comandanti delle regioni militari sotto il Governo di Tripoli, sostenuto dalla Turchia, le parti hanno accettato di lavorare per smantellare le milizie illegali, come una delle cause di instabilità, e sostenere gli sforzi del Governo di Al-Wefaq (Gna) come il legittimo rappresentante dello Stato della Libia.

Secondo l’ufficio media del Presidente del Consiglio Fayez al-Serraj, invece, il vertice ha affrontato gli ultimi sviluppi militari e di sicurezza, gli sforzi Usa per stabilizzare la Libia, ed il coordinamento tra il Governo di al-Wefaq e Africom  nella lotta contro il terrorismo, nel quadro della cooperazione strategica tra Libia e gli Stati Uniti d’America.

Russia, Stati Uniti, Francia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar…Dai player esterni della “partita libica”, manca l’Italia. Ma, come ha rimarcato nell’intervista a Globalist l’ex Capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, “Ormai l’Italia in Libia non conta più nulla”.

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