Usa, la rivolta dei generali contro lo "Sceriffo" della Casa Bianca
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Usa, la rivolta dei generali contro lo "Sceriffo" della Casa Bianca

Il “Muratore di Washington” e i generali picconatori. Donald Trump blinda la Casa Bianca con un ‘muro’. Il generale Camporini: "Il disagio che si avverte nelle circostanze di questi giorni è palpabile"

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Giugno 2020 - 15.55


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Il “Muratore di Washington” e i generali picconatori. Donald Trump blinda la Casa Bianca con un ‘muro’. Ed è polemica sui social: il video che mostra la recinzione è virale e molti ironizzano. “Vuole costruire un muro”, quello con il Messico, per “proteggere gli americani e costruisce un muro davanti alla Casa Bianca per proteggersi dagli americani”, è uno dei commenti. “Il sogno di Trump di costruire un muro diventa realtà”, ironizzano altri. La recinzione è stata issata dopo le proteste degli ultimi giorni per George Floyd, l’afroamericano morto sotto la custodia della polizia a Minneapolis.

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The Donald non recede dai suoi bellicosi propositi, ma quello che non si aspettava è la “diserzione” dei generali.  L’ex capo del Pentagono James Mattis ‘guida’ la rivolta dei generali contro il presidente. Per i leader militari, tradizionalmente non schierati e tendenzialmente repubblicani, il tycoon ha superato la linea rossa minacciando di usare le forze armate contro i manifestanti che protestano per la morte dell’afroamericano George Floyd, ucciso dalla polizia a Minneapolis. Trump non si è limitato ad invocare l’Insurrection Act, una legge firmata nel 1807 da Thomas Jefferson che attribuisce al presidente degli Stati Uniti – in casi eccezionali – il potere di utilizzare l’esercito per compiti di polizia. Mentre il comandante in capo nel giardino delle Rose proclamava l’editto, la polizia sparava lacrimogeni e proiettili di gomma contro chi protestava davanti alla Casa Bianca, per disperdere la folla e consentire al presidente di sfilare indisturbato a piedi verso la vicina chiesa episcopale di St. John e mettersi in posa con la Bibbia in mano.

Se il ministro della Difesa Usa Mark Esper, ex ufficiale dell’esercito, ha immediatamente preso le distanze, quella di Mattis è stata una scomunica. Trump “vuole dividere gli Usa”, ha tuonato in un editoriale sull’Atlantic, “siamo testimoni delle conseguenze di questo sforzo deliberato, di tre anni senza una leadership matura. Possiamo essere uniti senza di lui, attingendo alla forza interna della nostra società civile”. “Militarizzare la nostra risposta come abbiamo visto a Dc – ha attaccato Mattis – crea un conflitto, un falso conflitto, tra le forze armate e la società civile”.

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Ad esprimere la  sua preoccupazione è anche l’ufficiale più alto in grado nelle forze armate degli Stati Uniti: il generale Mark Milley, Capo di Stato maggiore dell’esercito.I n un memo di una pagina inviato mercoledì ai leader delle forze armate, Milley ha ricordato il giuramento a restare fedeli ai valori della Costituzione: “Ogni membro dell’esercito statunitense ha giurato di sostenere e difendere la Costituzione e i suoi valori”, tra cui “il diritto di parola e di assemblea pacifica”. E in una nota aggiunta a mano in coda si legge: “Abbiamo tutti votato la nostra vita all’idea che questa è l’America. Resteremo fedeli al giuramento e al popolo americano”.

Contro Trump anche l’ex generale John Kelly, suo ex capo di gabinetto ed ex ministro per la Sicurezza nazionale, e John Allen, ex comandante delle forze Usa in Afghanistan. “Non gli è bastato privare i manifestanti pacifici dei loro diritti sanciti dal primo emendamento – ha osservato Allen – con quella foto ha tentato di legittimare quel gesto con un alone religioso”.

Tra gli altri, pure Mike Mullen, ex capo dello stato maggiore congiunto, si è scagliato contro Trump, avvertendo che mina i valori dell’America.    Mattis, Kelly e il generale Herbert Raymond McMaster, nominato consigliere alla sicurezza nazionale dopo le dimissioni lampo di un altro generale, Michael Flynn (travolto dal Russiagate) erano considerati “gli uomini forti” del presidente. 

  “Alleniamo i nostri uomini per diventare macchine da guerra”, dichiarava Trump via Twitter nell’ottobre del 2019. Sarebbe stata questa immagine del militare versione ‘Rambo’, sostiene Peter Bergen nel suo libro “Trump e i suoi generali: il prezzo del caos”, a spingere il capo della Casa Bianca a circondarsi di generali al suo insediamento. Non aveva messo in conto le loro resistenze sul ricorso facile alla forza (tantomeno contro i manifestanti) o sul ritiro delle truppe Usa dalle zone ancora calde, per non parlare del sostegno alla Nato. Alla fine del 2018, McMaster, Kelly e Mattis erano già tutti casa. Quella che traballa ora è la poltrona di Esper. Anche un altro ex alto ufficiale Usa – il generale Martin Dempsey  – ha attaccato Trump per aver minacciato di usare l’esercito per reprimere le proteste seguite all’uccisione a Minneapolis del cittadino nero George Floyd da parte della polizia. Lo riferisce la Bbc. L’ex capo di stato maggiore ha detto alla Radio pubblica nazionale (Npr) che le dichiarazioni di Trump sono “assai preoccupanti” e “pericolose”. “L’idea che il presidente possa prendere in carico la situazione usando le forze armate per me è preoccupante”, ha detto Dempsey. “L’idea – ha aggiunto – che le forze armate siano chiamate a dominare e sopprimere quelle che, per la gran parte, sono stata proteste pacifiche – bisogna ammettere che però alcune sono state strumentalmente in violente – e che le forze armate in qualche modo arrivino e calmino la situazione è molto pericolosa secondo me”.

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L’ammiraglio Mike Gilday, a capo della Marina, ha diffuso un minuto di cinque minuti registrato a casa sua intorno alla mezzanotte di mercoledì per sottolineare il bisogno di capire come la morte di Floyd tocchi gli afroamericani e le minoranze nell’esercito. “Non capirò mai come ci si sente a vedere il video dell’uccisione di Floyd. Non posso immaginare il dolore, il disappunto e la rabbia che molti di voi provano nel vederlo. Penso che dobbiamo ascoltare. Ci sono afroamericani nella Marina e nelle nostre comunità che stanno soffrendo”.
Un memo del generale David Goldfein a capo dell’Aeronautica recita invece: “Ogni americano dovrebbe essere offeso dal fatto che la condotta della polizia di Minneapolis possa accadere nel 2020”. Mentre il segretario dell’esercito Ryan McCarthy, il capo di Stato maggiore James McConville e il maggiore dell’esercito Michael Grinston hanno diffuso un messaggio congiunto: “Ai leader dell’esercito, ascoltate la vostra gente e non aspettate che siano loro a venire da voi. Andate da loro. Fate domande scomode. Guidate con compassione e umiltà e create un ambiente in cui la gente si senta a suo agio. Siamo i primi a dare l’esempio”.

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Camporini: un disagio inquietante

La classe dei generali americani ha più volte presentato personalità di altissimo livello, intellettuale, professionale e strategico – dice a Globalist il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato maggiore della Difesa -. Si possono fare dei nomi: David Petraeus, Mike Mullen, Jim Mattis e altri ancora; personalità che hanno dimostrato uno straordinario senso delle istituzioni e che si sentono ovviamente molto a disagio nel clima creato da Trump”.

Per gli importanti incarichi ricoperti anche in ambito internazionale, il generale Camporini ha avuto modo di conoscere personalmente alcuni dei generali che si sono “ribellati” alle direttive del capo della Casa Bianca. “Un timore di cui ho avito evidenza – rimarca – è quello di una progressiva attenuazione del sistema ceck balance che è a fondamento della Costituzione degli Stati Uniti. Il disagio che si avverte nelle circostanze drammatiche di questi giorni è palpabile ad ogni livello: ieri, Esper, segretario alla Difesa, ha rischiato di essere cacciato a malo modo dalla sua posizione e ha dovuto fare un rapido dietrofront; un altro pessimo segnale è stato il rifiuto opposto da lui e dal generale Milley, Capo di Stato maggiore dell’esercito, a testimoniare di fronte al Congresso. Sono fatti – conclude Camporini – che sono fonte di grande preoccupazione. Ci si può legittimamente domandare quanto questo scontro tra il presidente Trump e alcuni importanti membri del suo staff possa durare senza conseguenze”.

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