In Siria la pax russa non contempla l'Iran: Putin sceglie i miliardi delle petromonarchie
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In Siria la pax russa non contempla l'Iran: Putin sceglie i miliardi delle petromonarchie

La Russia si trova nella scomoda situazione di dover rientrare dagli investimenti fatti finora, senza però avere la capacità per finanziare la ricostruzione. Ecco allora che...

Assad e Putin
Assad e Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Maggio 2020 - 15.55


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La guerra costa. E un Paese stremato dalle sanzioni e in piena emergenza Coronavirus, quel costo non può più sopportarlo. L’Iran starebbe ritirando almeno in parte le sue forze militari dalla Siria. In seguito al doppio attacco del 4 maggio attributo come i raid precedenti (6 solo nell’ultima settimana) a Israele, fonti della Difesa dello Stato ebraico hanno rivelato il 5 maggio che Tehran si sta ritirando “gradualmente” dalla Siria provvedendo a chiudere le basi militari all’interno del Paese.

Secondo l’Ong con sede a Londra Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, gli ultimi attacchi israeliani hanno preso di mira la notte del 4 maggio la regione di Dei Ezzor, sull’Eufrate, colpendo in particolare l’area di Mayadin, dove da tempo si registrano intensi movimenti di milizie filo-iraniane e di pasdaran iraniani, non lontano dal confine con l’Iraq.

Il prezzo della guerra

Per sostenere direttamente il regime di Bashar al-Assad, in Siria,  l’Iran, come Stato, attraverso le proprie banche, ha investito oltre 4,6 miliardi di dollari, che non includono gli armamenti scaricati quotidianamente da aerei cargo iraniani all’aeroporto di Damasco, destinanti principalmente ai Guardiani della rivoluzione impegnati, assieme agli hezbollah, a fianco dell’esercito lealista. Non basta. Almeno cinquantamila pasdaran hanno combattuto in questi anni in Siria, ricevendo un salario mensile di trecento dollari. Una seconda ondata di attacchi missilistici ha preso di mira la zona settentrionale di Aleppo, colpendo in particolare strutture di un “centro di ricerche scientifico”, a sud-est della città, già preso di mire in passato.

L’agenzia governativa siriana Sana ha accusato esplicitamente Israele (che, come di consueto, non rivendica le sue incursioni in territorio siriano) ma ha riferito soltanto dell’attacco nella zona di Sfeira, vicino ad Aleppo affermando che sono stati colpiti “depositi militari”, causando “danni da verificare”.

Le forze di Bashar al- Assad hanno ormai vinto la guerra contro gli insorti e l’unico fronte caldo rimasto aperto è quello a nord-ovest, nella provincia di Idlib, al momento congelato dall’accordo per il cessate il fuoco raggiunto il 5 marzo da Russia e Turchia.

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Di conseguenza parte delle milizie Hezbollah libanesi sono state rimpatriate così come un buon numero di volontari sciti arrolati in diversi Paesi, incluso l’Afghanistan, ai quali Teheran aveva promesso la cittadinanza iraniana dopo aver combattuto in Siria.

“I soldati iraniani in Siria – ha detto il ministro della Difesa israeliano Naftali Bennett – rischiano la propria vita e pagano un prezzo di sangue. Noi non consentiremo la costruzione di una base avanzata iraniana in Siria”. Secondo fonti della Difesa israeliana citate dai media Teheran avrebbe cominciato ad evacuare le basi militari vicino al confine con Israele sin dall’inizio dell’epidemia di Coronavirus che ha colpito duramente l’Iran.

I portavoce militari che hanno informato i giornali israeliani hanno detto che “per la prima volta da quando l’Iran è entrato in Siria, sta riducendo le sue forze nel Paese e chiudendo le sue basi. La Siria sta pagando un alto prezzo a causa della presenza iraniana sul suo territorio, l’Iran si è trasformato da una risorsa per la Siria in un peso. Israele continuerà ad aumentare la pressione sull’Iran finché non lascerà la Siria”.

Dall’inizio della guerra civile siriana nel 2011, Israele ha lanciato centinaia di attacchi aerei in Siria contro basi governative, contro forze iraniane e miliziani di Hezbollah. Lo scopo era quello di impedire il trasferimento di armi avanzate a Hezbollah in Libano, ma anche di impedire che gli iraniani mettessero radici in Siria.

Secondo un rapporto di Foreign Policy del 2018, Teheran avrebbe avuto fino a 11 basi in Siria, assieme ad altre 9 per le sue milizie nel sud di Aleppo, a Homs e Deir Ezzor. Altre 15 basi apparterrebbero a Hezbollah. Proprio lunedì notte ci sarebbe stato un ennesimo attacco aereo israeliano contro un centro di ricerca e una base militare ad al-Safirah, nella provincia settentrionale di Aleppo. Pochi minuti più tardi sono state colpite postazioni di miliziani iraniani e alleati filo-Teheran vicino ad al Mayadin, nella Siria orientale.

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“Al di là dei proclami di vittoria di Gerusalemme – rimarca Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa il ritiro iraniano sembra essere dovuto a cause diverse. Da un lato Teheran soffre i pesanti danni economici determinati dalle sanzioni internazionali volute da Washington e aggravate dal crollo delle quotazioni petrolifere e dall’epidemia di Covid-19. Teheran aveva già da tempo informato Damasco di non poter più far fronte ai costi per il sostegno economico e militare al governo siriano, specie ora che il conflitto siriano ha registrato una svolta positiva per Bashar al-Assad…”.

La spartizione

Secondo Haaretz, né l’Iran, né Assad sono entusiasti di una ricostruzione affidata a potenze straniere con più denaro e know-how tecnico di loro. Inoltre, l’apertura ad altri attori esterni (soprattutto occidentali) richiederebbe maggiore trasparenza, responsabilità e una forte repressione della corruzione. Non solo: la ricostruzione necessita del rimpatrio di molti, se non della maggior parte dei rifugiati, ma Assad – secondo Haaretz – non ha interesse a far rientrare una massa persistente di malcontento politico e futura ribellione. Quanto alla Russia, il giornale israeliano sottolinea che Mosca si trova nella scomoda situazione di dover rientrare dagli investimenti fatti finora, senza però avere la capacità per finanziare la ricostruzione. Gli Stati Uniti e l’Europa non sono interessati a partecipare senza vedere prima vere e reali riforme politiche. La Cina è solita investire in Paesi ad alto rischio, ma secondo Haaretz alle società cinesi non piace competere nei luoghi dove Russia e Iran hanno così tanta influenza politica. In attesa del boom di ricostruzione, Russia e Iran si stanno già spartendo gli unici asset a disposizione: Mosca, in particolare, ha battuto Teheran per ottenere il controllo di almeno una parte dell’industria dei fosfati in Siria. 

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“Con il ritiro iraniano – rimarca ancora Gaiani – Assad si garantisce un maggior supporto arabo e probabilmente una minore ostilità da parte di Israele e Stati Uniti, garantendosi risorse finanziarie per la ricostruzione.

Proprio gli Emirati Arabi Uniti avrebbero promesso 3 miliardi di dollari chiedendo però a Damasco di riprendere l’offensiva a Idlib contro le milizie filo-turche sostenute dalle truppe di Ankara: iniziativa che risulterebbe al momento sgradita a Mosca che deve necessariamente sostenere la tregua firmata con Ankara.

Il denaro emiratino sembrerebbe finanziare anche il reclutamento di miliziani fedeli al governo siriano, arruolati a quanto sembra dalla società militare privata russa Wagner per combattere in Libia con le forze del generale Khalifa Haftar che si oppongono alle milizie di Tripoli appoggiate da Ankara e da mercenari arruolati tra i ribelli siriani.

Per tutte queste ragioni Assad ha oggi tutto l’interesse ad allontanarsi militarmente dall’Iran senza per questo alterare la tradizionale intesa con Teheran alle cui aziende probabilmente spetterà una fetta del business della ricostruzione della Siria finanziata dalle monarchie sunnite del Golfo”.

Al tempo stesso, annota il direttore di AnalisiDifesa, Assad mantiene l’asse di ferro, politico e militare, con Mosca che guarda con favore alla riduzione delle tensioni con Israele e i paesi arabi con i quali i russi hanno crescenti intese”.

Alla fine, tra gli ayatollah e i russi, il rais di Damasco ha fatto la sua scelta. Una scelta obbligata: quella che lo porta a Mosca e al suo grande protettore: Vladimir Putin. Perché una cosa è certa: sarà lui, lo “zar” del Cremlino, ha decidere le sorti, non solo politiche, del suo protetto siriano. E questo, visti i precedenti ucraini, non dovrebbe far dormire sonni tranquilli a Bashar al-Assad.

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