"Israele in piazza contro l'attacco alla democrazia. La forza della nostra Black Flag"
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"Israele in piazza contro l'attacco alla democrazia. La forza della nostra Black Flag"

Parla il presidente del movimento, Eliad Shraga. "Israele è troppo prezioso per noi per essere lasciato nelle mani di un imputato criminale".

Proteste contro Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Maggio 2020 - 15.10


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Hanno sfidato il Coronavirus, “armati” di mascherine e rispettando il “distanziamento sociale” di due metri. Hanno portato più di duemila persone, un numero altissimo visti i tempi di emergenza pandemica, in Piazza Rabin, nel cuore di Tel Aviv. E’ il movimento dei “Black Flag”, un arcipelago di associazioni e movimenti della società civile israeliana, che stanno combattendo in difesa dello Stato di diritto” minacciato, denunciano da Benjamin Netanyahu.

Globalist ha intervistato in esclusiva il presidente del movimento, Eliad Shraga.”La battaglia per l’immagine dello Stato di Israele sarà combattuta presso l’Alta Corte e nelle strade”, ci dice Shraga. “Israele è troppo prezioso per noi per essere lasciato nelle mani di un imputato criminale”.

La Corte Suprema israeliana ha iniziato le discussioni sulla questione se Netanyahu possa formare un nuovo governo mentre deve affrontare accuse penali. La decisione della Corte, prevista per la fine di questa settimana, si sta configurando come un momento fondamentale nella storia israeliana.

“Fondamentale è dir poco. In gioco sono i pilastri stessi di una democrazia che intende restare tale. In gioco c’è lo Stato di diritto, le regole stesse di una convivenza civile. Netanyahu si comporta come un autocrate alla Erdogan, considerando se stesso e i propri interessi personali al di sopra della Legge. E’ arrivato al punto di sobillare la piazza contro un inesistente ‘golpe legale’ del quale si sarebbe fatto strumento il Procuratore generale d’Israele, peraltro nominato dallo stesso Netanyahu. Pur di restare al potere si è scagliato contro la magistratura, la polizia, colpevoli di aver fatto il loro dovere senza guardare in faccia nessuno, anche se quella faccia era dell’uomo politico più potente d’Israele. Come se non bastasse, Netanyahu ha strumentalizzato perfino l’emergenza del Coronavirus per imporre un governo di emergenza nazionale con lui alla guida…”.

Una imposizione accettata, o comunque subita, dal suo ex rivale: il leader di Blu e Bianco, Benny Gantz.

“Tra le persone che hanno aderito al nostro movimento, che erano in piazza sabato scorso a Tel Aviv, ce ne sono molte che alle ultime elezioni hanno votato per Gantz. E lo hanno fatto perché lui si era presentato come un’alternativa a Netanyahu, con il quale, aveva ripetuto in campagna elettorale, non avrebbe formato alcun governo, perché non si può governare con un uomo incriminato per gravi reati compiuti nell’esercizio delle sue funzioni di primo ministro. Gantz si è presentato come il garante della legalità, come il difensore dello Stato di diritto. Mai con Netanyahu, aveva promesso. Ora quella promessa se l’è rimangiata. E questo si chiama tradimento”.

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Uno degli slogan della manifestazione di Piazza Rabin era: “governo di emergenza, governo della corruzione”. Un’accusa molto pesante.

Pesante, ma vera. Perché dietro questo governo in formazione c’è un patto di potere che mette in discussione l’autonomia della magistratura, che riduce le prerogative della Knesset (il Parlamento israeliano, ndr). Netanyahu pretende addirittura di poter scegliere i giudici che dovranno giudicarlo. Nessuno prima di lui si era spinto a tanto”.

“Di certo, quello che sta nascendo,  non è un governo di unità nazionale e non è un governo di emergenza. È un altro governo di Netanyahu. L’amara verità è che Gantz s’è arreso senza combattere. I risultati delle elezioni hanno dimostrato che Israele aveva bisogno di quell’alternativa come noi abbiamo bisogno dell’aria per respirare. Volevamo realizzare un cambiamento, creare una speranza, iniziare un nuovo percorso. E Gantz ha deciso di interromperlo”. Parole del cofondatore di Blu e Bianco, Yair Lapid, che ha rotto con Gantz per il suo “abbraccio mortale” con Netanyahu.

Le cose stanno così. Ma oggi a prevalere non è lo scoramento, ma l’indignazione. A prevalere non è la rassegnazione, ma la determinazione a battersi per la democrazia. Non siamo una minoranza, più della metà d’Israele condivide la nostra battaglia, le nostre preoccupazioni, al di là dell’appartenenza politica. Il nostro è davvero un movimento trasversale. Questa ne è la forza, destinata a crescere”.

Uno dei punti in discussione nella formazione del governo Netanyahu-Gantz, è la nomina del nuovo Procuratore generale.

Netanyahu vuole mettere le mani sulla Procura. E non solo. Negli accordi di governo c’è anche il fatto, gravissimo, che il primo ministro può nominare tutti o buona parte dei rappresentanti della Commissione delle nomine giudiziarie. Un’operazione che permetterebbe di ampliare le mire di Netanyahu  perfino alla Corte suprema. L’esecutivo piglia tutto. Questo è un attentato alla democrazia”.

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Intanto, Likud di Netanyahu e Israel Resilience di Gantz hanno deciso di rivedere una serie di clausole dell’accordo per la formazione del governo, dopo il parere della Corte suprema. Alcune clausole dell’accordo raggiunto tra Gantz e Netanyahu lo scorso 20 aprile non sarebbero conformi alla legge. I deputati israeliani stanno attualmente esaminando gli emendamenti necessari per rendere legale l’accordo di coalizione. In particolare, ieri la Corte suprema ha sollevato riserve su tre aspetti dell’accordo: il congelamento dell’attività legislativa, eccetto che per normative inerenti al coronavirus; lo stop di sei mesi alle nomine di funzionari di alto rango dell’amministrazione; la legge che consente a un deputato eletto di dimettersi dal parlamento e far subentrare il candidato successivo della sua lista…”.

Il segnale lanciato dalla Corte suprema ha una importanza che va ben al di là dei punti contestati che lei ha ricordato. E’ la dimostrazione di un’autonomia di giudizio e di ruolo che fa argine ad una manovra antidemocratica in atto”.  

La battaglia per l’immagine dello Stato di Israele sarà combattuta presso l’Alta Corte e nelle strade”, lei ha affermato all’inizio dell’intervista. Non c’è il rischio di una “guerra delle piazze”?

Non da parte nostra. Il nostro è un movimento assolutamente non violento. Ma in una democrazia la libertà di pensiero e di manifestazione è garantita. Noi ci battiamo per la legalità e per la salvaguardia di principi democratici che non possono essere violati in nome di una inesistente supremazia delle urne. L’investitura popolare non legittima la distruzione dello Stato di diritto. Il voto non è più importante delle leggi. Noi non siamo in Turchia o in un Paese retto da un autocrate che si fa forte dei voti ricevuti per trasformarli in un’arma di distruzione del sistema democratico. Democrazia non è la dittatura della maggioranza, né l’incoronazione di un ‘re’ a cui tutto è concesso”.

Tra i “Black Flag” ci sono molti giovani…

“E’ vero, e lo vediamo nel numero che cresce di giorno in giorno di ragazze e ragazzi che ci sostengono sui social, che rilanciano in rete le nostre iniziative. E’ una grande piazza virtuale. Una piazza democratica. Spesso si dà dei giovani una immagine negativa: apatici, disinteressati alla politica, senza ideali in cui credere. Non è così. I giovani israeliani sono delusi dai partiti, da dirigenti che promettono e non mantengono, dai giochi di potere. Ma sono pronti a mobilitarsi per difendere la sicurezza d’Israele quando è minacciata, che nelle periferie degradate di Tel Aviv come di Haifa e di altre città, sostengono i più deboli, quelli che pagano di più la crisi. Sono l’orgoglio d’Israele, la speranza di un futuro migliore”.

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C’è chi vi accusa di voler costruire l’ennesimo partito nel già affollato panorama politico d’Israele.

“Niente di tutto questo. Si può fare politica, una bella politica, anche al di fuori dei partiti, anzi direi, per come sono messi oggi i partiti israeliani, soprattutto fuori di essi.  La democrazia è un sistema di regole che valgono indipendentemente dai governi che si succedono. E’ questo sistema che vogliamo difendere”.

Lei parla di un movimento trasversale. Ciò riguarda anche il rapporto con gli arabi israeliani?

Certo che sì. I diritti di cittadinanza non possono essere determinati e gerarchizzati a seconda se sei ebreo o arabo. Siamo tutti cittadini d’Israele! So che è un discorso difficile, complesso, che investe terreni e sensibilità che vanno oltre la politica, e che investono la storia, l’identità, perfino il senso dell’esistenza d’Israele. Sappiamo bene come e perché è nato lo Stato d’Israele, nessuno potrà mai dimenticare l’orrore della Shoah. L’identità ebraica resterà sempre uno dei fondamenti d’Israele, ma questo non implica considerare oltre un milione di cittadini israeliani, gli arabi, come degli ‘abusivi’, dei cittadini di serie B. Coloro che hanno fondato lo Stato d’Israele erano ebrei, in gran parte, sfuggiti allo sterminio nei lager nazisti. Uno Stato degli ebrei era un porto sicuro. Lo è anche oggi, a oltre settant’anni dalla sua nascita. Ma proprio perché la nostra è storia di pogrom, di stermini, la parola inclusione dovrebbe essere parte di una identità nazionale più ricca e condivisa. Questa è la sfida del futuro. Una sfida di libertà. E di democrazia”.

 

 

 

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