In Libia l'affondo finale di Erdogan contro Haftar: bandiera turca su Tripoli
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In Libia l'affondo finale di Erdogan contro Haftar: bandiera turca su Tripoli

Il Sultano sempre più intenzionato a mettere le mani sul paese: durante il regno Ottomano, i turchi colonizzarono e dominarono la vita politica della regione con una grossa migrazione dall'Anatolia

Erdogan e Serraj
Erdogan e Serraj
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Maggio 2020 - 14.26


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Il Sultano va alla resa dei conti con il Generale. E prova a bissare l’operazione condotta in Siria. Erdoğan contro Haftar: lo scontro finale. Il Sultano di Ankara non fa passi indietro sulla Libia e annuncia possibili “nuovi passi” che la Turchia è pronta a compiere “con la forza” per sostenere il presidente Fayez al- Sarraj, sotto attacco da parte dell’uomo non più tanto forte della Cirenaica.

“Se I terroristi e il regime di Haftar non saranno messi sotto controllo allora sapremo come intervenire con la nostra forza. Siamo pronti a compiere nuovi passi in base agli sviluppi che avverranno in questa cornice. È giunto il momento per Haftar di iniziare a ritirarsi. Non sarà mantenuto in piedi dai Paesi che continuano a sostenerlo di continuo. Aspettiamo buone notizie per la Libia”, ha detto ieri sera il presidente turco.

Il Sultano all’incasso

“La recente operazione per sconfiggere Khalifa Haftar è stata effettuata grazie al sostegno fornito al Governo di accordo nazionale riconosciuto a livello internazionale”, ha rimarcato Erdoğan riferendosi all’intervento militare turco a Tripoli. “La Turchia è determinata a trasformare la regione in un’oasi di pace continuando a sostenere il governo legittimo in Libia”, ha sottolineato Erdogan in un discorso televisivo tenuto ieri sera dopo aver presieduto una riunione del governo. “Ad ogni passo compiuto Haftar affronta la resistenza della gente anche nelle aree che occupa, e quindi gli sforzi degli Stati che gli forniscono armi e un sostegno finanziario illimitato non saranno sufficienti per salvarlo…”.

Gli interessi in gioco

Storia, geopolitica, petrolio, ricostruzione: è il mix di ragioni che spingono Erdoğan ha mettere le mani sulla Libia.

Durante il regno Ottomano, i turchi colonizzarono e dominarono la vita politica della regione, e la composizione etnica della Libia cambiò sostanzialmente con la migrazione dei turchi dall’Anatolia nel Maghreb, fino all’Algeria, con la determinazione di una nuova entità etnica locale, i “Kouloughlis”, una popolazione con sangue misto turco e maghrebino.

Nel 2011, anno della caduta di Gheddafi, i cittadini turchi residenti in Libia erano circa 25.000. Fredde in precedenza, le relazioni tra Ankara e Libia si rafforzarono quando, a seguito dell’embargo militare decretato dagli Usa alla Turchia per l’intervento a Cipro nel 1974, fu la Libia a garantire all’aviazione turca i pezzi di ricambio per i caccia di fabbricazione statunitense in dotazione. D’allora, l’incidenza turca in Libia è cresciuta esponenzialmente.

Quando l’allora primo ministro e attuale presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdoğan, nel settembre 2011 fece visita a Tripoli, ricevette un’accoglienza da star da parte dei libici. Oggi, la Libia è il terzo partner commerciale della Turchia in Africa. Sono innumerevoli i trattati bilaterali tra i due paesi, tra i quali vanno ricordati l’Accordo per il rafforzamento della cooperazione economica e tecnica (1975) e l’Accordo bilaterale per gli investimenti e la protezione (2009). I due paesi hanno inoltre deciso di dar vita, l’anno prossimo, a un accordo di libero scambio.

Non basta. La Turchia è tra i maggiori investitori in Libia. Sono stati firmati accordi per realizzare progetti d’intervento in Libia, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari. In termini di quantità di lavoratori impiegati nella realizzazione di opere all’estero da parte della Turchia, la Libia è il secondo mercato dopo la Russia.

La crisi siriana ha fortemente indebolito le rotte del petrolio da Arabia Saudita, Iran, Iraq e stati del Golfo. E questo ha portato Ankara a puntare decisamente, nella “battaglia del petrolio”, al sud del Mediterraneo e dunque alla Libia. Mentre altri patteggiavano sotto traccia con milizie o andavano alla ricerca, in terra libica, di improbabili uomini forti a cui affidare il ruolo di gendarme del Mediterraneo, la Turchia ha sviluppato una penetrazione a trecentosessanta gradi, dalla cultura all’alimentazione. 

I turchi hanno aperto a pioggia ristoranti e negozi, mentre diciannove miliardi di dollari sono stati investiti nel campo delle costruzioni attraverso la Turkey Contractors’ Association..Quel che è certo è che ora Erdoğan giocherà qualche asso nella manica per ribadire la presenza necessaria di Ankara sul tavolo libico. E questa carta potrà essere, inevitabilmente, quella dei Fratelli musulmani. Una carta fondamentale, condivisa dalla Turchia e dal Qatar, alleati in Medio Oriente e anche nella partita libica.

E Roma perde altri punti

Mentre le azioni del Sultano crescono a dismisura presso Sarraj – “Erdogan sta al premier libico, come Putin sta ad Assad”, dice a Globalist una fonte diplomatica italiana che conosce molto da vicino il dossier libico – a Tripoli quelle italiane sono in caduta libera. Il vice premier libico, Ahmed Maiteeg, ha affermato che l’operazione Irini dell’Unione europea – vanto del titolare della Farnesina, Luigi Di Maio – per monitorare l’embargo delle armi delle Nazioni Unite sulla Libia “non è sufficiente e trascura il monitoraggio delle frontiere aeree, marittime e terrestri orientali della Libia”. “L’Unione europea non ha consultato il nostro governo prima di prendere la decisione di avviare l’operazione che si affaccia sui confini orientali”, ha aggiunto Maiteeg durante un incontro con l’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Buccino secondo quanto scrive l’ufficio informazioni del Gna in una nota. 

Fuori dall’ufficialità, una fonte di Tripoli vicina ad al-Sarraj non nasconde a Globalist la delusione e l’irritazione del primo ministro verso quello che definisce “la diplomazia delle chiacchiere portata avanti dall’Italia nella fase decisiva del conflitto. Più volte il presidente Conte e il ministro degli Esteri Di Maio – spiega la fonte – ci hanno ribadito il loro sostegno, ma alle parole non sono seguiti i fatti. Non solo: sappiamo che Roma ha mantenuto aperti canali di comunicazione con il golpista Haftar. E questo non va affatto bene…”.

Il cerchiobottismo italiano porta al disastro ben fotografato dall’ex vice ministro degli Esteri, e profondo conoscitore della realtà libica e nordafricana, Mario Giro: L’abbiamo visto già in Siria e ora la storia si ripete: due potenze (una maxi e l’altra media) stanno prendendo progressivamente il controllo del Mediterraneo, mediante una sofisticata manovra competitiva e allo stesso tempo cooperativa tra i due. In Siria comandano Mosca e Ankara; dopo aver tentato un ruolo autonomo, l’Arabia Saudita si sta allineando; a Cipro (e ai suoi campi petroliferi offshore) non ci si può avvicinare senza il permesso turco; l’Egitto è preso in tenaglia e dovrà adeguarsi; Algeria e Tunisia hanno i loro problemi interni. La sponda nord (cioè l’Europa) lascia correre: non fa politica estera, non negozia, non riflette sul da farsi. Il problema è innanzi tutto italiano. Paradossale rammentare che eravamo il primo partner commerciale di Damasco e Tripoli: ora ci manderanno via, lentamente ma sicuramente. Presi dalla nostra ossessione migratoria non abbiamo visto ciò che accadeva: l’espansione strategica turca (che l’Italia stessa cacciò dalla Libia nel 1911) e il ritorno della Russia nel Mediterraneo”.

Mosca si allontana da Haftar

A mollare il Generale è l’alleato politicamente più importante: la Russia. Un apporto militare fatto trapelare da Mosca e definisce “ad un passo dal precipizio” la situazione delle forze del generale intorno a Tarho una la roccaforte a sud-est della capitale decisiva, assieme alla base aerea di Watiya più a sud, per mantenere la pressione militare su Tripoli. Secondo quel rapporto i rifornimenti dell’Lna (di Haftar sono ormai in balia dei droni forniti a Tripoli dalla Turchia. Ma il rapporto, oltre a descrivere le difficoltà logistiche Haftar, fa anche capire come l’alleato russo non abbia nessuna intenzione di porvi rimedio. ’insofferenza di Mosca era già emersa il 28 aprile quando Haftar aveva tentato di metter da parte Aguila Saleh, presidente del parlamento di Tobruk, colpevole di appoggiare un piano di pace Onu basato sulle conclusioni della Conferenza di Berlino. “Non approviamo – faceva sapere il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov – le dichiarazioni con cui il Maresciallo Haftar  sembra voler decidere da solo la vita del popolo libico”.  Se non è uno scaricamento definitivo, poco ci manca.

Guerra totale

Intanto, sono ripresi questa mattina gli scontri tra le forze del Governo di accordo nazionale libico (Gna) del premier Fayez al Sarraj e quelle dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) di Khalifa Haftar, nei dintorni della base aerea di al Watiya, ultima roccaforte dell’Lna in Tripolitania insieme a Tarhuna, situata 70 chilometri a sud-ovest di Sebrata. Le forze fedeli a Sarraj si sono radunate ieri a sud di Tripoli per preparare l’attacco. Fonti militari della capitale libica riferiscono che è in previsione anche l’attacco alla cittadina di Asbi’ah, vicino a Ghariyan. Sono le forze delle tribù berbere e le forze appartenenti al generale Osama Al-Juweili che si stanno radunando vicino alla città di Asbi’ah. Gli uomini di al Juweili si sono mosse dall’interno della zona di Jabal Nefusa per partecipare all’attacco alla base di al Watiya.

E a sostenerli, sul campo, sono gli uomini del Sultano.

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