Viaggio nell'inferno del "faraone" al-Sisi, dove anche l'ironia è una condanna a morte

Shady Habash è morto a soli 22 anni, da 26 mesi attendeva il processo. Era a Tora, la stessa prigione dove è detenuto Patrick Zaki“. "Colpevole" di aver fatto un video su Al-Sisi

Shady Habash ucciso dalla repressione di Al Sisi
Shady Habash ucciso dalla repressione di Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Maggio 2020 - 16.44


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Nell’Egitto del “faraone” al-Sisi si muore in una cella dove sei stato rinchiuso per avere girato un video ironico sul presidente-generale. Nello stato di polizia egiziano, l’ironia è una minaccia alla sicurezza nazionale, e chiunque si macchia di questo “delitto” va messo a tacere. Definitivamente. E’ la storia di Shady Habash.

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“Con i compagni di cella hanno gridato tutta la notte per chiedere un medico ma nessuno è intervenuto. 

Shady Habash è morto a soli 22 anni, da 26 mesi attendeva il processo. Era a Tora, la stessa prigione dove è detenuto Patrick Zaki“. Così all’agenzia Dire Amr Abdelwahab, un amico di Zaki, il ricercatore egiziano arrestato l’8 febbraio scorso con l’accusa di sedizione tramite i social network e da allora in detenzione cautelare nel carcere di massima sicurezza del Cairo.

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Colpevole di ironia

Habash era stato arrestato nel marzo 2018 con l’accusa di “diffusione di notizie false” e “appartenenza a un’organizzazione illegale”, secondo la procura, ma mai processato. Aveva realizzato il videoclip della canzone “Balaha” (dattero), di Rami Issam, un cantante rock che si era fatto un nome durante la rivolta popolare del gennaio-febbraio 2011 contro l’allora presidente Hosni Mubarak e fuggito in esilio in Svezia.      Un tempo censurato in Egitto, il filmato è stato visto più di 5 milioni di volte su YouTube. Secondo la Rete araba per i diritti umani e l’informazione (Anhri) Habash è morto per “negligenza e mancanza di giustizia”. Il giovane regista non è mai stato processato. Nessun commento al momento del governo egiziano. In una lettera pubblicata lo scorso ottobre dai suoi colleghi, Habash aveva scritto: “Ho bisogno del vostro sostegno per scampare alla morte. Negli ultimi due anni ho cercato di resistere essere la stessa persona che conoscete una volta uscito dal carcere, ma non posso più farlo”

Sulle cause ufficiali della morte di Habash ci sono notizie contrastanti e non è chiaro se sia stato contagiato dal Covid-19 o morto per altri motivi. Da due mesi a questa parte il governo del Cairo ha deciso di interrompere i processi e soprattutto le visite e i contatti dei familiari, specie per i detenuti politici. Il giovane regista non è mai stato processato. Silenzio da parte del governo egiziano.

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“Quanto è accaduto- aggiunge Amr Abdelwahab all’agenzia italiana –  la dice lunga sullo stato in cui versano i servizi medico-sanitari all’interno del carcere di Tora, nel bel mezzo di una epidemia poi”. Da tempo difensori per i diritti umani e associazioni egiziane e internazionali denunciano arresti arbitrari e gravi violazioni all’interno delle carceri. Le organizzazioni sostengono che dopo il colpo di stato del 2013, che ha portato al potere il presidente al-Sisi, decine di migliaia tra manifestanti, intellettuali ed oppositori politici sarebbero finite dietro le sbarre.

E così  Shady è finito nell’immenso cimitero dei deceduti, dentro e fuori le galere, che è l’Egitto di al-Sisi. Dove prosegue il perfido tormento dello “stop and go” che una magistratura asservita all’esercito ha adottato nei confronti di migliaia di giovani. Fermati, arrestati, rilasciati e ricondotti alla spirale di partenza.

Amr Abdelwahab alla Dire conclude: “Nel suo ultimo messaggio, Shady aveva scritto: Sostengono che la prigione non possa ucciderti, ma la solitudine può. Per questo ho bisogno del sostegno di ognuno di voi all’esterno affinché io sopravviva‘. In pratica- dice l’attivista- ci chiedeva di non essere dimenticato”.

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Anche Patrick Zaki, attivista e ricercatore iscritto a un master dell’Università di Bologna, ha chiesto tempo fa la stessa cosa. Per lui si è creata una mobilitazione internazionale per chiederne la scarcerazione sostenendo che le accuse a suo carico sono false e illegali”. Ma Zaki resta in galera. E cresce di giorno in giorno la preoccupazione per le sue condizioni psico-fisiche e per la sua stessa vita.

Desaparecidos

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).  Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi.

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L’inferno all’ombra delle Piramidi

Le autorità egiziane tengono i detenuti minorenni insieme agli adulti, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani. In alcuni casi, sono imprigionati in celle sovraffollate e non ricevono cibo in quantità sufficiente. Almeno due minorenni sono stati sottoposti a lunghi periodi di isolamento. Un quadro agghiacciante è quello che emerge da un recente rapporto di Amnesty International. Le autorità egiziane hanno sottoposto minorenni a orribili violazioni dei diritti umani come la tortura, la detenzione in isolamento per lunghi periodi di tempo e la sparizione forzata per periodi anche di sette mesi, dimostrando in questo modo un disprezzo assolutamente vergognoso per i diritti dei minori”, denuncia Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International. “Risulta particolarmente oltraggioso il fatto che l’Egitto, firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, violi così clamorosamente i diritti dei minori”, sottolinea Bounaim.

Minorenni sono stati inoltre processati in modo iniquo, talvolta in corte marziale, interrogati in assenza di avvocati e tutori legali e incriminati sulla base di “confessioni” estorte con la tortura dopo aver passato fino a quattro anni in detenzione preventiva. Almeno tre minorenni sono stati condannati a morte al termine di processi irregolari di massa: due condanne sono state poi commutate, la terza è sotto appello.

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Sulla base del diritto internazionale, il carcere dev’essere solo l’ultima opzione per i minorenni. Sia la legge egiziana che le norme internazionali prevedono che i minorenni debbano essere processati da tribunali minorili. Tuttavia, in Egitto ragazzi dai 15 anni in su vengono processati insieme agli adulti, a volte persino in corte marziale e nei tribunali per la sicurezza dello Stato. Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza.  Dal 2014 sono state emesse oltre 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite.  La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.  La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive conclude Bounaim.

La tortura di Stato non risparmia i bambini

“Ci sono bambini che descrivono di essere stati vittime di ‘”waterboarding” e di scariche elettriche sulla lingua e sui genitali, senza alcuna conseguenza giuridica per le forze di sicurezza egiziane,” spiega Bill Van Esveld, responsabile del settore diritti dei bambini di Human Rights Watch (Hrw). Nel rapporto di 43 pagine, Hrw sostiene di aver documentato abusi contro 20 ragazzi di età compresa tra 12 e 17 anni al momento dell’arresto. Quindici di loro hanno dichiarato di essere stati torturati in detenzione preventiva, di solito durante un interrogatorio tenuto mentre erano in isolamento. Sette bambini hanno riferito che gli agenti di sicurezza li hanno torturati con l’elettricità, incluso il “taser”. Tra le storie riportate nella denuncia quella di un ragazzo che ha raccontato di essere stato arrestato all’età di 16 anni e che temeva di non poter “sposarsi o essere in grado di avere figli” a causa di ciò che gli avevano fatto gli agenti di sicurezza durante la detenzione. Le accuse di Hrw sono confermate da Belady, un’organizzazione non governativa che aiuta i bambini di strada che ha raccolto testimonianze verificate dei ragazzi, delle loro famiglie e degli avvocati difensori, e documenti giudiziari, ricorsi alle autorità, cartelle cliniche e video. “I racconti strazianti di questi bambini e delle loro famiglie rivelano come il meccanismo di repressione egiziano abbia sottoposto i bambini a gravi abusi,” spiega Aya Hijazi, condirettrice di Belady. Hijazi, che ha la doppia cittadinanza egiziana e americana è stata arrestata per l’attivismo di Belady, che in arabo significa “la nostra nazione”. È stata arrestata insieme a suo marito e ad altri sei nel maggio 2014 con l’accusa di abuso di minori per poi essere assolta e rilasciata ma dopo aver trascorso in carcere quasi tre anni.

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Questo è l’Egitto ai tempi di al-Sisi. Va ricordato al nostro Governo, in nome di Giulio Regeni, vittima di un assassinio di Stato che a distanza di anni è rimasto impunito.

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