In Siria la pandemia non ferma i criminali di guerra
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In Siria la pandemia non ferma i criminali di guerra

L’arrivo del Coronavirus in  Siria e il primo morto da Coronavirus nel Paese mediorientale non fermano i raid della Turchia a nord

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30 Marzo 2020 - 15.43


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Siria, il Covid-19 non ferma la guerra. L’arrivo del Coronavirus in  Siria e il primo morto da Covid-19 nel Paese mediorientale non fermano i raid della Turchia a nord. Ciò, nonostante Damasco e le Sdf si siano impegnate per la tregua umanitaria chiesta dall’Onu. Nelle ultime ore, le Taf hanno bombardato alcune aree ad Aleppo e i villaggi di Ain Issa e Tal Abyad. Colpiti anche il quadrante di Afrin e la M4. Obiettivo: le forze arabo-curde e alcuni gruppi di ribelli. La causa è semplice, rimarca su Difesa&Sicurezza Francesco Bussoletti, “.

Ankara, essendo bloccata a Idlib dall’accordo con la Russia, sta volgendo l’attenzione a est dove non ci sono formali limiti alla sua l’operatività. Ciò per evitare, nel caso in cui riparta l’operazione Spring Shield contro l’esercito di Bashar Assad (Saa), attacchi alle spalle. Già nei giorni scorsi, infatti, c’erano timori in questo senso e il presidente siriano era stato costretto a inviare rinforzi ad Ain Issa”.

La tragica verità è che neanche la pandemia ferma i criminali di guerra che continuano a devastare la Siria: Putin, Erdogan, Khamenei, Assad, e l’elenco include gli emiri del Golfo, i regnanti sauditi…

 Coprifuoco

All’indomani dell’annuncio della prima morte per Coronavirus in Siria, il governo proroga fino al 16 aprile le misure restrittive per tentare di frenare il diffondersi del Covid-19 nei territori controllati dalle forze lealiste: l’agenzia governativa siriana Sana riferisce che il governo ha deciso di prolungare il coprifuoco notturno, imposto a tutto il territorio, dalle 18:00 alle 6:00. Il governo ha anche ordinato che ogni distretto amministrativo, all’interno di ciascun governatorato, sia isolato dal resto degli altri distretti: sono dunque proibiti gli spostamenti da una città all’altra della Siria, così come dai capoluoghi di governatorato ai centri periferici e minori. Nella Siria governativa si registrano finora ufficialmente nove casi positivi, ma secondo diverse fonti locali, infatti, le persone colpite del Covid-19 sarebbero già molte di più delle nove annunciate. Non solo nell’area di Damasco, ma anche in diverse altre province. Da Deir Ezzor, dove si ritiene sia esploso il contagio grazie ai miliziani iraniani e a Isis, a Idlib.. Ciò che preoccupa di più sono i luoghi sovraffollati, come i campi profughi e le prigioni di Assad. I più vulnerabili sono i 6,5 milioni di sfollati interni e il milione di disperati siriani ammassati lungo il confine con la Turchia. La provincia di Idlib, fortemente provata dai bombardamenti, non ha più strutture adeguate per curare eventuali malati di Coronavirus. Solo il 64% degli ospedali e il 52% dei centri sanitari primari esistenti prima del 2011 funzionano, mentre il 70% degli operatori sanitari del Paese è andato via. Uno scenario davvero inquietante, quindi, si ipotizza in Siria se l’epidemia inizia a diffondersi.

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Appelli nel vuoto

L’Unione europea ha aggiunto la sua voce alla richiesta dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Geir Pedersen per un “cessate il fuoco immediato e nazionale in tutta la Siria, in particolare nell’ottica della pandemia di coronavirus. Il cessate il fuoco recentemente concordato a Idlib rimane fragile. Deve essere confermato ed esteso a tutta la Siria”. Lo riferisce una nota del servizio di azione esterna dell’Ue. “La fine delle ostilità nel Paese è di per sé importante, ma è anche una condizione preliminare per arrestare la diffusione del coronavirus e proteggere una popolazione già in difficoltà dalle sue conseguenze potenzialmente devastanti, in particolare a Idlib con il suo alto numero di sfollati”, continua la nota.
L’Ue ribadisce inoltre l’appello dell’inviato speciale per un rilascio su larga scala di detenuti dal regime siriano.

Il contagio iraniano

La vicinanza con l’Iran e, soprattutto, i legami con i persiani nelle strategiche alleanze per il conflitto, rappresentano un grave allarme per la Siria, proprio sul fronte Coronavirus. In nome del sostegno offerto al presidente Assad nel conflitto interno, sono migliaia i militanti iraniani ormai stanziati in Siria o che continuano ad arrivare, nello specifico nella periferia di Damasco, a maggioranza sciita.
La capitale siriana, inoltre, è ancora meta di pellegrinaggi che attirano numerosi iraniani. In Iraq, per esempio, alcuni pellegrini tornati dalla Siria sono risultati positivi al Covid-19. La vicinanza e mescolanza tra iraniani e siriani, quindi, potrebbe essere fatale e, probabilmente, sta già causando contagi nel Paese lacerato dalla guerra.
Idlib, l’inferno in terra
Nei campi nella regione di Idlib, ancora controllato dalle forze ostili al regime di Damasco, sono arrivati dallo scorso dicembre circa 950 mila persone, in fuga dall’offensiva delle truppe lealiste spalleggiate dall’aviazione di Mosca. I bombardamenti hanno colpito molte strutture sanitarie della regione, ospedali, cliniche, annientando una possibile risposta al Coronavirus.  

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“Centinaia di migliaia di persone vivono in tende sovraffollate”, spiegano i Caschi bianchi, il corpo civile di intervento e soccorso che opera nelle zone non sotto il controllo di Damasco. I Caschi bianchi hanno lavorato con altre organizzazioni per preparare 60 posti letto nell’eventualità di una crisi sanitaria, e sono state fatte alcune operazioni di sterilizzazione di spazi comuni nella provincia di Aleppo, ma le strutture mediche dell’area sono al collasso, meno della metà degli ospedali è ancora attiva. “Più di 3,5 milioni di civili sono intrappolati nel nord ovest della Siria con ospedali bombardati e servizi sanitari molto limitati. Una epidemia di coronavirus è solo questione di tempo e il numero di persone che potrebbero essere colpite potrebbe essere devastante”, scrive Laila Kiki direttore di Syria Campaign. Ad oggi verificare l’esistenza di casi di Coronavirus è ancora impossibile a Idlib perché non ci sono i test. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto sapere di esser pronta a cominciare a sottoporre la popolazione ai tamponi.

Secondo Adam Coutts, specialista di salute pubblica dell’Università di Cambridge, i profughi sono tra le persone più vulnerabili al virus. “L’Oms ha chiesto a tutti i Paesi di prepararsi per contenere la diffusione del Covid-19, ma molto poco è stato fatto per aiutare in questo senso le popolazioni che vivono nei campi profughi in Medio Oriente e in Europa”. La stessa denuncia è giunta da parte del personale dell’Organizzazione per le migrazioni, dell’Alto commissariato Onu e per i rifugiati e di altre ong. “Neanche al campo di Moria, sull’isola di Lesbo, che ospita 20 mila persone quand’era stato pensato per sole 3 mila, c’è abbastanza acqua per lavarsi le mani né c’è la possibilità di mantenere una distanza di sicurezza tra le persone”, dice Hilde Voochten, coordinatrice sanitaria di Medici senza frontiere.
Annota su Internazionale Pierre Haski, direttore di France Inter: “La regione di Idlib, nel nord della Siria, offre un esempio tragico di cosa sta accadendo. Durante gli ultimi mesi più di un milione di civili è fuggito dall’offensiva dell’esercito di Bashar al-Assad, che con l’aiuto dell’aviazione russa vorrebbe riprendere il controllo dell’ultima regione che ancora gli sfugge. Durante l’offensiva gli ospedali sono stati presi di mira dai bombardieri russi.  Secondo il dottor Raphaël Pitti, medico francese che opera nella zona, il coronavirus è ormai arrivato a Idlib. I segnali sono inequivocabili, anche se non esiste ancora la possibilità di effettuare test. “La catastrofe è già qui”, spiega Pitti. Il contesto è disastroso: precarietà, promiscuità nei campi e il 54 per cento dei residenti affetto da malnutrizione”.

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Janine Janine Lietmeyer, Team Leader Middle East del Malteser International, l’agenzia di soccorso internazionale dell’Ordine di Malta, sottolinea che “la situazione nel Nord-Ovest della Siria era già molto fragile prima dell’epidemia di Coronavirus, ora con quasi un milione di nuovi sfollati interni in movimento, una rapida diffusione del virus provocherebbe conseguenze oltre ogni immaginazione. Il sistema sanitario già ora non è in grado di affrontare le conseguenze legate alla guerra”.

Ma la guerra non si ferma. In Siria, come in Yemen, in Afghanistan, in Libia… Globalist non lo dimentica.

 

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