Chiudono i porti. Svuotano il Mediterraneo. In nome dell’emergenza sanitaria. Una emergenza che porta a respingere i disperati che fuggono dall’inferno, non in quarantena, di guerre, pulizie etniche, disastri ambientali e catastrofi sanitarie in Paesi che non hanno le strutture adeguate per far fronte alla pandemia di Covid-19.
L’emergenza sanitaria tende a giustificare tutto: l’esercito nelle strade, i droni di controllo, ed ora anche la chiusura dei porti italiani a migranti e rifugiati.
“L’Italia in questo momento non è disponibile a dare i propri porti per gli sbarchi nell’ambito della nuova missione Ue per fermare l’ingresso di armi in Libia. Non si tratta di voler essere buoni o cattivi, si tratta semplicemente di misurare le nostre forze e metterle tutte a disposizione dei nostri concittadini. L’Italia ora non può, chiede e vuole essere aiutata”.
E’ il messaggio che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha rivolto ai sui colleghi europei riuniti ieri in videoconferenza. L’Italia chiede, giustamente, di essere aiutata. Ma chi aiuta i disperati che fuggono dall’inferno dei lager libici e da un Paese in guerra da oltre nove anni?
Alla narrazione, falsa ma pagante in chiave elettorale, dell’”invasione dei migranti”, rischia ora di sostituirsi quella, non meno pericolosa, dell’”invasione di untori”, contro cui far fronte sbarrando porti e rendendo impossibile l’opera delle Ong nel Mediterraneo. Ma anche ai tempi del Coronavirus, la solidarietà non va in quarantena.
In Libia ci sono ancora uomini, donne e bambini che rischiano la vita ogni giorno – rimarca Riccardo Gatti, presidente di Open Arms – in Libia il coronavirus non è l’unico problema, la loro vita è violata. Tutti i giorni”. E poco o nulla sembra importare, a Palazzo Chigi come alla Farnesina, che in Libia sia scattato l’allarme rosso nei lager dove sono confinati migliaia di migranti: il Coronavirus potrebbe determinare una carneficina sanitaria in questo girone dell’inferno.
“E’ evidente che la presenza di Covid-19 in Italia e in Europa non fermerà le partenze” allerta il sito di informazioni internazionali Ofcs.report . Anzi, vale il discorso inverso. Il “rischio di rimanere infettati in Libia è motivo di ansia viste le strutture sanitarie carenti che non raggiungono gli standard italiani e europei. E forse i migranti, oltre che dalla guerra, fuggono anche dal rischio di rimanere contagiati ed essere costretti a curarsi in loco”, rimarcano fonti locali del sito. La risposta a questa catastrofe annunciata non può essere la blindatura dei confini e la chiusura dei porti. Di tutto oggi abbiamo bisogno, tranne che della traduzione, ai tempi del Coronavirus, del “mors tua vita mea”.
Saremmo degli idealisti, ma al motto di Cicerone, noi di Globalist preferiamo quello, meno studiato ma praticato anche al prezzo della vita, di Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani”.