Africa: la bomba a orologeria chiamata Coronavirus
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Africa: la bomba a orologeria chiamata Coronavirus

Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Ghebreyesus, ha confessato di temere l’esplosione dell’epidemia nei Paese africani dove i sistemi sanitari non sono all’altezza

Paura per il Coronavirus in Africa
Paura per il Coronavirus in Africa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Marzo 2020 - 16.52


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L’Europa si blinda per fronteggiare la pandemia del coronavirus. Blinda le frontiere esterne, blocca la libera circo c’è un continente che se “infettato” trasformerebbe l’incubo di una catastrofe sanitaria di proporzioni apocalittiche in un una tragica realtà. Quel continente è l’Africa. L’allarme è scattato. Ad oggi sono almeno 30, su 54, i Paesi che hanno registrato casi di contagio del virus Covid-19, circa 400, perlopiù importati dall’Europa.

Allarme dell’Oms

Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Ghebreyesus, ha confessato di temere l’esplosione dell’epidemia nei Paese africani dove i sistemi sanitari non sono all’altezza. Sono stati stanziati 15 milioni di dollari per i Paesi più a rischio. Il direttore regionale dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Moeti, ha evidenziato le lacune nella preparazione ad un’eventuale emergenza: “Dobbiamo dare urgentemente priorità al rafforzamento delle capacità dei Paesi di trattare i pazienti in strutture di isolamento e di migliorare l’infezione, la prevenzione e il controllo nelle strutture sanitarie e nelle comunità”.. Il continente africano non è pronto a gestire i numeri europei e cinesi, nel caso in cui si verificassero. Uno studio pubblicato il 19 febbraio scorso sulla rivista scientifica Lancet mostra che i Paesi a più alto rischio sono Egitto, Algeria e Sudafrica, tra i più attrezzati, seguiti da Nigeria e Etiopia. Marocco, Sudan, Angola, Tanzania, Ghana, Tanzania e Kenya presenterebbero ad oggi un rischio di importazione moderato del virus dalla Cina. Nella regione africana, si legge ancora su Lancet, le risorse per allestire sale di quarantena per i casi sospetti negli aeroporti e negli ospedali, o per rintracciare i contatti dei casi confermati, potrebbero essere scarse. Il 74% dei Paesi africani ha un piano di preparazione alla pandemia influenzale. Tuttavia, la maggior parte di questi piani è obsoleta e considerata inadeguata ad affrontare una pandemia globale.

Per questi motivi, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive (Centres for Disease Control and Prevention, o Cdc) nel continente africano si stanno mobilitando per fare in modo che, entro la fine di questo mese, il 90% dei Paesi africani sia ben equipaggiato per testare accuratamente Covid-19. Infatti, la disponibilità di test diagnostici è una delle basi per fermare il contagio. Facendo riferimento agli ultimi aggiornamenti dei Cdc africani, sono oltre 15 i Paesi che dispongono di kit, e circa 10 quelli che ne entreranno in possesso a breve.
Sistemi sanitari in Africa
Secondo l’Onu, il continente africano ospita solo il 3% del personale medico mondiale, nonostante sopporti oltre il 24% del carico globale di malattie. La media italiana è di circa 376 medici ogni 100mila abitanti. E, nonostante la debolezza del sistema, l’accesso all’assistenza sanitaria è limitato dalla capacità di pagamento dell’individuo. Inoltre, le malattie infettive sono la causa del 40% dei decessi nei Paesi in via di sviluppo – l’1% in quelli industrializzati

“Siamo molto preoccupati – dice al settimanale Vita Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa-Italia – .Ancora una volta, come per ebola, ci si rende conto quanto i Paesi del mondo, che spesso nel sentir comune riteniamo lontani, siano così vicini, uniti e strettamente connessi. Occuparci della salute nei Paesi più fragili, nelle aree più remote, ancora una volta, si dimostra una risposta non locale, banale, ma essenziale. La salute è un bene globale, interconnessa. La salute della Cina oggi ci riguarda ancora di più. La salute dell’Africa lo stesso. Ma non può essere solo in questi casi di emergenza mondiale. Bisogna prepararsi, formarsi in salute. Si tratta di un lavoro più lungo, meno in vista, ma che nel tempo ripaga, perché costituisce la spina dorsale di un Paese. Ecco perché dal 1957, non mettendoci al posto delle istituzioni, lavoriamo per rafforzare i sistemi sanitari. Oggi, come dimostra l’attualità e la nostra storia, la tecnologia può venirci incontro. Lo facemmo con gli aeroplani e i ponti radio in Africa a fine anni 50 per garantire salute. Lo facciamo oggi con la formazione tramite nuove tecnologie. Arrivare a persone formate in ambito sanitario, attraverso un telefonino, con delle semplici informazioni su come aiutare le comunità a difendersi, oggi può essere cruciale”.

Il continente vanta anche città e slum sovraffollati, dove risulterebbe difficile imporre il distanziamento sociale, e la convivenza di diverse generazioni sotto lo stesso tetto, per cui potrebbe non rivelarsi efficace la decisione di imporre la reclusione in casa, dove i più anziani sarebbero comunque esposti al pericolo di infezione. E ancora, ha sottolineato a Science Francine Ntoumi, parassitologa dell’Università Marien Ngouabi della Repubblica del Congo, come si può chiedere alle popolazioni dei villaggi di lavarsi le mani, quando non c’è acqua, o di usare i disinfettanti per le mani quando non ci sono abbastanza soldi neanche per comprare il cibo? “Temo sarà il caos”, ha commentato.

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha raccomandato di eseguire test a ogni caso sospetto di contagio per contenere la diffusione del coronavirus, ma non tutti i paesi africani hanno la possibilità di farlo, soprattutto i più fragili. Come la Libia, che ha chiuso frontiere e porti, scuole e università, e vietato eventi pubblici, sebbene non abbia finora confermato alcun caso di Covid-19, e da dove continuano a partire i migranti alla volta dell’Europa, come testimoniato dalle circa 400 persone intercettate in mare e riportate a Tripoli negli ultimi giorni. “Questa malattia andrà presto via, quindi non ho paura di andare in Europa”, ha detto un migrante ivoriano, citato da InfoMigrants, prima che l’Ue decidesse di chiudere le frontiere esterne per un mese. Altri Stati particolarmente vulnerabili sono la Somalia, che ha vietato tutti i voli internazionali dopo il primo caso di contagio, e il Sudan che oggi ha dichiarato lo stato di emergenza, chiudendo tutti gli aeroporti e le frontiere terrestri e marittime, dopo aver registrato sabato scorso il primo caso, con il decesso di un uomo rientrato dagli Emirati Arabi Uniti. 

In una riunione dei ministri della salute dei Paesi dell’Unione africana (Ua) ad Addis Abeba, lo scorso 22 febbraio, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva già invitato a una riorganizzazione nella lotta contro il coronavirus. “La nostra principale preoccupazione continua a essere il potenziale di diffusione nei paesi con sistemi sanitari più precari – ha affermato il capo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – perché se il virus inizia a diffondersi nel continente, i sistemi sanitari richiederanno cure e attrezzature, come reparti di rianimazione o respiratori, che molti paesi africani non possiedono”.

Alla stessa maniera è giunta la richiesta di “reciproco sostegno sanitario” e di maggiore “controllo e prevenzione” dal presidente dell’Ua, Moussa Faki Mahamat: “L’Africa è ancora più vulnerabile a causa dei suoi sistemi sanitari relativamente poveri”.

Il timore dell’Oms è che, nonostante la percentuale di letalità del coronavirus sia bassa, questa possa aumentare in maniera esponenziale viste le condizioni in cui vive più del 40% della popolazione africana, sotto la soglia di povertà e con un concreto rischio di contagio elevato.

I governi africani hanno cominciato ad adottare misure di contenimento, anche se i numeri di contagio confermati siano spesso ancora a una cifra, cancellando voli, chiudendo scuole, siti di culto e luoghi pubblici.

“Il vero problema in Africa è la struttura sanitaria, che è molto fragile e abbiamo visto come l’impatto del coronavirus abbia messo in difficoltà una sanità organizzata come la Lombardia. Figuriamoci in paesi molto poveri, con ospedali già sovraffollati o comunque con grandi difficoltà, e una rete poco capillare di ambulatori e presidi medici sul territorio”, dice  Formiche.net Enrico Casale, giornalista della rivista dei Padri Bianchi, i Missionari D’Africa, “Africa“.

Rapporti con la Cina

La Cina è il principale partner commerciale dell’Africa e circa 10mila aziende cinesi stanno attualmente operando in tutto il continente, secondo la rivista Forbes. L’Oms ha già identificato 13 Paesi maggiormente a rischio, in base ai collegamenti diretti con la Cina: Algeria, Angola, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zambia.

Il precedente Ebola

Rete sanitaria africana che, di fronte a un attacco epidemico di questo tipo, può certamente vacillare. Come è stato per Ebola. Nella Repubblica Democratica del Congo è stata infatti appena dichiarata la fine dell’epidemia di Ebolavirus, dopo circa un anno e mezzo dal suo esordio. A cui si aggiungono la difficoltà di un territorio in guerra, dove le milizie che si combattono l’un l’altra impediscono aiuti e sostegni alla popolazione. “C’è stata una doppia complicazione, e non è l’unico Paese dove ci sono difficoltà di questo tipo”, spiega Casale.

Anche prima dello scoppio della pandemia, il continente africano stava affrontando sfide enormi (conflitti armati, povertà e malnutrizione, milioni di sfollati, solo per citarne alcune) a cui adesso va ad aggiungersi anche una crisi sanitaria dagli effetti potenzialmente devastanti.

La “profezia” di Gates

Quella di fronte a noi è un’enorme sfida. Una pandemia mette a dura prova i sistemi sanitari, le economie e può causare più di 10 milioni di morti”. Così parlò Bill Gates lo scorso 14 febbraio al meeting annuale della American Association for the Advancement of Science tenutosi a Seattle, soltanto poche ore prima che le autorità egiziane confermassero il primo caso di coronavirus in Africa, un 33enne sbarcato all’aeroporto del Cairo. E proprio alla luce di questo sviluppo, ritenuto da tutti i virologi il rischio maggiore a causa dell’arretratezza di molti sistemi sanitari del Continente africano, fa ancora più sensazione il proseguo del discorso del fondatore di Microsoft: “L’emergenza sanitaria potrebbe rivelarsi estrema, se dovesse diffondersi in aree come l’Africa sub-sahariana o alcune zone dell’Asia. A quel punto, la situazione diverrebbe drammatica. Se questa malattia arrivasse in Africa, creerebbe molti più danni di quanti non ne faccia in Cina..,”.

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