Siria, nove anni di guerra, un popolo annientato
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Siria, nove anni di guerra, un popolo annientato

Un Paese ridotto ad un cumulo di macerie, oltre mezzo milione i morti, in grandissima maggioranza civili

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Marzo 2020 - 11.02


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Nove anni di guerra. Nove anni di distruzione e di morte. Un Paese ridotto ad un cumulo di macerie, oltre mezzo milione i morti, in grandissima maggioranza civili, un popolo ridotto ad una moltitudine di profughi alla mercé di trafficanti di esseri umani o di spregiudicati “Gendarmi”, come il presidente turco Erdogan, che li usano come arma di ricatto verso l’Europa. Un Paese distrutto. Uno Stato fallito. E’ la Siria. A nove anni dall’inizio del conflitto in Siria, che risale al 15 marzo 2011 la crisi umanitaria – aggravatasi da dicembre – rimane più che mai grave. Dal 1° dicembre 2019, più di 961.000 persone sono sfollate nel nord-ovest del Paese, di cui 950.000 scappate da Idlib e Aleppo: la maggior parte di loro sono donne e bambini, costretti a dormire all’aperto in balìa delle temperature rigide perché i campi hanno raggiunto la loro massima capienza. Oggi, quella siriana è la popolazione rifugiata di dimensioni più vaste su scala mondiale. Una situazione su cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) lancia l’allarme, diffondendo anche un appello per le donazioni destinate a supportare le attività di soccorso della popolazione civile stremata dal conflitto, dagli stenti e dall’inverno. Ad oggi, fa sapere l’Unhcr, l’intervento umanitario è stato finanziato solo per il 9%

Oltre un milione di sfollati entro poche settimane La maggior parte delle persone sfollate nel nord-ovest della Siria, spiega l’Unhcr, si trova ora nei governatorati del nord di Idlib e Aleppo, aggravando una situazione umanitaria già allo stremo. Infatti i recenti spostamenti di massa superano l’attuale capacità di risposta, e a causa dei combattimenti il numero degli sfollati interni cresce di ora in ora: si calcola che arriverà a 1,1 milioni di persone entro poche settimane. I combattimenti stanno avanzando verso aree densamente abitate, aumentando l’impatto del conflitto sui civili, e rapporti recenti indicano un aumento degli attacchi aerei e bombardamenti che hanno coinvolto scuole, ospedali e altre infrastrutture civili, causando un alto numero di vittime. Per rispondere attivamente anche ai bisogni dei nuovi sfollati, i partner che fanno parte con Unhcr del cluster di protezione stanno identificando le terre più adatte ad estendere i campi

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I numeri dell’assistenza Ad aggravare la situazione sono anche le rigide temperature invernali. Al 31 gennaio 2020 l’Unhcr, insieme ai suoi partner, ha fornito kit per l’inverno a circa 50.000 persone (10.000 famiglie). Tra il 24 febbraio e il 1° marzo nel governatorato di Idlib sono stati distribuiti kit di emergenza a 5.830 persone. Altre 7.854 persone colpite dal conflitto hanno ricevuto 1.309 tende nei governatorati di Idlib e Aleppo. Inoltre, il 25 e 26 febbraio sono state effettuate due spedizioni tra Turchia e Siria nord- occidentale, trasportando 3.500 kit di emergenza e 900 tende destinate a 22.900 persone di recente sfollate. In totale, 21 camion sono stati utilizzati per effettuare le spedizioni. La situazione dei rifugiati e i Paesi che li accolgono Negli ultimi nove anni, spiega ancora l’Unhcr, i governi e le popolazioni di Turchia, Libano, Giordania, Iraq, Egitto, nonché di alcuni Paesi al di fuori della regione, hanno assicurato ai siriani protezione e sicurezza aprendo loro scuole, ospedali e le proprie case. Nonostante la maggior parte dei rifugiati presenti nei Paesi limitrofi viva al di sotto della soglia di povertà, fa tutto il possibile per guadagnarsi da vivere, investire in un futuro per sé e per le proprie famiglie e contribuire alle economie dei Paesi che li accolgono. Allo stesso tempo, in altre aree del Paese, numerose famiglie e comunità cercano di ricostruire le proprie vite e andare avanti, nonostante la diffusa carenza di servizi, la distruzione delle proprietà e le difficoltà economiche. Ma alcune comunità di accoglienza, ad esempio in Libano, devono far fronte a ristrettezze economiche, e la carenza di aiuti e l’accesso limitato a servizi sanitari e istruzione generano un aumento dei costi giornalieri e rischiano di spingere le famiglie rifugiate in una spirale di vulnerabilità. Per la disperazione, alcuni rifugiati sono costretti a ritirare i propri figli da scuola per farli lavorare e contribuire al sostegno della famiglia. Altri riducono il numero di pasti giornalieri. Esposti a sfruttamento e abusi, altri ancora si danno alla prostituzione, contraggono matrimoni precoci o cadono vittime di lavoro minorile. 

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I finanziamenti Negli anni, molti aiuti – spiega Unhcr – sono arrivati da governi donatori, dal settore privato e dai singoli cittadini. Poi, a quella che era cominciata come una risposta umanitaria, si è aggiunto l’impegno di attori chiave per lo sviluppo, come la Banca Mondiale, che assicura sostegno strutturato a governi e istituzioni dei Paesi di accoglienza. Dal 2012, oltre 14 miliardi di dollari hanno finanziato il Piano regionale di risposta alla crisi di rifugiati e per la resilienza (Refugee Response and Resilience Plan/3RP), implementato da una coalizione di oltre 200 partner e coordinato da Unhcr e Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). 

L’appello “Sono rimasto profondamente impressionato dal coraggio e dalla resilienza mostrati dai siriani. Giorno dopo giorno hanno dovuto far fronte a innumerevoli sofferenze e privazioni”, ha dichiarato Filippo Grandi, alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Che poi lancia un appello: “La crisi entra ormai nel suo decimo anno e desidero esortare tutta la comunità internazionale a non dimenticare coloro che continuano a restare sfollati all’interno della Siria e quanti sono stati costretti a fuggire oltre confine. È nostro dovere riconoscere e sostenere la generosità mostrata dai Paesi limitrofi, essendosi trattato di uno dei più grandi gesti di solidarietà degli ultimi decenni. Tuttavia, dobbiamo continuare a garantire il nostro sostegno. Sono necessari sforzi ulteriori”.

I bambini A causa dell’escalation del conflitto a Idlib, quasi 1 milione di persone, di cui più della metà bambini, sono state costrette a fuggire dalle loro case, abbandonando più del 45% del territorio del governatorato. Si tratta di aree in cui un terzo delle abitazioni e delle infrastrutture civili sono state distrutte o gravemente danneggiate, rendendo così impossibile il ritorno a casa dei profughi. Intere famiglie, per sfuggire alle violenze, si sono riversate nei campi profughi a nord di Idlib, che ad oggi risultano più che raddoppiati rispetto al 2017 in termini di dimensioni e di sovraffollamento. In questi campi le famiglie vivono in condizioni sempre più precarie in aree precedentemente destinate alle attività agricole. E’ il quadro agghiacciante che emerge da un recente rapportio di Save The Children. I bambini sono le prime vittime dell’escalation del conflitto in corso a Idlib, la peggiore crisi umanitaria nella Siria nord- occidentale in questi nove anni. Solo lo scorso gennaio, almeno 77 bambini sono stati uccisi o sono rimasti feriti nel nord-ovest del Paese e pochi giorni fa, il 25 febbraio, 10 scuole e asili sono stati bombardati a Idlib provocando la morte di 9 bambini e il ferimento di altre decine. Numeri che raccontano la morte e la distruzione in corso a Idlib e a cui si aggiungono i circa 280 mila bambini in età scolare nella zona la cui possibilità di studiare e andare a scuola è gravemente pregiudicata. I bombardamenti implacabili hanno praticamente svuotato gran parte di Idlib nel giro di poche settimane, con conseguenze catastrofiche per centinaia di migliaia di bambini e di donne. Mezzo milione di bambini sono stipati in campi e rifugi di fortuna al confine con la Turchia senza accesso a beni essenziali e alla possibilità di condurre una vita dignitosa: non hanno un luogo caldo dove dormire, né acqua pulita, né cibo nutriente e non possono neanche studiare. Le famiglie sono ormai arrivate al limite – rimarca ancora il rapporto – e i nostri partner sul campo devono confrontarsi ogni giorno con gli enormi bisogni della popolazione. Senza una vera de-escalation, il decimo anno del conflitto in Siria rischia di essere uno dei più sanguinosi. Il mondo non può continuare a restare a guardare e aspettare mentre i bambini vengono uccisi, feriti e sono costretti a fuggire.

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Lllo alla comunità internazionale “Questo, per la comunità internazionale, deve essere un momento cruciale per impegnarsi a mettere la parola fine a questa crisi e restituire ai bambini siriani il futuro al quale hanno diritto. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e gli altri Stati influenti devono pertanto dimostrare volontà politica e fare sempre di più per proteggere i bambini” è l’appello di Save the Children. La Siria entra nel decimo anno di guerra. Una guerra finanziata e fomentata da sultani, rais, autocrati, emiri, zar che per portare avanti i propri disegni di potenza hanno devastato un Paese e annientato un popolo. A quando una “Norimberga” siriana?

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