Il piano insanguinato di Trump per la Palestina e la "Car Intifada"
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Il piano insanguinato di Trump per la Palestina e la "Car Intifada"

UN'auto ha falciato un gruppo di soldati a Gerusalemme e Hamas parla di una risposta al progetto del capo della Casa Bianca che favorisce Israele e umilia le aspettative palestinesi

Attentato contro militari israeliani a Gerusalemme
Attentato contro militari israeliani a Gerusalemme
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Febbraio 2020 - 16.51


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La rabbia alimenta la “Car Intifada”. Quattordici persone sono rimaste ferite nel centro di Gerusalemme, una in maniera grave dopo che un’auto ha fatto irruzione in un locale molto frequentato nella zone della movida notturna della Città Santa, e le ha investite.

Secondo la polizia si tratterebbe di un ‘atto terroristico’. I feriti sono tutti soldati, della Brigata Golani falciati la notte scorsa da un auto lanciata contro di loro in un attacco terroristico in centro a Gerusalemme. Lo dice l’esercito israeliano spiegando che uno di loro “è stato ferito in modo grave e trasportato in ospedale”. Per gli altri 11 si tratta di ferite leggere. Le forze di sicurezza hanno lanciato una caccia all’uomo in città per catturare l’attentatore che è in fuga.

Intanto è stata aperta un’indagine per un atto terroristico”, ha detto il portavoce della polizia israeliana Mickey Rosenfeld riferendosi all’investimento di un gruppo di persone, in maggioranza soldati, all’esterno di un locale di Gerusalemme.

La “Car Intifada”

L’organizzazione di soccorso del Magen David ha detto di aver “curato ed evacuato” 14 persone alla Prima Stazione, un centro di vita notturna e di intrattenimento nella Città Santa che si trova a Gerusalemme Ovest ma confina con l’Est.  

 Secondo la polizia, l’auto ha colpito la folla intorno all’1:45 (le 0,45 in Italia) sul viale che confina con questa ex stazione ferroviaria ottomana, trasformata in un centro ricreativo con molti bar e ristoranti. L’attacco sembra la fotocopia di quello dell’8 gennaio 2017, quando un arabo israeliano aveva lanciato il suo camioncino contro una pattuglia in gita nella Città Santa sullo spiazzo panoramico di Armon Hanatziv. Allora c’erano stati cinque morti e 17 feriti. Questa volta si pensa che l’assalitori sia originario di Betlemme. La “Prima Stazione” si Gerusalemme è sulla strada per Betlemme e Hebron e facilmente raggiungibile dai Territori. Quello di oggi è il primo attentato dopo la presentazione del piano americano, respinto da tutte le fazioni palestinesi. Altri due militari israeliani sono stati aggrediti. Uno a Gerusalemme. L’uomo gli ha sparato un colpo d’arma da fuoco, prima di essere colpito e ucciso, è un 40enne arabo-israeliano di Haifa che si era convertito da poco dal cristianesimo all’Islam. L’incidente è avvenuto vicino alla Porta dei Leoni nella Città Vecchia. Un secondo a Jenin in Cisgiordania. Il soldato israeliano è rimasto lievemente ferito in un attacco armato nei pressi della colonia di Dolev. Secondo quanto riferiscono i media locali, l’aggressore avrebbe sparato dall’auto e sarebbe poi scappato.

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Scontri nei Territori tra manifestanti palestinesi e la polizia israeliana

L’attacco nel centro di Gerusalemme è avvenuto il giorno dopo una notte di scontri nei Territori tra manifestanti palestinesi e la polizia israeliana. Tre giovani sono morti. Nella città di Jenin in Cisgiordania, un ragazzo di 19 anni è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco dalle truppe mentre lanciava pietre contro di loro, intervenute sul posto per demolire uno dei condomini abitati dai palestinesi. Ieri un ragazzo di 17 anni, Mohammed al-Haddad, è stato ucciso da un proiettile di un militare israeliano a Hebron. Le forze armate hanno dichiarato che il 17enne stava lanciando bombe molotov ai militari. E stamattina è morto l’agente 25enne della polizia palestinese rimasto ferito ieri durante gli scontri. Il portavoce dell’esercito ha riferito che i militari israeliani sono stati attaccati mentre facevano un giro della città, dove erano arrivati dopo l’addestramento di base. Si ritiene che l’aggressore abbia visto il gruppo e abbia deliberatamente sterzato verso di loro prima di fuggire dalla scena.

“Una risposta” al Piano di Pace di Trump. Così Hamas ha salutato l’attacco nel centro di Gerusalemme. “L’operazione della resistenza a Gerusalemme occupata – ha detto il portavoce di Hamas Hazem Qassem, citato dai media internazionali – è una risposta tangibile del nostro popolo al piano di distruzione di Trump”. Già ieri Hamas aveva chiamato i palestinesi “ad aumentare i confronti con l’occupazione e i suoi coloni”.  L’aviazione israeliana ha colpito nella notte alcuni obiettivi nella Striscia di Gaza in risposta al lancio di due razzi dall’enclave palestinese in territorio israeliano. Fonti palestinesi hanno riferito che i raid hanno colpito terreni agricoli nella città meridionale di Rafah, provocando danni materiali, ma non sono stati segnalati feriti. Nessuna fazione palestinese ha rivendicato la responsabilità dell’attacco su Israele. Ieri l’aviazione israeliana ha colpito una serie di obiettivi nella Striscia di Gaza dopo che tre razzi sono stati lanciati dall’enclave palestinese in territorio israeliano, precipitando nei campi che circondano la città di Netivot. Lo scorso fine settimana, sempre in risposta ad attacchi provenienti dall’enclave, Israele ha colpito una serie di obiettivi di Hamas nella parte settentrionale della Striscia di Gaza, tra cui un deposito di armi e tunnel utilizzata dall’ala militare del movimento islamista. 

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Senza speranza

“La cifra di questi atti di ribellione è la disperazione, è la frustrazione che anima migliaia di giovani costretti a sopravvivere circondati da Muri o imprigionati a Gaza”, rimarca  Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, paladina dei diritti umani nei Territori, sostenitrice della protesta non violenta e della disobbedienza civile. “Quando la diplomazia internazionale rinuncia ad agire, quando viene meno ogni prospettiva di dialogo, quando a Gerusalemme Est prosegue la “pulizia etnica” della popolazione araba, quando gli Stati Uniti spacciano per Piano di pace la ‘Truffa del secolo’ allora – aggiunge Ashrawi – ciò che resta è solo un desiderio di vendetta. È tragico, ma è così”. È l’Intifada dei coltelli, delle macchine, dei social network. I protagonisti non sono conosciuti dai servizi di sicurezza israeliani, Shin Bet (interno) e Mossad (estero). Non hanno in attivo una militanza già consolidata nelle fila delle organizzazioni politico-militari palestinesi. In diversi casi, sono simpatizzanti delle Brigate al Quds (braccio armato della Jihad islamica” o delle Brigate Ezzedin al Qassam (Hamas), o hanno un parente – come praticamente ogni famiglia palestinese – che ha conosciuto le carceri dello Stato ebraico. “Sono i figli del disincanto, della perdita di speranza in un futuro “normale” – riflette Sari Nusseibeh, il più autorevole intellettuale palestinese, ex rettore dell’Università al Quds di Gerusalemme Est. “Di Israele hanno conosciuto solo le barriere di filo spinato, i ceck point che spezzano in mille frammenti la Cisgiordania.  I più – conclude Nusseibeh – sono animati da un misto di rabbia e di delusione. Avrebbero bisogno di un progetto in cui credere, di segnali concreti che dicano loro che un’altra via è percorribile. Ma tutto ciò è lontano dal manifestarsi”. Più che a una “guerra”, la “Car Intifada” assomiglia a una faida. Sangue chiama sangue, in una spirale di violenza senza fine. Una violenza fine a se stessa. Le reazioni dei leader, o presunti tali, esse sì assomigliano a un film già visto. La volontà di rivalsa di Netanyahu, con i suo calcoli elettorali, la condanna di Abu Mazen, l’esultanza postuma dei capi di Hamas e della Jihad islamica.  Ai “lupi solitari” palestinesi tutto ciò non interessa. Bastano le umiliazioni quotidiane, un futuro che non esiste. Basta un’ascia, un coltellaccio, una mannaia per ergersi a giudici ed emettere la sentenza: condanna a morte. Non importa a chi inflitta, un rabbino, un soldato, i ragazzi alla fermata del bus. Non importa: chiunque è un obiettivo potenziale. La disperazione non guarda la carta d’identità e non distingue tra chi porta una divisa militare e un civile. Colpire, e poi colpire. E poi morire. Come è morta l’illusione di una pace fondata sul principio, da tempo ormai usurato, inattuabile, di una pace fondata su “due popoli, due Stati”.   Un principio che il “Piano del secolo” di Donald Trump ha sepolto per sempre. Di pace non c’è traccia oggi in Terrasanta.

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Fronte siriano

A quattro settimane dal voto, torna a infiammarsi   anche il fronte siriano, con il secondo raid missilistico in meno di un mese da parte di Israele contro Damasco. Nell’ultimo attacco sono stati uccisi 23 combattenti filo-iraniani. In precedenza, l’agenzia governativa siriana Sana aveva riferito di diversi raid missilistici compiuti poco prima della mezzanotte locale (le 23 in Italia) dal “nemico” Israele in una zona a sud di Damasco. Nel bombardamento, secondo la Sana, sono stati feriti otto militari governativi e ci sono stati ingenti danni materiali. L’Osservatorio riferisce che sono stati colpiti depositi di armi appartenenti agli alleati iraniani in Siria. Tra i 23 soldati siriani e di altre nazionalità uccisi nella notte da raid aerei attribuiti a Israele e compiuti attorno alla capitale siriana forse ci sono anche Hezbollah libanesi e Pasdaran iraniani. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani che da anni si avvale di una fitta rete di fonti sul terreno. Il 15 gennaio scorso, secondo media siriani, alcuni jet dello Stato ebraico avevano colpito la base militare di Tiyas, nota come T4, a est di Homs e lungo la strada che porta a Palmyra. Le aree colpite nella notte sono, sempre secondo il resoconto ufficiale di Damasco, Kiswa, Marj Sultan, Jisr Baghdad, Izraa, località alla periferia meridionale della capitale e vicine alla confinante regione di Daraa.  L’escalation di violenza è destinata a incidere sulla campagna elettorale, ponendo la sicurezza come questione prioritaria. E questo è il terreno più fertile per la destra.

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