Amir Peretz: "A Gantz dico di non cadere nella trappola di Trump"
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Amir Peretz: "A Gantz dico di non cadere nella trappola di Trump"

Il leader del Partito laburista israeliano lancia un appello al leader di Kahol Lavan (Blu Bianco) perché non accetti il Piano della Casa Bianca chenon aiuta la pace e fa il gioco di Netanyahu

Benny Gantz e Amir Peretz
Benny Gantz e Amir Peretz
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Febbraio 2020 - 15.32


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“A Benny Gantz dico: non cadere nella trappola di Trump. Così come è stato concepito, quel Piano è un sostegno alla politica della destra e un favore elettorale, l’ennesimo, che il presidente Usa ha fatto al suo amico Netanyahu. Votarlo cosi com’è non aiuta il rilancio di un serio negoziato di pace e in più porta divisioni nel campo democratico e progressista in vista delle elezioni del 2 Marzo. A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a Globalist, è il leader del Partito laburista israeliano, Amir Peretz, già ministro della Difesa e sindaco di Haifa.Resto convintoafferma Peretz – che un accordo di pace non possa essere imposto dall’esterno e contro la volontà di uno dei contraenti. Al tempo stesso, mi sento di ire al presidente Abbas che il muro contro muro porta solo acqua al mulino di Netanyahu e di una destra che non ha mai accettato la soluzione a due Stati”.

Il leader di Kahol Lavan (Blu Bianco), Benny Gantz sembra intenzionato a far votare alla Knesset il “Piano del secolo” partorito dall’amministrazione Trump. Ma all’interno stesso di Blu Bianco c’è chi ritiene questa una forzatura. Qual è in proposito la posizione dei laburisti?

“Votare oggi quel Piano così com’è sarebbe un grave errore tattico e strategico. Tattico, perché vorrebbe dire accodarsi a Netanyahu che di quel Piano è il primo beneficiario, e questo finirebbe inevitabilmente per dividere il campo democratico e di sinistra in vista delle elezioni del 2 Marzo. Votare quel Piano significherebbe ipotecare la formazione del governo che uscirà dalle urne. E sarebbe un errore strategico, perché non è annettendo parte dei Territori palestinesi che Israele raggiungerà una pace nella sicurezza con i Palestinesi e  i Paesi arabi”.

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Intanto, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha annunciato la rottura di ogni relazione con Stati Uniti e Israele.

“E’ una posizione estrema che può servire, forse, a ricompattare le varie fazioni palestinesi ma che non aiuta quanti in Israele credono ancora nel dialogo. . Il muro contro muro fa il gioco di Netanyahu.

Su un punto, però, concordo con il presidente palestinese: forzature unilaterali, da qualunque parte provengano, non aiutano a riaprire un tavolo negoziale. Voglio essere molto chiaro su questo punto: la modifica dei confini d’Israele non deve venire in modo unilaterale, anche se c’è il visto americano. Al tempo stesso, però, la dirigenza palestinese non può non tener conto che la realtà oggi non è quella di cinquantatre anni fa”.

Lei si è espresso per un coinvolgimento della Joint List (la Lista dei partiti arabi israeliani, con tredici seggi la terza forza alla Knesset) nella formazione del nuovo Governo. Resta di questa idea anche dopo che i leader dei partiti arabi israeliani hanno affermato la loro netta contrarietà al Piano Trump?

Il campo democratico non può fare del Piano Trump e della sua attuazione il centro della propria agenda elettorale. Ritengo  che coinvolgere nella trattativa sul nuovo Governo la Joint List sia è  segnale importante d’inclusione, ed è un richiamo ad un senso di responsabilità nazionale che deve riguardare anche i rappresentanti della comunità araba israeliana”.

Una cosa è certa, concordano gli analisti politici israeliani: la ufficializzazione del “Piano del secolo” ha messo in secondo piano i guai giudiziari di Netanyahu.

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”In politica il fattore tempo è decisivo. E il fatto che il presidente Trump abbia deciso di rendere pubblico il ‘Piano del secolo’ in piena campagna elettorale in Israele, beh, questa è una scelta politica fatta per favorire un primo ministro israeliano messo alle corde dal suo stesso partito, che non avrebbe votato compatto la richiesta d’immunità per il suo leader. Tanto è vero che Netanyahu ha rinunciato a sottoporre la sua richiesta alla Knesset. Ma l’emergenza democratica resta, con o senza Piano del secolo, perché Israele non può affidare il suo futuro a un politico incriminato dal Procuratore generale d’Israele per gravi reati di corruzione. Un primo ministro che è arrivato al punto di fomentare la piazza contro un inesistente ‘golpe legale’. Un atto gravissimo, al limite dell’eversione, per certi versi ancora più grave dei reati che gli sono imputati”.

La politica israeliana assomiglia sempre più a una roulette russa…
“Siamo davvero a un passaggio drammatico nella vita politica del paese. Per decenni il Labour e il Likud sono stati i pilastri politici su cui si è retta la democrazia in Israele. Ci siamo combattuti, a volte abbiamo governato assieme, ma mai gli interessi del singolo hanno prevalso su quelli della nazione. Ora non è più così: e questa è la responsabilità storica che si sta assumendo Benjamin Netanyahu. Un grande statista è quello che sa quando è il momento di fare un passo indietro. Quel passo che Netanyahu non intende fare.
Ma Israele può reggere questa tensione continua?
“È dura, molto dura. Perché il clima politico sta diventando irrespirabile, e una nuova campagna elettorale non farebbe che peggiorare la situazione. Siamo di fronte ad una emergenza democratica, sottovalutarne la portata sarebbe esiziale”.

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Alle elezioni del 2 Marzo il Labour si presenterà unito con il Meretz (la sinistra pacifista israeliana). E’ uno stato di necessità o una scelta strategica?

“E’ una scelta che nasce da una riflessione critica sul deludente risultato che, separati, abbiamo registrato nelle elezioni del 17 settembre. La divisione non ha pagato, e su questo dovremo riflettere tutti. L’errore che non dobbiamo commettere è pensare che sia solo un problema di leadership. C’è da ricostruire un legame della sinistra con una parte della società israeliana che un tempo si sentiva rappresentata da noi ma che oggi ci vede lontani, come una èlite di privilegiati. Per riconquistare consensi, soprattutto tra le fasce più deboli della società israeliana,  occorrerà un lavoro in profondità che non sarà breve e che riguarderà anche un forte cambio generazionale della nostra classe dirigente.  Da questo impegno nessuno può sottrarsi, tutti siamo in discussione. Ma in questo momento, la nostra missione è porre fine all’era Netanyahu. Già questo è riconquistare un ruolo alla sinistra”.

In una intervista a Globalist, Zeev Sternhell, il più grande storico israeliano, ha avuto parole durissime nei confronti del Piano Trump, appellandosi, assieme ad altre figure di primo piano del mondo culturale e accademico israeliane, perché  la sinistra israeliana, oltre che l’Europa, non si accodi al coro dei sì…

“Ammiro il professor Sternhell anche quando le sue posizioni non collimano pienamente con le mie.  Il Labour non farà il reggicoda di Netanyahu, su questo può esserne certo”.

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