Il "Piano del secolo", l'anno zero per i Palestinesi. E Abu Mazen gioca la carta della rottura

Lo “tsunami Trump” cancella decenni di negoziati, seppellisce gli accordi di Oslo-Washington, spazza via la soluzione a due Stati, straccia le risoluzioni Onu, e fa strame del diritto internazionale.

Abu Mazen
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Febbraio 2020 - 17.37


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Lo “tsunami Trump” si abbatte sulla Palestina. E cancella decenni di negoziati, seppellisce gli accordi di Oslo-Washington, spazza via la soluzione a due Stati, straccia le risoluzioni Onu, e fa strame del diritto internazionale. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen annuncia la rottura di ogni relazione con Israele e la sospensione di tutti gli accordi all’indomani della presentazione del Piano di Pace Usa. “Non accetterò l’annessione di Gerusalemme e non voglio passare alla storia come colui che ha venduto Gerusalemme”, ha tuonato Abu Mazen citato dall’agenzia Maan, aggiungendo che l’Anp “non accetterà mai gli Usa come unico mediatore al tavolo dei negoziati con Israele.

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Anno zero

Il presidente dell’Anp  è intervenuto alla riunione straordinaria convocata dalla Lega Araba al Cairo per discutere del piano di pace per il Medio Oriente elaborato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. ”Gli Stati Uniti non sono più un Paese amico dei palestinesi”, ha detto, affermando che gli americani, con questa amministrazione, non possono più svolgere il ruolo di ”arbitro” nella crisi tra israeliani e palestinesi. “Non avremo più rapporti con loro, nemmeno nell’ambito della sicurezza”, ha precisato Abbas, annunciando che si recherà al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per spiegare ”la nostra posizione”. ”Mi sono anche rifiutato di parlare con Trump”, ha aggiunto Abbas riferendosi al rifiuto del colloquio telefonico chiesto dal presidente americano. Nel piano Trump   la Città Santa è riconosciuta come la capitale indivisibile di Israele, anche se Trump ha spiegato che i palestinesi potranno stabilire la capitale del loro Stato futuro nella periferia orientale della città.

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E Abu Mazen ha respinto categoricamente la proposta: ha ricordato che il piano concede loro solo l’area di Abu Dis, un quartiere depresso di Gerusalemme Est, e non l’intera parte orientale della città, occupata nel 1967 e annessa nel 1980 da Israele. Non solo. Ha aggiunto che i territori di un futuro Stato palestinese, come previsto dal piano di Trump, rappresentano solo il 22% della “storica Palestina”. E ha rivelato ai ministri degli Esteri dei Paesi membri della Lega araba di non aver voluto neppure ricevere una copia del piano di pace né rispondere alla telefonata di Trump.” Combatteremo per evitare che il piano diventi una formula legittima adottata dalla comunità internazionale”, ha insistito il leader palestinese, aggiungendo tra l’altro di “aver incontrato Trump quattro volte” e che questi incontri non hanno prodotto “alcun progresso”. Da qui, la decisione di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per spiegare il suo rifiuto del cosiddetto ‘Accordo del Secolo’. Abu Mazen ha anche reso noto che il re saudita, Salman bin Abdulaziz Al Saud, gli ha assicurato che “l’Arabia Saudita sta sempre con i palestinesi” .

Al termine del summit straordinario dei ministri degli Esteri,  la Lega araba ha annunciato rifiuto del Piano Per la Lega araba il piano di Trump è “ingiusto” nei confronti dei palestinesi. L’organizzazione, riunita a livello di ministri degli Esteri, ha dichiarato in una nota di avere “respinto l’accordo americano-israeliano poiché non rispetta i diritti e le aspirazioni fondamentali del popolo palestinese”. Ha aggiunto che i leader arabi avevano promesso “di non collaborare con l’amministrazione americana per attuare questo piano”.

Annota Gwynne Dyer su Internazionale:  “A ogni rilancio, si riducono le dimensioni dello stato immaginario offerto ai palestinesi. Con Israele che si appresta ad annettere formalmente gli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata, la sua superficie è all’incirca il 10 per cento della Palestina storica, e non vedrà mai davvero la luce. Eppure l’obiettivo fittizio di uno stato palestinese deve comunque essere conservato. Ma perché?  Quando il genero di Trump, Jared Kushner, ha svelato la sua “idea” di stato palestinese, fatta di varie dozzine di piccole enclave collegate da trafori e sopraelevate, in molti non hanno potuto fare a meno di pensare ai bantustan del Sudafrica. I bantustan erano stati creati dal regime di apartheid per dare l’illusione di libertà e autodeterminazione alle popolazioni nere oppresse in Sudafrica. Non hanno mai ingannato nessuno, ma hanno permesso al regime di sostenere che rispettava i diritti democratici dei neri. Semplicemente non potevano votare in Sudafrica, che rimaneva un paese per bianchi. La mappa di Kushner sta cercando di replicare lo stesso trucco….Ma i palestinesi non scompariranno, e sono circa cinque milioni. Hanno già vissuto sotto il regime militare israeliano per oltre cinquant’anni. Davvero si può giustificare l’idea di lasciarli per altri cinquant’anni sotto il giogo di un’occupazione militare? Se la risposta è no, le alternative rimaste sono una soluzione dei due stati o una monostato, nella quale Israele annetterebbe tutti i territori occupati. Ma se Israele lo farà davvero, cinque milioni di arabi palestinesi potranno votare alle elezioni israeliane: Israele smetterà di essere uno “stato ebraico”, anche se resterà democratico. Oppure si deciderà di non farli votare, e in tal caso Israele diventerà uno stato d’apartheid. È per questo che la soluzione zombi dei due stati continua a tornare dall’oltretomba. Israele in realtà non ha bisogno dell’assenso dei palestinesi, ma deve continuare a parlare di una specie di stato palestinese oppure semplicemente rassegnarsi a essere essenzialmente una tirannia etnica”. 

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Gerusalemme, la bramosia del possesso

I palestinesi gerosolimitani sono essenzialmente apolidi, bloccati in un limbo legale – non sono cittadini di Israele, né cittadini di Giordania o Palestina. Coloro che non possono dimostrare che il “centro della loro vita” è a Gerusalemme e che vi hanno vissuto ininterrottamente, perdono il loro diritto di vivere nella loro città di nascita. Devono presentare decine di documenti, tra cui titoli di proprietà, contratti di affitto e buste paga. Anche l’ottenimento della cittadinanza di un altro paese porta alla revoca del loro status. Ad oggi almeno 570mila cittadini israeliani vivono in oltre 100 insediamenti costruiti da Israele a partire dal 1967, data di inizio dell’occupazione dei Territori in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.Segnata nel tempo da una bramosia di possesso assoluto che ha prodotto guerre, odi secolari, tingendo di sangue le sue pietre millenarie. Gerusalemme. “Il problema di Gerusalemme consiste nel fatto che è oggetto di una competizione aspra, crudele e nazionalistica tra gli ebrei d’Israele e gli arabi palestinesi. Per entrambe le parti vincere la competizione significa acquistare una sovranità incontrastata sulla città”. Così Avishai Margalit, tra i più acuti analisti politici israeliani, professore di Filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme, riflette sulla Città Contesa nel suo libro “Volti d’Israele”. Margalit ci aiuta a cogliere fino in fondo la complessità del nodo-Gerusalemme. “Ciò che rende il problema di Gerusalemme tanto complesso – annota è che l’attuale competizione nazionalistica per la città si svolge sullo sfondo di un’antica e sanguinosa competizione religiosa tra ebraismo, cristianesimo e Islam. Per comprendere la profondità del conflitto nazionalistico bisogna afferrare il carattere di quello religioso…”. Per questo Gerusalemme è il simbolo di un conflitto, dai caratteri carsici, che non ha eguali al mondo. Perché nessun altro conflitto al mondo racchiude in esso interessi, sentimenti, geopolitica e simbologia, in una dimensione atemporale. Sono dunque gli scrittori coloro che meglio sono riusciti a cogliere e a raccontare la natura del problema. E tra gli scrittori ce ne è uno che più di chiunque altro ha scavato in quel groviglio di sentimenti, ambizioni, paure, speranze, odio che da sempre caratterizza l’affaire-Jerusalem. Quello scrittore, scomparso alcuni anni fa, è Amos Elon. “Gerusalemme – rimarca Elon nel suo libro ‘Gerusalemme. I conflitti della memoria’- conserva uno straordinario fascino sulla fantasia e genera, per tre fedi ostili che si esprimono con parole perfettamente interscambiabili, la paura e la speranza dell’Apocalisse. Qui il territorialismo religioso è un’antica forma di culto. A Gerusalemme, nazionalismo e religione furono sempre intrecciati tra loro; qui l’idea dii una terra promessa e di un popolo eletto fu brevettata per la prima volta, a nome degli ebrei, quasi tremila anni fa. Da allora – prosegue Elon – il concetto del nazionalismo come religione ha trovato emuli anche altrove…Oggi, a Gerusalemme, religione e politica territoriale sono una cosa sola. Per i palestinesi come per gli israeliani, religione e nazionalismo si sovrappongono, e combaciano. Da entrambe le parti si fondono. Da entrambe le parti si fondono: e ciò che nasce è, potenzialmente, esplosivo”. I sentimenti che (Gerusalemme) suscita – avverte ancora lo scrittore – hanno origine nella geografia e nella storia; e trascendono la politica e la religione”. E’ così. Tutto a Gerusalemme, su Gerusalemme, rimanda a una visione assolutistica che non conosce né concede l’esistenza di aree “grigie”, di incontri a metà strada tra le rispettive ragioni. Ora il “Piano del secolo” ha risolto, sulla carta, il problema. Gerusalemme è israeliana, sancisce Trump. Ma la storia insegna che per Gerusalemme si combatte da sempre. E per sempre.

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