Perché il caso Haftar-Serraj è stato la Caporetto italiana sulla Libia
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Perché il caso Haftar-Serraj è stato la Caporetto italiana sulla Libia

Il doppiogiochismo provato dal duo Conte&Di Maio in Libia, non solo non ha funzionato, ma ha finito per renderci invisi a tutte e due i contendenti. Palazzo Chigi minimizza ma il danno è stato fatto

Haftar e Conte
Haftar e Conte
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Gennaio 2020 - 15.51


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E’ il giorno della “toppa” che fa più danni del buco che avrebbe dovuto celare. Il giorno  del tentativo di minimizzare un flop diplomatico clamoroso. Il giorno del rimpallo delle responsabilità, del provare a dire che no, qualcosa siamo riusciti a strappare, che il bicchiere è mezzo pieno, che siamo riusciti a strappare all’uomo forte della Cirenaica un mezzo impegno per il cessate-il-fuoco. Il giorno dopo lo schiaffo di al-Sarraj a Giuseppe Conte, è il giorno in cui si manifesta appieno la Caporetto diplomatica italiana sulla Libia.

Caporetto diplomatica

A Palazzo Chigi si giustificano, respingono la parola flop, non vogliono sentir parlare di autogol di Giuseppe Conte e rivendicano addirittura un “mezzo risultato”. Ma sono gli stessi diplomatici, alla Farnesina così come in Libia, a parlare di “errore madornale”, di “pasticcio che ci costerà caro” sulla mancata visita a Roma di Fayezal-Sarraj, il capo del Governo di Accordo Nazionale (GNA) libico, su cui nella serata di ieri si erano susseguite voci e smentite di un presunto rapimento. Altro patetico tentativo per provare a mascherare quello che Globalist ha documentato in numerosi articoli: il doppiogiochismo provato dal duo Conte&Di Maio in Libia, non solo non ha funzionato, ma ha finito per renderci invisi a tutte e due i contendenti. E’ stato lo stesso ambasciatore libico all’Ue a smentire prontamente le voci di un sequestro di Sarraj al suo rientro da Bruxelles: “Il premier libico è tornato con me a Tripoli e sta bene”, ha detto Gaddur. Sarraj non ha fatto però scalo a Roma, irritato a quanto pare dall’accoglienza riservata da Conte ad Haftar: “Non ci può essere dialogo con un criminale di guerra”, hanno dichiarato da Tripoli.

Di sicuro più di qualcosa non ha funzionato se ieri i nostri servizi segreti erano già diretti a Ciampino per scortare il capo del governo legittimo della Libia sino a Palazzo Chigi. E di sicuro non ha giocato a favore dello sforzo diplomatico del presidente del Consiglio la scelta di vedere prima il generale Khalifa Haftar, soprattutto a pochi giorni dal massacro dei cadetti dell’accademia militare di Tripoli. Dunque non solo per una ragione di protocollo, ma anche di opportunità politica.
 La versione ufficiale di Palazzo Chigi dell’incomprensione con al- Sarraj, che di rientro da Bruxelles ha prima confermato un incontro con Conte e poi ha deciso di tirare dritto e rientrare in Libia, si aggrappa ad una presunta fake news. I media libici avrebbero rilanciato a metà pomeriggio l’intenzione (infondata) del presidente del Consiglio di fare incontrare i due avversari. Eppure di fronte alle accuse delle opposizioni di aver fatto crollare la credibilità dell’Italia compiendo un autentico pasticcio, per Giuseppe Conte il bicchiere è mezzo pieno. “Siamo comunque riusciti a incontrare uno dei protagonisti della guerra in Libia – rivendica in queste ore il premier -. E nonostante l’incomprensione con al-Sarraj abbiamo raggiunto un primo risultato” sul cessate-il fuoco.  E quando da Istanbul è arrivato il comunicato congiunto del faccia a faccia tra Putin e Erdogan, Conte lo ha letto ad Haftar. Ma il generale non ha promesso nulla. Insomma, un vertice di una “ingenuità” ammessa anche nello stesso staff del presidente del Consiglio: “Forse è stato un errore fissare gli incontri nella stessa giornata, ma è difficilissimo in questi casi incrociare le agende.

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Lo accusano di aver cambiato cavallo puntando su Haftar e facendo così indispettire al- Sarraj. Ma anche qui, Conte smentisce l’illazione. E rivela di aver pressato Haftar, durante le tre ore di colloquio, per ottenere una tregua di almeno una settimana. Proposta che il generale avrebbe preso in considerazione, ma chiedendo in cambio “garanzie” sulla presenza delle milizie sul territorio. Garanzie che né Roma né Bruxelles, intesa come Unione europea, possono dare. Per una ragione semplicissima: perché i player della partita libica sono altri e si trovano a Mosca, Ankara, Il Cairo, negli Emirati Arabi Uniti, in Qatar e, se si vuole tirare dentro a forza l’Europa, a Parigi. Riassume bene il senso della giornataPier Ferdinando Casini, “è stata una giornata un po’ infelice, c’è da preoccuparsi dell’inconsistenza italiana”.

Misurata a rischio

Altro che garanzie che l’uomo forte della Cirenaica ha chiesto a Roma!. A quanto risulta a Globalist, con un incrocio tra fonti libiche e italiane, Haftar ha fatto presente a Conte che le forze del generale, supportate dai droni degli Emirati, hanno deciso di puntare decisamente su Misurata, dopo Sirte, e a Misurata sono di stanza 300 militari e operatori italiani a difesa dell’ospedale da campo impiantato dall’Italia. Quando si scatenerà l’inferno a Misurata, anche i nostri militari potrebbero essere in pericolo.

Giggino l’egiziano

Non ha più fortuna la missione, parallela a quella di Conte, portata avanti dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, al Cairo per una riunione con Francia, Egitto, Cipro e Grecia. Il responsabile della Farnesina, a sentire il suo staff, si batte per “smussare la dura posizione degli altri Paesi nei confronti di turchi e Sarraj”, pronti ad un duro confronto militare contro Haftar. Roma, che chiedeva un documento più morbido forse proprio per non sembrare troppo schierata al fianco del generale, non viene ascoltata. L’Italia, quindi, decide di non firmare la dichiarazione conclusiva della riunione egiziana, considerandola troppo sbilanciata. Di Maio spiega che “non dobbiamo spaccare l’Unione europea”, che potrà tentare di parlare con una voce sola al Consiglio dei ministri Ue di venerdì. L’auspicio è che si possa portare avanti il cosiddetto processo di Berlino, che punta ad organizzare una conferenza di pacificazione della Libia. Ma, come ammette lo stesso Di Maio, “non serve solo una conferenza ma anche -e soprattutto. un risultato concreto”. Risultato che, al momento, resta ancora un miraggio lontano.I n Libia “ci sono interferenze da parte di Stati esterni” e per questo “dobbiamo trovare una soluzione con l’Ue in modo da fare adottare un embargo sulle armi”, rilancia Di Maio da Algeri. La Libia, ha aggiunto, “è un problema di sicurezza nazionale che affrontiamo con tutte le nostre forze. Spingeremo perché si individui il prima possibile una data per la conferenza di Berlino. Dobbiamo mettere tutti gli interlocutori intorno a un tavolo e trovare una soluzione”. Tradotto: non esiste neanche una data, quanto agli interlocutori da mettere intorno a un tavolo, chiedere a Putin, Erdogan, al-Sisi e, se non è impegnato in un’altra eliminazione eccellente, a Trump.

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Il patto tra il Sultano e lo Zar

L’appello di Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan per “un cessate il fuoco in Libia” a partire dalla mezzanotte di domenica prossima è stato accolto con favore dall’Alto Consiglio di Stato di Tripoli. “Le dichiarazioni del presidente turco e del presidente russo riguardo la crisi libica e l’attacco contro la capitale vengono accolte con favore dall’Alto Consiglio”, afferma una nota diffusa nelle ultime ore e rilanciata stamani dall’agenzia ufficiale turca Anadolu. Il testo insiste affinché il dialogo rientri nel quadro dell’Accordo politico libico siglato nel dicembre del 2015 a Skhirat, in Marocco. “La scommessa su una soluzione militare al conflitto in corso in Libia porta solo a ulteriori sofferenze e acuisce le differenze tra i libici”, si legge nella dichiarazione congiunta adottata in seguito ai colloqui dei due capi di Stato, che nel tempo sono divenuti sponsor, rispettivamente, dell’uomo forte di Bengasi e del capo del governo di Tripoli. Nel testo si denuncia che il “deterioramento della situazione in Libia mina la sicurezza e la stabilità nello spazio circostante e in tutta la regione del Mediterraneo, così come nel Continente africano, e ha come conseguenze l’immigrazione illegale, l’ulteriore diffusione di armi, terrorismo e di altre attività criminali, tra cui il contrabbando”. Putin ed Erdogan hanno ribadito il “fermo impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia”. I leader dei due Paesi hanno sottolineato che “garantire un cessate il fuoco immediato è una priorità urgente per l’avvio di un processo politico intra-libico inclusivo sotto gli auspici delle Nazioni Unite”. Nella dichiarazione congiunta, inoltre, i leader di Russia e Turchia affermano garantiscono sostegno al processo di Berlino in corso. “Ricordiamo”, si legge nel testo, “che può produrre risultati tangibili con la partecipazione e il contributo dei libici e dei Paesi vicini”. Dando il proprio sostegno allo sforzo diplomatico avviato sotto l’egida delle Nazioni Unite, Russia e Turchia si propongono come mediatori nell’invitare tutte le parti a cessare ogni azione militare a partire dalla mezzanotte del 12 gennaio, a proclamare una tregua e a compiere tutti i passi necessari a stabilizzare la situazione sul terreno e a normalizzare la vita degli abitanti a Tripoli e nelle altre città. Sedendosi infine “immediatamente” al tavolo dei negoziati “con lo scopo di mettere fine alle sofferenze dei libici e riportare la pace”.

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Lo schema russo-turco, che potrebbe preludere a una divisione della Libia in zone di influenza, anche sul fronte dell’energia, è collaudato. In Siria Putin ed Erdogan hanno confermato di recente la capacità di non darsi fastidio a vicenda anche dove esistono divergenze, se pure profonde. Nell’accettazione dei rispettivi interessi, poiché l’interesse principale per entrambi è restare in buoni rapporti. In Libia, tuttavia, lo scenario è complesso. Erdogan sta rispondendo alla richiesta di aiuto di al-Serraj, inviando truppe e mezzi nella lotta all’uomo forte di Bengasi. Che a sua volta conta sul supporto di contractors inviati da Mosca, le milizie senza bandiera che per il momento consentono a Putin di tenere una certa distanza dal conflitto. Almeno formalmente.

Intanto, l’’aeroporto di Tripoli Mitiga, l’unico funzionante nella capitale libica, è stato oggetto nella notte di nuovi raid aerei da parte dell’aviazione facente capo al generale Haftar. Lo scrive su twitter il giornale The Libya Observer facendo riferimento al supporto dell’aviazione degli Emirati Arabi Uniti ad Haftar nell’operazione. Ieri il portavoce dell’esercito di Haftar, aveva annunciato l’estensione del divieto di sorvolo anche “sulla base e sull’aeroporto Mitiga”, richiamando “le compagnie aeree ad attenersi severamente a questo provvedimento e a non mettere in pericolo i loro aeromobili”. In attesa del cessate-il fuoco concordato a Istanbul, in Libia si continua a combattere. E ad avere la meglio, al momento, sono ancora e sempre le armi.

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