La battaglia di Sirte: chi vince prende tutto. Ed è una battaglia che vede impegnati tutti gli attori, interni ed esterni di una guerra per procura. Cronaca di guerra, dunque. Le forze governative del premier libico Fayez al-Sarraj hanno ripreso il controllo di Sirte, che era stata precedentemente conquistata dalle milizie del generale Khalifa Haftar. La conferma arriva da Lev Dengov, capo del gruppo di contatto russo in Libia, secondo il quale “le forze di Tripoli hanno preso dozzine di prigionieri di guerra, sequestrato 20 mezzi e ucciso 50 persone tra i soldati dell’esercito di Haftar”.
Lunedì il portavoce delle forze di Haftar, Ahmed al Mismari, aveva annunciato la conquista di Sirte con “un’operazione veloce, durata solo tre ore”. Secondo i media locali, la conquista della città è avvenuta dopo che le unità di Protezione e di Sicurezza della città libica si sono ritirate perché “tradite” dalla Brigata 604, una forza salafita creata dopo che la città era stata liberata dai jihadisti Isis, nel 2016.
Battaglia finale
Secondo Lev Dengov, capo del gruppo di contatto russo in Libia, “al momento Sirte è di nuovo sotto il controllo delle forze di al-Sarraj“. “Le forze di Tripoli hanno arrestato dozzine di prigionieri di guerra, sequestrato 20 mezzi e ucciso 50 persone tra i soldati dell’esercito di Haftar”. Tuttavia le ostilità continuano ed è possibile che la situazione “possa cambiare”, ha precisato Dengov all’agenzia Interfax. Sirte è strategica per rendere sicura la mezzaluna petrolifera e funzionale al progetto del generale di renderla «un centro di raduno dei mercenari stranieri». L’uomo forte della Cirenaica, allo stato attuale, si avvale di 7 mila uomini dell’Esercito nazionale libico e più o meno 18 mila milizie ausiliarie composte da ribelli di Ciad e sudanesi Janjaweed, ex-milizie pro-Gheddafi, unità tribali arabe e alcune centinaia della società russa Wagner.
Secondo The Libya Observer, le forze Al-Bonyan Al-Marsous, che hanno sconfitto l’Isis a Sirte, si sono mobilitate per lanciare un contrattacco in città per respingere i gruppi armati di Haftar che ne hanno preso il controllo ieri. Le forze che combattevano a Sirte avevano optato per «un ritiro strategico per salvaguardare la vita dei 120 mila civili presenti». Lo aveva dichiarato il portavoce delle Forze di protezione di Sirte, che fa capo al Governo di accordo nazionale di Tripoli. “Siamo stati attaccati da forze di diverse nazionalità e avremmo potuto resistere in una battaglia strada per strada per almeno due settimane, senza alcun aiuto esterno, ma ci sarebbero state tante perdite tra civili e tanti sfollati – aveva spiegato il portavoce –. Siamo in attesa di nuovi ordini su come proseguire la battaglia”.
Il Sultano cerca alleati
Le forze turche si stanno posizionando per sferrare la controffensiva più incisiva dall’inizio del conflitto che dura ormai da nove mesi. Un gruppo di élite di militari turchi specializzati in difesa aerea «sono giunti a Tripoli», subito dopo l’annuncio da parte del presidente Erdogan dell’invio «progressivo» di soldati in Libia. «Il nostro obiettivo è far sopravvivere il governo legittimo» di Fayez al-Sarraj. «L’esercito turco è lì per garantire un cessate il fuoco, non per combattere», e per cercare di «evitare tragedie umanitarie», ha detto il presidente. Fonti locali spiegano infine che è previsto l’arrivo di sottomarini turchi nelle prossime ore, mentre il ministro degli Esteri, Mevluet Çavuşoğlu, è ad Algeri per una visita di due giorni. Nella capitale algerina, sempre ieri, sono arrivati il collega libico, Mohamed Taher Siala e il ministro dell’Interno, Fathi Bashaga al seguito di Sarraj. L’incontro del premier con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune si iscrive nell’ambito “delle concertazioni permanenti con i fratelli libici e permetterà di esplorare le vie percorribili per superare la difficile congiuntura”. In realtà il Sultano di Ankara cerca, in Algeria e Tunisia, di creare una sponda maghrebina a sostegno della Governo di accordo nazionale e in grado di offrire le proprie basi aeree all’aviazione turca per le operazioni in Libia. l 2 gennaio Algeri aveva annunciato il lancio “di diverse iniziative volte ad una soluzione pacifica della crisi in Libia»” ma aveva escluso azioni di carattere militare, così come Tunisi
Missione abortita
Una cosa è certa: il caos libico inghiotte anche il tentativo dell’Unione europea e dell’Italia di riguadagnare uno spazio di manovra, mentre le truppe di Erdogan forniscono al premier Sarraj una sponda ben più consistente di nebulosi esercizi diplomatici. Nel giorno in cui il primo gruppo di soldati di élite turchi sbarca a Tripoli e le forze del generale Khalifa Haftar annunciano di aver preso il controllo di una città strategica come Sirte espellendo le milizie che sostengono il Governo di accordo nazionale di Sarraj, da Bruxelles arriva l’archiviazione della missione diplomatica europea che sarebbe dovuta approdare domani nella capitale libica.
“Da parte nostra non è stata annunciata alcuna missione”, ha fatto sapere in mattinata uno dei portavoce della Commissione europea avvertendo di non poter confermare gli impegni dell’Alto rappresentante Josep Borrell che avrebbe dovuto guidare la task force composta dai ministri degli Esteri italiano, francese, tedesco e britannico. Fortemente voluta da Luigi Di Maio, la missione avrebbe dovuto tentare di ottenere un cessate il fuoco e la ripresa dei colloqui tra le due fazioni in conflitto. Obiettivo difficile se non impossibile anche se la delegazione Ue fosse partita. “Fino all’ultimo abbiamo provato con la missione in Libia, ma dopo l’attacco all’Accademia militare, che abbiamo condannato con forza, sono ovviamente venute a mancare le condizioni di sicurezza“, ha spiegato lo stesso Di Maio su Facebook. “La situazione sul terreno in Libia è molto delicata, ma questo non significa che l’Ue debba restare immobile”, scrive il ministro degli Esteri. Aggiungendo che “come Italia abbiamo peraltro ottenuto che al Consiglio Affari Esteri di venerdì si parli, oltre che di Iran, anche di Libia, che per noi è la priorità. L’Ue, questa volta, dimostri di saper fare l’Ue“.
Dalla Farnesina a Palazzo Chigi: Nel corso di un colloquio telefonico, il presidente del consiglio Giuseppe Conte e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno ribadito la necessità di “elevare al massimo la pressione diplomatica per promuovere quella soluzione politica” e hanno confermato “l’esigenza di uno stretto raccordo europeo” sulle crisi in Libia e Iraq, spiega una nota della presidenza del Consiglio. . Ma su una diplomazia che aveva cominciato faticosamente a mettersi in moto sono precipitati anche gli eventi sul terreno. Il sanguinoso attacco all’Accademia militare di Hadaba che ha provocato una trentina di morti attribuita, tra voci e smentite, alle forze di Haftar, ha dato il colpo definitivo a qualsiasi possibilità di garantire la sicurezza alla missione europea.
Guerra del petrolio
Sulla guerra in Libia, interviene il presidente di FederPetroli Italia Michele Marsiglia “E’ una guerra per i giacimenti petroliferi in più regioni del Medio Oriente che oggi, rispetto a 20 anni fa, producono milioni e milioni di barili di petrolio. Sino a poco tempo fa – rimarca Marsiglia – non interessava a nessuno il territorio libico ma adesso la Regione è diventata terra di conquista. L’obiettivo di altre nazioni è solo ed esclusivamente l’entrata nei processi di gestione dei giacimenti petroliferi e le enormi riserve di olio e gas ancora da sfruttare nel centro-sud del paese. Il tentativo di destabilizzare l’Italia è evidente ma ENI non si tocca” .Continua Marsiglia:“Dagli anni ’50 che lavoriamo con la Libia e le aziende contrattiste sono impegnate in appalti che ad oggi risultano ancora non pagati causa la situazione bellica di questi ultimi anni. Aziende che stanno sacrificando le proprie forze lavoro ed economiche per poter continuare i propri business. Non lasceremo che altri siano di intralcio in Commesse di sviluppo già aggiudicate o nei planning aziendali. ENI in Libia è un cavallo di battaglia per l’industria petrolifera internazionale, unica major a fornire parte della propria produzione per il fabbisogno interno al Paese. Si andrebbero a violare accordi di Legislazione Internazionale. La preoccupazione è tanta, certamente l’Italia in questo momento ha perso nel Paese nordafricano la competitività ed il ruolo nei tavoli politici decisionali, è stato servito un piatto d’argento a terzi per arrivare alla National Oil Corporation (NOC), azienda energetica di Stato libica”.
Scuole nel mirino
Intanto, l’UNICEF lancia un drammatico appello: “Il recente aumento delle violenze a Tripoli e nei dintorni, in Libia, ha causato conseguenze devastanti sull’istruzione dei bambini, con 5 scuole distrutte e 210 chiuse, portando oltre 115.000 bambini fuori da scuola nelle aree di Ain-Zara, Abu Salim e Soug al Juma’aa. Il 3 gennaio, 4 scuole sono state attaccate nella località di Soug al Jum’aa, a est di Tripoli, causando danni considerevoli, con impatto su circa 3.000 studenti. I recenti attacchi sulle strutture scolastiche e l’insicurezza a Tripoli e nei dintorni stanno mettendo a rischio le vite dei bambini solo per andare a scuola ogni giorno. Nessun genitore dovrebbe mai scegliere fra l’istruzione dei suoi figli e la loro sicurezza. Più che luoghi sicuri per apprendere e crescere, le scuole a Tripoli sono diventate luoghi di paura.I bambini che non vanno a scuola sono esposti a maggiore rischio di violenza e reclutamento nei combattimenti. L’istruzione è un diritto di base per ogni singolo bambino – anche in aree colpite da conflitto. Gli attacchi sulle strutture scolastiche sono una gravissima violazione contro i diritti dei bambini, il diritto internazionale umanitario e i diritti umani. Privare i bambini dell’opportunità di apprendere ha un impatto devastante sul loro benessere e futuro. L’UNICEF chiede alle parti in conflitto in Libia di proteggere i bambini sempre, fermare gli attacchi contro le scuole e astenersi dalle violenze, inclusi gli attacchi indiscriminati sui civili e le infrastrutture civili”. Attacchi che continueranno, nonostante i vertici straordinari convocati a Bruxelles. Straordinari pel la loro “straordinaria” inutilità.