In Libia sta andando in scena la miserabile figuraccia dell'Europa

La missione europea, della quale il “preoccupato” Luigi Di Maio aveva vantato la primogenitura, non si farà. Nel frattempo la guerra va avanti

Guerra civile in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Gennaio 2020 - 15.58


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C’è chi esprime “grande preoccupazione” e chi invia i soldati. C’è chi viene consigliato di restarsene a casa e chi viene acclamato come il “salvatore”. Doveva essere la missione risolutiva. Come anticipato da Globalist, quella missione europea, della quale il “preoccupato” Luigi Di Maio aveva vantato la primogenitura, non si farà.
Figuraccia miserabile
Il ministro degli Esteri del governo di Tripoli, Mohamed Siala, ha confermato alla tv “Libya Al Ahrar” che il governo di accordo nazionale ha chiesto alla delegazione Ue, un rinvio della missione a Tripoli, programmata indicativamente per domani. “L’Italia e l’Europa andassero prima da Haftar convincendolo al ritiro, prima di venire qui, altrimenti restassero a casa, non ci servono i parolai”, tagliano corto con Globalist fonti autorevoli di Tripoli.
La missione europea, del resto, era già nata zoppa avendo registrato la defezione della Francia, da sempre vicina a Khalifa Haftar, tanto che Parigi avrebbe finanche impedito a Di Maio di divulgare un comunicato congiunto di condanna dell’attacco di sabato all’accademia di Tripoli smontando la già fragile architettura europea messa in piedi a dicembre. E con essa gli sforzi organizzativi della Conferenza di Berlino prevista per la seconda metà di questo mese. Inutili i tentativi di recupero in extremis del ministro Di Maio che ieri ha tentato, inutilmente, di contattare al telefono Sarraj: da Tripoli nessuna risposta. Oltre al fatto che la missione sarebbe stata bersaglio di proteste da parte di attivisti che nella capitale si stanno mobilitando da giorni dinanzi all’estremo tentativo dei Paesi europei.
Arrivano i turchi
Il comandante della Backup Force dell’esercito di Tripoli, Nasir Ammar, ha detto ad al Jazeera che un gruppo di élite di soldati turchi “specializzati in radar jamming e difesa aerea sono arrivati a Tripoli”. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aveva messo in guardia la Turchia (senza farne esplicita menzione) dall’invio di truppe in Libia: “Qualsiasi sostegno straniero alle parti in guerra” nel Paese, ha affermato, “non farà che aggravare il conflitto e complicare gli sforzi per una soluzione pacifica”. Guterres ha sottolineato in un comunicato che “le continue violazioni dell’embargo sulle armi imposto dal Consiglio di sicurezza non fanno che peggiorare le cose”. La risposta del “Sultano” è l’annuncio della partenza delle operazioni. “Il compito dei nostri soldati è il coordinamento. Lì svilupperanno il centro operativo. I nostri soldati stanno gradualmente andando in questo momento”, ha affermato Erdogan in una intervista alla CNN turca, spiegando che l’invio di truppe in Libia serve a “rafforzare la posizione di quello che è un governo legittimo che ci ha chiesto di intervenire. La nostra non è una spedizione di legionari, anche Mustafa Kemal Ataturk (fondatore della repubblica turca ndr) era stato a ovest di Tripoli per le stesse ragioni per cui oggi ci stiamo andando noi”, ha detto Erdogan nell’intervista, prima di rivendicare i diritti della Turchia sul Mediterraneo orientale.
“Conosciamo bene la situazione e l’accordo sulla giurisdizione nel mediterraneo orientale firmato con il governo libico lo avremmo firmato anche con Muammar Gheddafi. Non abbiamo alcuna intenzione di ostacolare le compagnie internazionali o di escluderle. Siamo il Paese che ha più territorio continentale affacciato sul mar Mediterraneo e forse diamo fastidio a qualcuno. In passato i piani di Grecia e Cipro per escluderci dal Mediterraneo orientale non hanno funzionato”, ha poi aggiunto Erdogan. 
In un video diffuso oggi, si vede un ordigno precipitare al centro di un gruppo di militari nel cortile della caserma ad al-Hadba al-Khadra, un quartiere residenziale nella zona sud di Tripoli, ed esplodere lasciando tutti a terra. In pochi riescono a rialzarsi e allontanarsi. Le forze armate tripoline hanno condiviso le immagini dell’attacco sui social network attribuendo l’azione alle truppe della Cirenaica. Il portavoce delle forze di Haftar, Ahmad al-Mismari, ha negato il coinvolgimento indicando la responsabilità di terroristi come al-Qaeda, Isis o Fratelli Musulmani. La missione Onu in Libia (UNSMIL) ha denunciato l’attacco e ha ammonito che un’escalation militare ostacola gli sforzi di pace e il rilancio di un processo politico in Libia.
L’’ambasciata degli Stati Uniti in Libia “condanna fermamente l’escalation militare a Tripoli dei giorni scorsi, incluso l’attacco del 4 gennaio da parte delle forze affiliate all’Lna contro il collegio militare di Hadaba che secondo quanto riferito ha ucciso almeno 30 studenti addestrati per essere una forza di sicurezza professionale per la capitale libica. “Condanniamo anche gli attacchi negli ultimi giorni contro l’aeroporto Mitiga di Tripoli e i bombardamenti indiscriminati contro le infrastrutture civili e i quartieri residenziali di Tripoli, che hanno ucciso e ferito molti civili”, recita una nota ufficiale.
Il collegio della morte
L’attacco è arrivato poche ore dopo che Khalifa Haftar aveva chiamato alla “jihad” contro l’imminente intervento della Turchia nel Paese. In un primo momento era arrivata una prima rivendicazione da ambienti vicini al generale, ma sette ore dopo il portavoce, nel corso di una conferenza stampa, ha smentito che l’aviazione del comando generale dell’Lna sia responsabile del raid. Rimane molto confusa la matrice del bombardamento sul collegio militare. L’attacco secondo il portavoce di Haftar, “è opera di terroristi, di al Qaeda e Isis, che sono contrari a ogni organizzazione di forze armate riconosciute in Libia, e avevano già colpito l’accademia militare di Bengasi”. “L’operazione terroristica a Tripoli mira a provocare l’opinione pubblica contro l’esercito (Lna) a Tripoli” ha detto Al Mismari, riportato da Libyas Channel, “ma ciò ci renderà più determinati a liberare la capitale”. Il raid è stato sferrato poche ore dopo che Haftar, il quale da aprile cerca di conquistare Tripoli, ha lanciato una drammatica chiamata alle armi: un appello a tutti i libici contro un intervento militare di Ankara, “Noi accettiamo la sfida e dichiariamo il jihad e una chiamata alle armi”, ha attaccato Haftar il 4 gennaio scorso in un discorso trasmesso in tv, invitando “uomini e donne, soldati e civili, a difendere la nostra terra e il nostro onore”. L’uomo forte di Bengasi ha quindi insultato Erdogan dandogli dello “stupido sultano” e ha accusato Ankara di essere intenzionata a “riprendere il controllo della Libia”, che è stata una provincia dell’Impero Ottomano fino alla conquista coloniale italiana nel 1911.
Il mantra del ministro
Intanto, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha parlato al telefono con il suo omologo nel governo di Tripoli Mohamed Siyala. “Ogni azione militare – ha ribadito il titolare della Farnesina – provoca sofferenze ingiuste alla popolazione civile, aggrava la crisi umanitaria e alimenta una pericolosissima escalation del conflitto. L’Italia rifiuta la logica del confronto militare, che nelle ultime settimane ha coinvolto in misura crescente obiettivi civili e causato ulteriori, ingiustificate sofferenze all’amico popolo libico. L’Italia è fermamente convinta che non vi sia alcuna scorciatoia militare per raggiungere una soluzione durevole e sostenibile alla crisi libica e chiede pertanto a tutte le parti un’immediata cessazione di ogni tipo di azione militare e il ritorno ad un percorso di dialogo politico sotto egida Onu”. Una richiesta senza peso. Una cosa è certa, l’Italia in questa situazione ha un ruolo marginale se non inesistente. “Isolata come non mai, (l’Italia) paga in questo modo la sua geopolitica di bottega limitata alle beghe di palazzo”, afferma l’ammiraglio Nicola De Felice, tra i massimi esperti di sicurezza marittima e non solo. “Non basta scimmiottare chissà quale capacità diplomatica rincorrendo i vari attori da una capitale all’altra – rimarca l’ammiraglio -. il governo deve attivare subito tutti gli strumenti del potere nazionale oltre a quello diplomatico, quello militare, l’economico e l’intelligence per fare pressione seria non solo sulla Libia, ma anche sui nostri alleati, a partire dagli Usa, per la difesa degli interessi nazionali nel Mediterraneo”. Insomma, per contare non basta ripetere, come un mantra, “grandissima preoccupazione” per l’escalation militare in Libia. La preoccupazione è una categoria dello spirito, non una strategia politico-diplomatica. Qualcuno lo spieghi all’ecumenico ministro Di Maio.

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Le forze del generale Haftar entrano a Sirte

Le forze del generale Khalifa Haftar sarebbero entrate a Sirte, in Libia, costringendo alla ritirata le milizie che sostengono l’esecutivo del premier Fayez al-Sarraj. Lo riporta l’emittente Al Arabiya. “Le milizie del Governo di accordo nazionale si ritirano da Sirte. L’Esercito arabo libico entra a Sirte”, si legge in un tweet dell’emittente al-Hadath del gruppo Al Arabiya.

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