A chi vende l'Italia (che ripudia la guerra) le armi? Le (tristi) sorprese non mancano

Più del 70 per cento delle licenze singole finisce a Stati extra Ue e non appartenenti alla NATO: ai vertici della classifica dei Paesi destinatari ci sono Qatar, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti.

Guerra in Yemen
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14 Maggio 2019 - 08.52


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E’ stata finalmente resa pubblica, consultabile da tutti i cittadini (“ma con l’ormai usuale ritardo di oltre un mese rispetto a quanto prevede la norma”, sottolinea Rete Disarmo), la relazione al Parlamento prevista dalla legge 185/90: l’export militare italiano si attesta su 5,2 miliardi di euro di autorizzazioni e 2,5 miliardi di trasferimenti definitivi nel corso dell’anno scorso. Riportiamo il dettagliato articolo firmato da Andrea Maggiolo su Tooday. A chi “vendiamo armi”? Le sorprese non mancano. Basti pensare che più del 70 per cento delle licenze singole finisce a Stati extra Ue e non appartenenti alla NATO: ai vertici della classifica dei Paesi destinatari ci sono Qatar, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti.
Germania e Regno Unito ai vertici della classifica dei trasferimenti, ma anche Arabia Saudita, Qatar e Turchia ricevono più di 100 milioni di euro di armi italiane.

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Non è un segreto che l’Italia stia continuando a fornire armi all’Arabia Saudita e agli altri membri della coalizione da utilizzare contro lo Yemen, violando il diritto nazionale ed internazionale, nonostante la legge italiana vieti espressamente la vendita di armi a paesi coinvolti in conflitti armati. Bombe prodotte in Italia sono state utilizzate in anni di violento conflitto, come confermato dal Rapporto delle Nazioni Unite sul conflitto nello Yemen del gennaio 2018 dove si mostrano le prove dell’utilizzo di bombe targate RWM da parte della coalizione araba nella capitale Sana’a. Ma il quadro dell’export italiano di armi è molto variegato.

La legge prevede non solo il divieto di esportazione di armamenti verso paesi in stato di conflitto ma anche verso paesi in cui sono violati i diritti umani. Nei primi anni di applicazione i principi innovativi della legge e il controllo, esercitato anche tramite la relazione al Parlamento da parte del Governo, hanno permesso la diminuzione della vendita verso paesi con situazioni problematiche. Un trend che da una decina di anni a questa parte si è invertito. L’export militare italiano dovrebbe essere in linea e coerente con la politica estera, ma negli ultimi anni in realtà la direzione è stata quella del business, la scia quella segnata dai soldi.

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La nuova relazione sull’export italiano di armamenti riporta i dati di autorizzazione e vendita riferiti al 2018. “Dopo due anni di autorizzazioni complessive per oltre 10 miliardi di euro, il totale riferito allo scorso anno si attesta sui 5,2 miliardi di euro (comprendendo anche licenze globali ed intermediazioni). Il calo rispetto all’anno precedente è del 53% mentre la flessione rispetto al 2016 è del 66%, ma il livello di autorizzazioni rimane sensibilmente più alto del livello “storico” delle licenze, e si pone al di sopra dei totali che si registravano prima della “impennata” di autorizzazioni recente – commenta Rete Disarmo – L’assenza di “mega-commesse” come quelle recenti per gli aerei al Kuwait e le navi al Qatar ha sensibilmente ridotto le cifre complessive, ma che un totale così importante sia prodotto da un più ampio numero di licenze con importi minori è paradossalmente ancora più preoccupante. Complessivamente, per le sole licenze individuali, negli ultimi quattro anni (2015-2018) sono stati autorizzati trasferimenti di armi per 36,81 miliardi cioè oltre 2 volte e mezzo i 14,23 miliardi autorizzati nei quattro anni precedenti (2011-2014)”.

Lo scorso anno sono stati oltre 80 i Paesi del mondo destinatari di licenze per armamenti italiani e si conferma quindi la tendenza ad un robusto allargamento del “parco clienti” registrata negli ultimi anni. “I dati sulle licenze concesse – spiega Rete Disarmo – inquadrano però solamente gli affari futuri e potenziali dell’industria militare italiana, che anche nel 2018 ha effettivamente trasferito (e quindi fatturato) armi per circa 2,5 miliardi di €, con una non importante flessione di circa il 12%. Per questo motivo il sensibile calo delle autorizzazioni non deve far pensare ad una crisi o rallentamento nella esportazione di armi italiane poichè le aziende stanno comunque incamerando contratti e possibili commesse per un valore doppio rispetto alla effettiva capacità esportativa (senza contare l’enorme ammontare di licenze già ricevuto negli anni scorsi). Nel 2018 hanno in particolare ricevuto effettivamente armi italiane non solo Germania (278 milioni), Regno Unito (221 milioni), Francia (152 milioni) e Stati Uniti d’America (133 milioni) cioè Paesi nostri alleati nell’UE o nella NATO. Ma anche Stati problematici o con situazioni di tensione come Pakistan (207 milioni), Turchia (162 milioni), Arabia Saudita (108 milioni), Emirati Arabi Uniti (80 milioni) ed India (54 milioni), Egitto (31 milioni)”.

Nella relazione non si fa cenno alcuno a sospensioni, revoche o dinieghi per esportazioni di armamenti verso l’Arabia Saudita posti in atto dal Governo Conte nel 2018. Sono invece riportate nell’allegato del MAECI 11 autorizzazioni per l’Arabia Saudita del valore totale di 13.350.266 euro e nell’allegato dell’Agenzia delle Dogane (MEF) 816 esportazioni effettuate nel 2018 per un valore di 108.700.337 euro.

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“Tra queste – commenta Rete Disarmo – si evidenziano tre forniture del valore complessivo di 42.139.824 euro che sono attribuibili alle bombe aeree della classe MK80 prodotte dalla RWM Italia che risalgono ad una autorizzazione rilasciata nel 2016 dal governo Renzi per la fornitura all’Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree del valore di oltre 411 milioni di euro.
Si tratta delle micidiali bombe aeree della serie MK prodotte a Domusnovas in Sardegna dall’azienda tedesca RWM Italia, azienda che ha la sua sede legale a Ghedi (Brescia), che vengono impiegate dall’aeronautica militare saudita per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Un rapporto dell’Onu del gennaio del 2017 ha documentato l’utilizzo di queste bombe nei bombardamenti sulle zone abitate da civili in Yemen e un secondo rapporto redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato che questi bombardamenti possono costituire “crimini di guerra”. Ricordiamo inoltre che Rete Disarmo insieme a Mwatana ed ECCHR ha denunciato alla Magistratura l’illegalità di tali forniture in quanto bombe italiane sono sicuramente state utilizzate anche in operazioni di attacco a civili risultanti in morti di uomini, donne, bambini”.

Nonostante esistano risoluzioni del Parlamento Europeo che chiedono agli Stati membri di porre un embargo sulle forniture militari all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario, a differenza di altri paesi europei, il governo italiano non ha posto in atto alcuna sospensione ed anzi ha continuato a fornire armamenti e munizionamento militare all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti a cui, nel 2018, sono state autorizzate esportazioni militari per oltre 220 milioni di euro. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella conferenza stampa del 28 dicembre 2018 ha affermato che “il governo italiano è contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze”. Nella Relazione non risulta alcuna iniziativa intrapresa dal Governo italiano in questo senso. Al contrario, per promuovere nuovi ordinativi militari con i paesi del Golfo Persico, la Difesa italiana ha promosso la “campagna navale” della fregata FREMM Carlo Margottini: salpata lo scorso 17 gennaio dal porto della Spezia, la fregata Margottini ha partecipato al “Naval Defence Exhibition” (NAVDEX 2019) di Abu Dhabi per promuovere le attività dell’industria militare italiana e successivamente ha fatto scalo a Kuwait City (Kuwait), a Damman (Arabia Saudita) e a Muscat (Oman), ritornando a Gedda (Arabia Saudita) alla fine di aprile 2019.

C’è un punto che va chiarito. Armi vendute a un governo in tempo di pace possono diventare facilmente strumento di repressione o per attacchi contro civili. Quando un’arma viene venduta anche non direttamente a Paesi in guerra ma in aree ad alta instabilità è molto probabile che finisca per alimentare nel corso del tempo i conflitti di un’area già martoriata.

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Nel 2018 sono invece state autorizzate per l’Egitto 6 esportazioni di sistemi militari del valore di 69.131.310 euro che fanno del Paese del generale Al-Sisi il terzo acquirente di armamenti italiani tra gli Stati non appartenenti all’UE o alla Nato. Sono inoltre state svolte, anche sulla base di licenze rilasciate negli anni scorsi, 61 esportazioni di sistemi militari del valore complessivo di 31.400.207 euro. Dalla Relazione non è possibile conoscere gli specifici modelli degli armamenti esportati, ma è documentata l’autorizzazione per l’esportazione nel 2018 di “armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm.”, di “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”, di “apparecchiature per la direzione del tiro”, di “apparecchiature elettroniche” e di “software”.

La Rete Italiana per il Disarmo come già fatto negli anni passati rinnova anche al Governo Conte l’invito a migliorare gli standard di trasparenza sui dati relativi all’export militare poichè la modalità attuale di pubblicazione impedisce che Parlamento ed opinione pubblica possano esercitare un concreto controllo su un ambito così delicato. L’esportazione di materiali di armamento non ha solo aspetti economici o tecnologici, ma impatta direttamente sui conflitti e la sicurezza internazionale e la stessa legge (oltre che le norme internazionali cui l’Italia ha aderito) ne sottolinea la valenza fondamentale per politica estera e soprattutto per il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario: un approfondito dibattito parlamentare sul tema è auspicabile.

 

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