Peggiora la salute dei migrati rifugiati nell'Unione europea

Il presente documento è il primo del suo genere in quanto fornisce un’istantanea della salute dei rifugiati e dei migranti nella Regione sulla base dell’evidenza scientifica.

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6 Maggio 2019 - 11.54


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Il Ministero della salute italiano e l’INMP – Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà, insieme all’Organizzazione Mondiale della Sanità, presentano oggi, con il Ministro della Salute Giulia Grillo, il “Rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella Regione Europea dell’OMS”.

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La migrazione è uno dei fenomeni che definiscono maggiormente i nostri tempi. Questo è particolarmente evidente per i 53 paesi della Regione Europea dell’OMS, che accolgono complessivamente circa 90 milioni di migranti internazionali (circa il 10% della popolazione generale e il 35% della popolazione migrante globale), fra i quali meno del 7,4% sono rifugiati.

Il presente documento è il primo del suo genere in quanto fornisce sia un’istantanea della salute dei rifugiati e dei migranti nella Regione sulla base dell’evidenza scientifica, sia un quadro chiaro delle risposte al fenomeno da parte dei relativi sistemi sanitari.
Il rapporto, prodotto dal “Migration and Health Program” dell’OMS, con il contributo scientifico e il supporto finanziario dell’INMP, è stato presentato per la prima volta a gennaio 2019 a Ginevra, presso la sede dell’OMS, e successivamente sono state effettuate altre presentazioni in alcuni Paesi della Regione.

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In tale evento, l’OMS annuncerà la nomina dell’INMP quale Centro Collaboratore per l’evidenza scientifica e il capacity building sulla salute dei migranti. Tale riconoscimento giunge dopo una lunga e proficua collaborazione con l’Ufficio regionale di Copenaghen che ha visto il citato rapporto quale uno dei prodotti scientifici più qualificati e rilevanti.

Il Report on the health of refugees and migrants in the WHO European Region: no public health without refugee and migrant health, di cui l’INMP ha coordinato le attività di studio epidemiologico, raccoglie e analizza le evidenze contenute in più di 13.000 documenti di letteratura a partire dal 2014, relativamente allo stato di salute dei rifugiati e dei migranti presenti nei 53 Paesi della Regione Europea dell’OMS.

Dall’analisi emerge che la maggior parte delle evidenze scientifiche raccolte si concentra sulle malattie infettive, mostrando che i rifugiati e i migranti possono essere più vulnerabili sia nei luoghi di origine, sia di transito che di destinazione, a causa, ad esempio, dell’alta prevalenza di malattie infettive in alcuni Paesi di partenza, dei problemi nell’accesso ai servizi sanitari o di condizioni di vita deprivate nei Paesi di transito e destinazione. Ma risulta anche che vi è un rischio molto basso di trasmissione di queste malattie alla popolazione dei Paesi ospitanti.

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Infatti, la maggior parte di coloro che giungono nei Paesi europei è sostanzialmente in buona salute, confermando l’ipotesi del “migrante sano”, legata alle buone condizioni di tali individui alla partenza. L’Italia, grazie al servizio sanitario universalistico di cui dispone, è in grado di fornire risposte efficaci in termini di individuazione precoce e trattamento, prendendosi cura della salute dei singoli e garantendo la salute delle comunità.

Dal rapporto emerge inoltre un rilevante numero di altre condizioni di salute che possono rappresentare un carico di malattia per il migrante, sulle quali, però, vi è necessità di un ulteriore approfondimento: le malattie non trasmissibili, le problematiche legate alla salute mentale, alla salute materno-infantile e a quella occupazionale. Tali problemi tendono spesso ad acuirsi per i migranti con il passare del tempo di permanenza nel Paese ospitante, a causa dell’esposizione continua a determinanti sociali negativi, specie laddove il sistema di integrazione risulti carente.

Molte malattie non trasmissibili, ad esempio, tra i rifugiati e i migranti appena giunti, sembrano avere tassi di prevalenza più bassi rispetto alla popolazione che li ospita, ma i due tassi iniziano a convergere man mano che aumenta la durata del soggiorno del migrante nel Paese; questo è particolarmente evidente per l’obesità. Inoltre, sebbene i rifugiati e i migranti abbiano un rischio più basso per quasi tutte le neoplasie, è più probabile che queste possano essere diagnosticate in una fase più tardiva rispetto alla popolazione ospite.

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La salute mentale del migrante, che di suo può già risentire di esperienze traumatiche legate al percorso migratorio, può addirittura peggiorare, come nel caso della depressione, una volta raggiunto il Paese di destinazione, per via delle cattive condizioni socioeconomiche e dell’isolamento sociale.

Ancora, il rapporto sottolinea come i migranti nei luoghi di lavoro mostrino, tra gli uomini, incidenti più frequenti rispetto ai cittadini residenti, con condizioni di impiego e di accesso alla protezione sociale e sanitaria molto difformi.
Anche i risultati sulla salute materno-infantile mostrano esiti peggiori correlati alla gravidanza tra le donne migranti, mentre i fattori protettivi possono essere legati sia alla persona, quali il livello di istruzione o la conoscenza della lingua, sia all’efficacia delle politiche di integrazione.

Infine, le evidenze disponibili in tema di accesso ai servizi sanitari descrivono un quadro variegato nella Regione Europea, che dipende da molti fattori: tra questi, lo status giuridico – in particolare la condizione di regolarità nel Paese, l’organizzazione stessa dei servizi e la loro gratuità.

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In conclusione, il rapporto mostra come le malattie infettive abbiano ricevuto maggiore attenzione nella letteratura scientifica, ma cresce la consapevolezza che esiste una vasta gamma di problematiche sanitarie, come le malattie non infettive, la salute materno-infantile e la salute dei lavoratori, che richiedono politiche mirate e culturalmente orientate. Occorre, pertanto, rafforzare la raccolta delle evidenze, la collaborazione intersettoriale e multidisciplinare, nonché i sistemi informativi nazionali; è necessario, infine, abbattere le barriere d’accesso ai servizi sanitari, con l’obiettivo di una sempre maggiore equità nella salute ed efficacia delle politiche di sanità pubblica.

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