L'Unicef svela un dato scioccante: "200 milioni di donne al mondo hanno subito mutilazioni genitali"

Durante la giornata internazionale della Tolleranza zero, l'organizzazione avverte: "necessaria una forte accelerazione per porre fine a questa pratica".

Mutilazioni genitali
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6 Febbraio 2019 - 11.36


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In occasione della Giornata internazionale di tolleranza zero alle mutilazioni genitali femminili, Unicef ricorda che nel mondo ci sono ancora circa 200 milioni di donne sottoposte a “uno degli atti di violenza di genere più disumani al mondo”.
L’organizzazione avverte che se non ci sarà “una forte accelerazione nell’azione per porre fine a questa pratica”, altre 68 milioni subiranno la stessa sorte entro il 2030.
Più di 20 milioni di donne e ragazze in 7 paesi (Egitto, Sudan, Guinea, Djibouti, Kenya, Yemen e Nigeria) sono state sottoposte a questa pratica per mano di un operatore sanitario, ma sottolinea l’organizzazione “renderla una pratica medica non significa che sia più sicura, perché si tratta ancora di rimuovere e danneggiare tessuti sani e normali e interferisce con le funzioni naturali del corpo di una donna o ragazza”.
Grazie al programma congiunto di Unfpa e Unicef, dal 2014 al 2017 il numero di mutilazioni genitali femminili sulle ragazze tra i 15 e i 19 anni è diminuito in 10 paesi sui 17 supporti dal programma e dal 2008 al 2017, oltre 34,6 milioni di individui hanno dichiarato pubblicamente di aver abbandonato questa pratica in più di 21.000 comunità. Inoltre tra il 2014 e il 2017 circa 3,3 milioni di donne e ragazze hanno avuto accesso a servizi di protezione, prevenzione e cura in 16 paesi (Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Mali, Mauritania, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Uganda). 13 paesi (Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Mauritania, Nigeria, Senegal e Uganda) su 17 supportati dal programma hanno leggi che vietano le Mutilazioni Genitali Femminili – leggi di questo tipo sono imminenti in altri 3 paesi.
“Questo impegno – sottolinea Unicef in una nota – è importante perché le mutilazioni genitali femminili causano conseguenze fisiche, psicologiche e sociali di lungo periodo. Violano i diritti delle donne alla salute sessuale e riproduttiva, all’integrità fisica, alla non discriminazione e alla libertà da trattamenti crudeli e umilianti. Rappresentano anche una violazione dell’etica medica: le mutilazioni genitali femminili non sono mai sicure, non importa chi le pratichi e quanto sia pulito il luogo in cui vengono effettuate. Dato che la mutilazione genitale femminile è una forma di violenza di genere, non possiamo dare una risposta in modo isolato rispetto alle altre forme di violenza contro donne e ragazze o altre pratiche come i matrimoni precoci o forzati. Per porre fine alle mutilazioni genitali femminili, dobbiamo affrontare il problema della disuguaglianza di genere alla radice e lavorare per l’empowerment sociale ed economico delle donne”.
Nel 2015, i leader del mondo hanno appoggiato massicciamente l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili come uno degli obiettivi dell’Agenda di Sviluppo Sostenibile 2030. “È un obiettivo raggiungibile e dobbiamo agire adesso per tradurre questo impegno politico in azioni concrete”.
Per Unicef sono necessarie a livello nazionale nuove politiche e leggi che proteggano i diritti delle ragazze e delle donne a vivere libere da violenza e discriminazione e piani di azione nazionali per porre fine a questa pratica, che includano risorse di bilancio dedicate a servizi per la salute sessuale e riproduttiva, l’istruzione, il welfare sociale e servizi legali.
A livello regionale, invece c’è bisogno che le istituzioni e le comunità economiche collaborino, prevenendo lo spostamento di donne e ragazze con lo scopo di raggiungere paesi con leggi meno restrittive sulle mutilazioni genitali femminili. Inoltre a livello locale, “c’è bisogno di leader religiosi che smontino il mito secondo cui le mutilazioni genitali femminili abbiano una base religiosa. Dato che le pressioni sociali spesso sostengono la pratica, gli individui e le famiglie hanno bisogno di maggiori informazioni sui benefici dell’abbandono”. Per Unicef “l’impegno pubblico deve essere abbinato a strategie comprensive per contrastare le norme sociali, le pratiche e i comportamenti che giustificano le mutilazioni genitali femminili.
Aiutano in questo processo le testimonianze di sopravvissute, come Mary Oloiparuni, che aveva 13 anni quando è stata mutilata: “Le cicatrici che porta continuano a causarle dolore ancora oggi, 19 anni dopo, e hanno reso ogni parto dei suoi 5 figli un’esperienza straziante”. Storie come quelle di Mary, ricorda l’organizzazione, “aiutano a comprendere la triste realtà di questa pratica e l’impatto di lungo periodo sulla vita delle donne. Campagne di advocacy e social media possono amplificare il messaggio secondo cui porre fine alle mutilazioni genitali femminili salva e migliora le vite. Grazie all’azione collettiva di governi, società civile, comunità e individui, le mutilazioni genitali femminili sono in declino. Ma non puntiamo a un minor numero di casi per questa pratica, noi vogliamo arrivare a zero”.

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