Birmania, la guerra silenziosa contro i Karen
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Birmania, la guerra silenziosa contro i Karen

Reportage da Mae Sot, città thailandese di confine: qui arrivano centinaia di migliaia di profughi, quasi tutti di etnia Karen, una popolazione duramente discriminata in Birmania.

Birmania, la guerra silenziosa contro i Karen
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globalist Modifica articolo

9 Ottobre 2018 - 12.58


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da Mae Sot (Thailandia)

L’orfanotrofio Hsa Thoo Lei si trova a Mae Sot, una città di confine tra Thailandia e Birmania conosciuta da chi si occupa di diritti umani per essere una sorta di spartiacque per centinaia di migliaia di profughi in fuga dal Paese della premio Nobel Aung San Suu Kyi. In questo periodo l’edificio dà ospitalità a un centinaio di ragazzi e consente ad altri 800 di studiare. Quasi tutti sono di etnia Karen, una popolazione duramente discriminata in Birmania.

Costretti a fuggire. «Il regime che ha controllato la Birmania per oltre mezzo secolo ha creato una situazione insostenibile per il mio popolo», denuncia la direttrice della scuola Naw Paw Ray. «I Karen sono stati obbligati a combattere per sopravvivere e soprattutto donne e bambini sono stati costretti a fuggire qui in Thailandia». Arrivati secoli fa da Mongolia e Tibet, chiedono l’autonomia e la difesa delle tradizioni dal 1949 (l’indipendenza dall’Impero Britannico è del 1948). L’allora presidente, Aung San, padre della Suu Kyi, aveva infatti accettato di concedere alle maggiori etnie della regione la libertà di scegliere il proprio futuro sociale e politico. Ma l’avvento della dittatura militare ha portato a violenze contro i Karen che continuano ancora oggi.

Questione di soldi. Alla base della persecuzione ci sono soprattutto le risorse naturali della zona – gas, pietre preziose e legname – che fanno gola ai generali. «Vogliono impadronirsi del nostro territorio e dei nostri beni. Per far questo i militari continuano a commettere violazioni dei diritti umani», sostiene Hsa Moo, uno dei rappresentanti del Karen Environmental and Social Action Network (Kesan), un’associazione di tutela dell’ambiente e dei diritti degli indigeni.

Costretti a fuggire. «Il regime che ha controllato la Birmania per oltre mezzo secolo ha creato una situazione insostenibile per il mio popolo», denuncia la direttrice della scuola Naw Paw Ray. «I Karen sono stati obbligati a combattere per sopravvivere e soprattutto donne e bambini sono stati costretti a fuggire qui in Thailandia». Arrivati secoli fa da Mongolia e Tibet, chiedono l’autonomia e la difesa delle tradizioni dal 1949 (l’indipendenza dall’Impero Britannico è del 1948). L’allora presidente, Aung San, padre della Suu Kyi, aveva infatti accettato di concedere alle maggiori etnie della regione la libertà di scegliere il proprio futuro sociale e politico. Ma l’avvento della dittatura militare ha portato a violenze contro i Karen che continuano ancora oggi.

Questione di soldi. Alla base della persecuzione ci sono soprattutto le risorse naturali della zona – gas, pietre preziose e legname – che fanno gola ai generali. «Vogliono impadronirsi del nostro territorio e dei nostri beni. Per far questo i militari continuano a commettere violazioni dei diritti umani», sostiene Hsa Moo, uno dei rappresentanti del Karen Environmental and Social Action Network (Kesan), un’associazione di tutela dell’ambiente e dei diritti degli indigeni.

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