Parkland, le vittime della strage: ragazzi cresciuti nell’America che non ha a cuore la loro sicurezza

La sparatoria di Parkland è il secondo più grave massacro in una scuola americana, dopo la Sandy Hook Elementary School, dove morirono 27 persone, di cui 20 bambini.

I ragazzi fuori dal liceo Parkland
I ragazzi fuori dal liceo Parkland
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15 Febbraio 2018 - 21.08


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La strage del liceo Parkland, con le sue 17 vittime, ha purtroppo superato il triste primato della Columbine High School, diventata nota il 20 aprile 1999, data in cui Eric Harris e Dylan Klebold, due studenti della scuola, entrarono armati nel liceo causando la morte di 13 compagni, per poi uccidersi portando le vittime a 15. La più grave sparatoria nella storia degli Stati Uniti rimane però il massacro della scuola elementare Sandy Hook, avvenuta il 14 dicembre del 2012: Adam Lanza, 20 anni, entrò nella scuola e aprì il fuoco uccidendo 27 persone, di cui 20 erano bambini tra i 6 e i 7 anni.

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Dall’inizio del 2018, si è appreso, la strage di Parkland è la 18esima sparatoria negli Usa, un dato che fa impallidire considerando anche la totale inattività del governo degli Stati Uniti, schiacciato, secondo molti esperti, dal potere della Nra, la National Rifle Association, che gestisce la vendita di armi su tutto il territorio nazionale. Il presidente Trump, nel discorso alla nazione in seguito alla strage, non ha menzionato il problema della vendita di armi, concentrandosi sul passato del killer, Nikolas Cruz (ex studente della scuola, cacciato per problemi comportamentali), e sui suoi ‘problemi mentali’, aggiungendo che ‘bisogna cambiare la cultura americana, insegnare ad abbracciare la vita e a tessere rapporti’.

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Troppo poco, e soprattutto quasi per nulla attinente al vero problema: come scrive John Cassidy in un editoriale del New Yorker, “uno dei primi doveri di qualsiasi governo è quello di proteggere i suoi cittadini da minacce violente. Persino i più libertari sono d’accordo su questo punto. Ma quando parliamo di sparatorie, il partito Repubblicano comincia ad accampare scuse e ‘ragioni costituzionali’ che non hanno nessuna base nella storia e nella realtà, e si rifiuta di prendere le distanze. Nulla è stato in grado di cambiare questo atteggiamento, né Sandy Hook, né la strage di Las Vegas, né il massacro di Orlando, né le ormai settimanali stragi nei licei. Niente”.

Eppure, si continua a morire. E i nomi delle vittime di Parkland stanno cominciando ad essere rivelati: studenti e insegnanti morti nel giorno di San Valentino, in una scuola addobbata a festa, piena di fiori e palloncini a forma di cuore: Aaron Feis, il coach di football della scuola che ha sacrificato la sua vita per difendere alcuni studenti; Nicholas Dworet, 17 anni, che aveva appena ricevuto una borsa di studio per il nuoto per l’Università di Indianapolis; Chris Hixon, un reduce della guerra in Iraq, coach di wrestling; Joaquin Olivier, uno studente venezuelano diventato cittadino americano solo l’anno scorso; Jaime Guttenberg, una studentessa tra le prime ad essere identificata; Alaina Petty, 14 anni, al suo primo anno di liceo; e ancora tanti, cui bisogna sommare i feriti, di cui alcuni gravi, in questo momento in ospedale. “Adolescenti che hanno avuto la sfortuna di crescere in un paese cui non importa abbastanza delle loro vite” come scrive David Leonhadth del New York Times.

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