Elisabeth Revol racconta il dramma al Nanga Parbat: così è morto Tomasz Mackiewicz

In un ospedale francese viene curata per evitare amputazioni alle mani ed al piede sinistro congelati durante la discesa. Poi confessa che tornerà in montagna, è troppo bello

Elisabeth Rovel in ospedale
Elisabeth Rovel in ospedale
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1 Febbraio 2018 - 11.15


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Dalla sua stanza dell’ospedale di Sallanches, in Alta Savoia, Elisabeth Revol racconta, per la prima volta, la storia del tentativo di conquistare il suo nono trofeo, tra le vette più alte al modo, che si è concluso con un dramma. Una salita da cui la scalatrice francese è tornata salva, mentre il suo compagno, Tomasz Mackiewicz, non ha potuto essere salvato.
A Sallanches, dove viene curata per gravi congelamenti ad entrambe le mani ed al piede sinistro, la scalatrice trentasettenne narra la sua ascesa senza ossigeno o sherpa al Nanga Parbat (8126 m), in Pakistan . “Era il mio quarto tentativo invernale, il settimo per Tomek ”, ha detto. Hanno cercato l’impresa sfidando il Nanga Parbat, chiamata il killer, senza apprensione, bem consapevoli dei rischi.
Partita dalla Francia, il 15 dicembre, Elisabeth Revol ha cominciata la scalata con Tomasz Mackiewicz, “in comunione con la montagna”.
Poi, quando raggiungono il loro obiettivo, il dramma. “Tomek mi dice ‘non vedo niente”’. Lo scalatore polacco non aveva usato la maschera per un piccolo problema e la sera aveva i segni di una forte infiammazione all’occhio. Da lì alla decisione di intraprendere la lunghissima discesa sono passati solo pochi istanti.
Ma, col passare delle ore, Mackiewicz perde le forze ed i segni del congelamento sono sempre più evidenti. Allo spuntare della luce dl giorno, la situazione è drammatica, “Il sangue scorreva costantemente dalla sua bocca – raccolta Elisabeth Revol – . segni di edema, fatale se chi ne è affetto non è trattato prima possibile”.
“Ho avvisato tutti – spiega – perché Tomek non ce la faceva a scendere da solo”. I messaggi che vengono scambiati per organizzare i soccorsi non sempre sono chiari. Anzi, alcuni causano incomprensioni. “Mi è stato detto: se scendi a 6.000 m, puoi recuperare e si può recuperare Tomek a 7.200 metri con un elicottero. E’ stato fatto così. Non è una decisione che ho scelto, ma mi è stata imposta. “. Quindi lascia in parete il suo compagno e riprende la discesa.
La situazione non ha spaventato Eliabeth Rovel per sè, ma per il suo compagno di cordata, che stava sempre più male e che, consapevole delle sue condizioni, la spinge a tornare al campo da sola.
L’altitudine provoca ad Elisabeth un’allucinazione, una cosa che non le era mai accaduta: immagina che delle persone li raggiugono per portare del thè caldo.
Il racconto di Elisabeth è semplicemente incredibile, ricostruendo quel che lei pensava le stessa accadendo: “Una signora mi ha chiesto: ‘Posso prendere la tua scarpa? In quel momento, meccanicamente, mi alzo, tolgo la scarpa e gliela do. Al mattino, quando mi sono svegliata, al piede avevo solo il calzettone”.
Si rende conto che il suo compagno non è in condizione di muoversi e che anzi le fa capire che è la sola soluzione possibile. La discesa solitaria prosegue per cinque ore, con il piede sinistro congelato. Quando arriva il giorno, conta sempre nei soccorsi. A 6.800 m, Elisabeth decide di non muoversi, di “conservare se stessa, immagazzinare calore”. Sente il rumore del motore di un elicottero, ma “ma era già troppo tardi, il vento stava salendo”.
Quando apprende che l’elicottero sarà in grado di venire il giorno dopo e che dovrà trascorrere una terza notte fuori, decide di scendere. “Stava iniziando a essere una questione di sopravvivenza”, ha detto la scalatrice, che non aveva ricevuto il messaggio che le comunicava che due alpinisti polacchi la stavano raggiungendo. Quindi una discesa prudente, ”calma”, nonostante “i guanti bagnati”, il “freddo pungente” che congela le dita e il “dolore”. Verso le 3:30 del mattino, raggiunge il campo 2, a 6.300 metri. Poi l’incontro con i suoi soccorritori – Adam Bielecki e Denis Urubko (che lei definisce ‘la sua leggenda degli 8.000) – che lei sapeva essere impegnati nella scalata dell’Everest. Domenica era ad Islamabad, martedì già in Francia.
Ed ora: pochi progetti. Il primo certamente è di recuperare il più possibile, sperando di evitare delle amputazioni. Poi andrà a vedere i bambini di Tomasz.

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Tornerà in montagna? Elisabeth (che nella vita privata è insegnante a Drôme) dice serena ”ho bisogno di questo. È così bello”.

 

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