Le battaglie che gli omosessuali americani hanno condotto per vedere riconosciuti i loro diritti hanno delle icone. La più famosa è forse Harvey Milk, attivista gay (per averlo portato sullo schermo Sean Penn vinse nel 2009 uno degli Oscar più meritati della storia del cinema), ucciso nel 1978 da un suo collega consigliere comunale di San Francisco forse geloso per il seguito che aveva nell’elettorato della metropoli sul Pacifico.
Milk pagò con la vita il suo impegno e, anche per il film che lo ha celebrato, ha conquistato fama postuma anche all’estero. E poi ci sono altre icone che sono diventate tali per la cocciutaggine che hanno messo nelle battaglie per i diritti delle persone omosessuali, come Edith Windsor, Edie per tutti, spentasi ieri a Manhattan, ad 88 anni, con un po’ di mesi di ritardo rispetto alla promessa che aveva fatto di lasciare appena possible la nuova America targata Donald Trump. Ad annunciare la sua morte è stata Judith Kasen-Windsor, la donna che aveva sposato qualche anno fa. Ma a segnare la vita di Edie e di centinaia di migliaia di gay e lesbiche che ora negli Stati Uniti possono sposarsi, fu la sua compagna di un tempo, Thea Spyer, con cui aveva condiviso gran parte della vita. Quando Thea si aggravò, per il progredire della sclerosi multipla che due anni dopo, nel 2009, l’avrebbe uccisa, Edith decise di andare in Canada – dove i matrimoni gay erano già legalizzati – per sposarla.
La morte della compagna per Edith Windsor portò, oltre ad un dolore immenso, anche la richiesta di pagamento di tasse di successione, avanzata dallo spietato fisco americano, l’Irs, pari a 363 mila dollari, che non avrebbe dovuto pagare se il suo matrimonio con Thea fosse stato riconosciuto anche in America. Da quel momento Edith ebbe solo un obiettivo nella vita: scardinare quel diniego ai matrimoni gay che in America impediva a moltissima gente di unirsi in modo ufficiale alla persona amata, quale che ne fosse il sesso. Una battaglia durissima, combattuta a colpi di memorie, citazioni, ricorsi, ma che alla fine vinse perchè, nel 2013, la Corte Suprema le diede ragione, creando il precedente perchè i legami tra persone dello stesso sesso fossero legali. Inizialmente la sentenza riguardava 13 Stati ed il distretto di Columbia (quello di Washington), ma poi nel 2015 la stessa corte decise di estendere l’efficacia della propria decisione a tutto il territorio.
Alla notizia della sua morte, Edith Windsor ha ricevuto attestati di stima eguali a quelli dei giorni più cruenti della sua lotta. “Il lungo viaggio dell’America verso l’uguaglianza – ha detto l’ex presidente Obama che l’aveva incontrata solo pochi giorni fa – è stato guidato da innumerevoli atti di perseveranza e alimentato dall’ostinata volontà di eroi tranquilli che difendono a voce alta quello che ritengono giusto. Pochi sono stati piccoli in altezza come Edie, e pochi hanno fatto una differenza tanto grande”.
L'America dei diritti civili piange Edith Windsor, paladina dei matrimoni gay
La sua battaglia portò la corte suprema a legalizzare le unioni omosessuali prima in 13 stati poi nel resto del Paese. L'attivista, che aveva 88 anni, ricordata anche dall'ex presidente Obama

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13 Settembre 2017 - 10.29
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